La costituzione di premi, di classifiche o di valutazioni genera sempre (o quasi) un effetto competitivo, che può trasformarsi talvolta in agonismo (positivo o negativo) e talvolta invece in una sana ed equilibrata spinta al migliorarsi.
L’assenza di punti di riferimento, che è un’azione di libertà assoluta, spesso spaventa e schiaccia verso l’immobilismo, la stasi. La guerra tra vicini, la competizione tra gli atleti, la concorrenza tra compagni di classe, politici, imprese, sono tutte il frutto di un meccanismo che affonda le proprie radici nella dimensione umana ed animale dell’homo sapiens.
Un meccanismo che molto spesso è funzionale, soprattutto quando si identificano delle metriche di valutazione che siano realmente coerenti con aspirazioni di sviluppo, prestando le dovute attenzioni alle potenziali distorsioni che da tali metriche possono derivare.
Gli esempi sono innumerevoli. Sotto il profilo personale e individuale, ad esempio, l’ingresso in un microcosmo sociale in cui vigono metriche di competizione poco edificanti può avere un effetto estremamente nocivo. Se un ragazzo o una ragazza adolescente iniziano a competere su una metrica non costruttiva, che può andare dai follower di TikTok al numero di ruote bucate con un cacciavite o altri episodi di microdelinquenza, l’effetto immediato che si ottiene è un crescendo di comportamenti considerabili irragionevoli se visti dall’esterno, ma che risultano essere estremamente coerenti e funzionali all’interno delle relazioni sociali instaurate.
A livello istituzionale un esempio di “metriche di valutazione” sbagliate può generare distorsioni altrettanto evidenti: se la metrica di valutazione di un manager è la sola riduzione dei costi, l’obiettivo di tale manager sarà quello di eliminare il più possibile i costi “sacrificabili”, e non di rado avvierà azioni peculiari per poter raggiungere un tale risultato nel minor tempo possibile. È documentato ad esempio il caso di manager che riducono i costi del personale attraverso licenziamenti per giusta causa che generano senza dubbio una riduzione dei costi immediata all’impresa, salvo poi rivelarsi infondati nel medio periodo, con il risultato che al manager successivo toccherà assorbire i costi del reintegro e i costi legali associati, pagando i dipendenti (risultati vincitori in ricorso) anche per un periodo di tempo in cui quegli stessi dipendenti non hanno effettivamente lavorato.
Metriche per la cultura
Spostando il discorso verso la cultura, un esempio concreto di come le metriche possano influenzare in modo significativo l’andamento delle attività di una determinata organizzazione è offerto dall’ormai diffuso e piuttosto incontrastato criterio di valutazione dei musei sulla base dei visitatori, elemento che, di per sé, non garantisce né una qualità dell’esperienza, né un reale trasferimento valoriale dal Museo al visitatore, né una modifica delle inclinazioni alla frequenza di altri istituti culturali.
Al contrario, influenzare la dimensione competitiva istituendo metriche di attenzione alla collettività può risultare estremamente interessante sotto il profilo della performance dei nostri Musei (nazionali e non, pubblici e non). Se si ipotizzasse una metrica che classifichi i musei sulla base del numero di visite annue medie da parte dei cittadini, allora l’offerta culturale e museale necessariamente si adeguerebbe a tale contesto, e i musei tenderebbero a sviluppare politiche e azioni per essere più “citizen-engaging”, con classifiche che, probabilmente, vedrebbero i grandi monumenti e musei nazionali (a cominciare dal Colosseo), in posizioni ben differenti dai primati cui ci siamo ormai abituati.
Pur riconoscendo tale sostituzione di metrica come un obiettivo piuttosto lontano dall’essere percorribile, è però importante che tutti gli operatori del settore riflettano sulla possibilità di introdurre azioni volte a premiare aspetti ulteriori rispetto a quello della mera rilevanza turistica, ben espresso dal numero totale di visitatori annui.
Si tratta di un’azione che, evidentemente, non può che avvenire “dal basso”. È un’evidenza che emerge dalla constatazione di come l’attuale sistema di misurazione ministeriale sia pienamente coerente con le priorità governative. A fronte di un obiettivo di incremento della sostenibilità finanziaria dei Musei, e a fronte di una visione della cultura come “strumento” dell’industria turistica, è naturale che il numero di visitatori e i ricavi medi per visitatori identifichino con precisione i “musei” che più rispondono all’ideale di Governo.
Un ideale di governo che non è affatto di “questo” Governo: nato infatti nel corso delle varie legislature Franceschini, questo sistema di misurazione ha poi trovato piena corrispondenza con una visione politica che, al riguardo, si è limitata semplicemente ad essere più “franca”. Né tantomeno è un ideale poco corretto: quanto più il sistema museale risulta essere autosufficiente, tanto più questo sistema è in grado di garantire degli effetti benefici per la popolazione, senza considerare, al contempo, la quantità di risorse che “vengono liberate” a vantaggio della comunità, e, auspicabilmente, a vantaggio di altre forme della produzione culturale e artistica.
Ferma restando dunque l’esigenza di monitorare il numero di visitatori, si potrebbe tuttavia avviare una riflessione su altre tematiche, che permettano di far concorrere anche musei che, per loro natura, non potranno mai competere con i numeri dei vari Pantheon o degli Uffizi e della Reggia di Caserta.
Un’azione che fornirebbe, senza ombra di dubbio, un’indicazione strategica per una serie di Istituzioni Culturali.
L’idea di sviluppare delle misurazioni alternative, tuttavia, non può provenire dal Ministero, ma può trovare un terreno fertile di sviluppo in quella che è un’esigenza piuttosto diffusa tra gli operatori del settore: sottolineare il valore culturale del proprio lavoro, non solo in termini scientifici, ma anche con riferimento ai temi di innovazione, comunicazione, operatività, rapporto con la cittadinanza, rapporti con le comunità internazionali.
Premi per crescere
Una linea concretamente percorribile, in questo senso, potrebbe essere rappresentata dall’istituzione di specifici “awards”, che attraverso le dinamiche tipiche dei “premi” (dalla candidatura alla cerimonia di premiazione, con grande produzione di contenuti durante l’intero processo), potrebbe senza dubbio attirare l’attenzione del pubblico generalista, e attivare l’attenzione operativa da parte di stampa, direttori di istituzioni culturali e affini.
Un premio per la miglior Mostra d’Archeologia, un premio per il Museo più vicino ai cittadini, un Premio per il miglior laboratorio didattico, o per la miglior visita guidata, per la migliore audioguida o migliore esperienza immersiva, o ancora un premio per il Museo con maggiori visite ripetute da parte dei cittadini, che andrebbe ad esempio a valorizzare l’operato di quelle istituzioni che, pur presentando una collezione permanente stabile, sono in grado attraverso attività, incontri, focus e affini, di fornire ai cittadini e agli abitanti delle città limitrofe occasioni sempre nuove di visita.
Un premio di questo tipo, ad esempio, permetterebbe di guardare ad altri aspetti della cultura e della diffusione della conoscenza, soprattutto in campo archeologico: la capacità di saper cogliere, da un patrimonio noto, una serie di narrazioni e spunti sempre nuovi, in grado di costruire con i cittadini un dialogo costante, che faccia dunque sviluppare, tra gli abitanti di un territorio, una consapevolezza sempre più diffusa sulla storia dei luoghi che fanno parte della propria quotidianità, con implicite ripercussioni positive sia in termini di tutela del proprio territorio, sia in termini di sviluppo dello stesso.
È essenziale ribadire che lo sviluppo della cultura attraverso le dinamiche economiche è importante, soprattutto se si guarda alla dimensione della sostenibilità che implica, a livello sistemico, l’introduzione di figure professionali che abbiano le dovute competenze di management all’interno del vasto mondo istituzionale e non istituzionale della cultura e dell’archeologia italiana.
Al di là di questo aspetto, tuttavia, ci sono delle dimensioni che andrebbero senza dubbio approfondite, come appunto la valutazione delle performance della nostra offerta culturale e archeologica in merito alla diffusione di conoscenza.
Un lavoro che, condotto in accordo con quante più istituzioni culturali possibili, e basato su criteri di sostenibilità che ne garantiscano l’imparzialità, potrebbe avere un diretto effetto positivo a livello sistemico, stimolando quei valori (condivisione della conoscenza, sensibilizzazione dei cittadini, incremento del livello di appartenenza percepita, miglioramento dei rapporti tra istituzioni e persone) che sono spesso riconosciuti come centrali per la “mission” dei Musei, ma che poi vengono ogni volta lasciati in secondo piano quando si rende necessario “misurarli”.
Si tratta di una proposta di buon senso, di facile organizzazione e gestione, di immediata visibilità pubblica (sia in termini di comunicati stampa, sia in termini di azioni condotte), che potrebbe anche sostenersi economicamente in modo piuttosto semplice.
È soltanto necessario strutturare un percorso condiviso.
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