Diario minimo (di un conflitto). Forza e coraggio


di Luciano Assin
Venerdì 28 febbraio ci siamo riuniti finalmente per la prima volta dopo i tragici avvenimenti del 7 ottobre di 15 mesi fa. La sala da pranzo, Hadar ochel in ebraico, è tornata ad essere piena come lo era in precedenza, così come tutte le strutture che ci accompagnano durante la nostra quotidianità. In una cerimonia semplice ma emozionante abbiamo ripercorso le tappe salienti di questo periodo così complesso e pieno di piccole e grandi sfide quotidiane. Il kibbutz Sasa fa parte del movimento Hashomer Hatzair, il cui motto è “forza e coraggio” doti indispensabili per chi come noi ha dovuto affrontare questo complicato periodo.  Per descrivere al meglio tutta la complessità ed i differenti stati d’animo che ci hanno accompagnato in questa obbligata diaspora mi affido al discorso scritto da mia figlia Tania per l’occasione. Chiamatelo pure nepotismo, ma obiettivamente io non sarei stato capace di fare di meglio.

“Carissimi haverim, quanto è emozionante incontrarsi e riunirsi dopo un periodo di 17 mesi nei quali siamo stati obbligati a separarci e dividerci in diversi centri sparsi per il paese. Dopo quel tragico sabato nero nessuno di noi poteva prevedere quanto lunga sarebbe stata questa divisione. Una parte di noi ha preso armi e bagagli per un periodo sconosciuto ed una parte ha preferito rimanere a Sasa. La maggior parte di noi ha trascorso questo periodo abituandosi a dei paesaggi a noi meno conosciuti come il lago di Tiberiade o le coste del mediterraneo, ma ognuno di noi, compresi chi decise di rimanere a casa, ha dovuto affrontare questo lungo periodo di incertezza dimostrando inaspettate doti di flessibilità, creatività e adattamento. Attraverso le pagine del nostro giornale, che ha continuato ad uscire con la regolare frequenza settimanale, o tramite le varie chat di whatsapp abbiamo visto come la nostra comunità ha saputo unirsi, organizzare incontri sociali e culturali, celebrare le festività, volontarizzarsi e riaffermare una mai scontata reciproca solidarietà.

Durante questo lunghissimo periodo abbiamo vissuto anche il pesante dolore di tutta la nazione: lo strazio lancinante per la perdita dei caduti, civili e militari, e il destino degli ostaggi rapiti. Anche noi abbiamo passato un tragico periodo di lutti separandoci da 10 nostri amati e cari haverim.

Oggi finalmente siamo di nuovo riuniti, le case sono tornate ad essere illuminate, la sala da pranzo è strapiena e i nostri bambini scorrazzano indisturbati dentro il moadon (la sala comune). Il colbo (minimarket) è lo stesso, siamo noi ad essere cambiati. Anche quando riusciremo a raccontare tutto ciò che abbiamo passato in questo periodo attraverso un documentario o un libro, ci sarà difficile credere che la nostra minuscola comunità dovette abbandonare tutto di punto in bianco, senza alcun preavviso, ma riuscì comunque a salvaguardare se stessa: i suoi membri, la sua struttura, i suoi valori materiali e spirituali.

Voglio augurare a tutti noi qualcosa di diverso: che non tutti torni esattamente come prima, ma anzi che si riesca a migliorarsi ancora di più. Continuare ad essere quelli che siamo stati: bambini a fianco degli anziani che si incontrano lungo i vialetti del kibbutz , in sala da pranzo, nelle feste e nei momenti di gioia e di dolore. Pronti ad aiutarci, a volontarizzarci e impegnarci ogni volta che ce ne sia bisogno.

Perché oggi sappiamo ancora di più quanto tutto ciò è fondamentale e con quanta nostalgia abbiamo immaginato il nostro ritorno a casa. Auguro a tutti noi di continuare a rimanere questo bel kibbutz situato sulla cima di un monte, pieno di persone forti e buone che sanno confrontarsi con delle sfide impossibili e mantenere Sasa prospera, fiorente  e piena delle risate dei bambini, un posto che non è solo una casa, ma molto di più per tutti noi”.

Il discorso, credetemi, in ebraico suona molto meglio.

Bringthemhomenow. Mentre scrivo queste righe 58 ostaggi sono ancora in mano ai nazi islamisti di Hamas. Di questi, secondo le fonti israeliane, 35 sono già morti. Tutto questo senza che la Croce Rossa Internazionale abbia avuto la possibilità di controllarne la loro situazione di salute in barba a qualsiasi regola umanitaria. Né Ginevra né le varie ONG umanitarie hanno avuto il coraggio etico e morale di ammettere la loro negligenza. Anche il fallimentare governo israeliano è complice di questa situazione.Ogni giorno che passa senza la loro liberazione è un giorno di troppo e la loro crudele ed inutile prigionia dovrebbe pesare sulla coscienza di ognuno di noi.

 



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