Il primo appuntamento, quello con il premier inglese Starmer, è fissato per le 11 in Downing Street. Il vertice Ue-Uk, diventato ancor più importante e delicato dopo lo show della strana coppia della Casa Bianca, sarà a seguire, alle 14. La premier italiana arriva con una proposta forte, la conferenza Ue-Usa-Nato da tenersi a Bruxelles o a Varsavia sperando anche nel colpaccio di Roma, ma sulla quale Bruxelles si mostra tiepida. Anche perché l’Alta commissaria agli Esteri Kallas è su una linea ben più bellicosa, ma anche pronta a respingere eventuali forzature del fronte europeo più drastico e interventista, quello che trova in Macron il suo campione.
Quelle forzature Meloni le considera certe. L’intemerata alla Casa Bianca non poteva che modificare il senso del vertice di oggi ma Starmer ha aggiunto il suo carico. La scelta di invitare anche il Canada è interpretata a palazzo Chigi come segnale che sul tavolo ci saranno esercito europeo e missione di peacekeeping in Ucraina anche senza mandato Onu. La presidente teme che Uk e Francia intendano accelerare a tavoletta, con l’obiettivo di ratificare nei fatti la loro leadership militare e non solo. Allo stesso tempo conta però sul bilaterale della mattina per concordare una linea comune con Starmer sulla necessità di ricucire con Trump, in nome del rapporto privilegiato fra Usa e Uk.
La scelta di non invitare i Paesi baltici, che avrebbero soffiato sul fuoco e che hanno preso malissimo il mancato invito, è un punto a favore dell’appeasement di Giorgia Meloni. Le diverse sfumature degli altri leader europei non le sono sfuggite: dietro la facciata unitaria ognuno va per conto proprio, è la conclusione di palazzo Chigi. La presa di posizione del segretario generale della Nato Rutte, che ha chiesto a Zelensky di «rispettare quel che Trump ha fatto per l’Ucraina», le offre un assist più prezioso che utile. Ma la situazione è quella che è, la tensione va oltre le stelle e può succedere di tutto. «Nessuno sa come andrà a finire», come avrebbe asseverato enunciando l’ovvio la premier stessa.
A Roma la maggioranza manda in scena il solito spettacolo. C’è una Lega che spara i mortaretti per Trump, col rischio che primo o poi Salvini ce le ritroviamo tinto in biondo e col ciuffo alla Donald, e tira sassi sull’Europa: «A Bruxelles c’è chi ancora usa toni bellici. L’Italia ha il dovere di lavorare con gli Usa per la pace». C’è una Forza Italia che frena gli ardori del leghista: «Le tifoserie non vanno bene in questa situazione. Noi dobbiamo lavorare per evitare nuove tensioni Usa-Ue: sostenere Zelensky e dialogare con Putin». Come se fosse facile. Ma nella Lega i dissensi registrati nei giorni scorsi sono rientrati di corsa. Zaia, considerato critico nel sostegno strenuo a Trump, si schiera contro Zelensky: «Seguirlo all’infinito porta l’Europa all’isolamento».
Ma le baruffe tra gli alleati in questo caso pesano ben poco. La posizione dell’Italia è solo nelle mani della premier che non può esplicitare troppo la sua posizione, anche se con il comunicato di venerdì notte, così distante da quelli degli altri leader europei, non ci è andata lontano. Ci pensa però il vicemininistro tricolore degli Esteri Cirielli a dire forte e chiaro quel che la sua leader non può urlare: «Una persona e uno Stato che in Europa ti proteggono con soldati aerei e navi non possono essere insultati. Dobbiamo essere in linea di principio d’accordo con l’Ucraina ma neutrali nello scontro fra Trump e Zelensky». Poi giù a valanga: «L’alleanza con gli Usa è l’essenza della nostra democrazia. Il mestiere dell’Italia è cercare di mettere pace e creare ponti».
Non è solo questione di princìpi, orizzonti strategici, posizionamenti internazionali. È anche moltissimo questione di quattrini. L’aumento delle spese per il riarmo fino al 2,5% del Pil, del quale pure si discuterà oggi con il semaforo verde dell’Italia, vale una ventina di miliardi. I dazi di Trump, se non si riuscirà a evitarli di qui al 2 aprile, costeranno una cifra imprecisata ma comunque tra i 5 e i 10 miliardi. Il prezzo del petrolio sul mercato americano è quello che è, molto più caro della fornitura russa. Se si aggiunge la scelta di sobbarcarsi tutti gli aiuti per l’Ucraina in guerra, ove gli Usa dessero seguito alla minaccia randellata in testa all’ucraino dal presidente Usa, il conto si fa da bancarotta.
La situazione non è mai stata così in bilico ma è certo che, se la premier italiana aspettava l’occasione per mettere alla prova la propria capacità nel fare da ponte fra le due sponde dell’Atlantico, è stata servita molto prima di quanto non prevedesse.
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