La lettera a Meloni di Maria Rosaria Ingenito Gargano, già viceprefetta a Roma e segretaria nazionale dell’Unadir, sindacato dei prefettizi, dirigenti e ex-dirigenti contrattualizzati al ministero dell’Interno: «Poiché non ci è dato rilevare segnali che vadano in questa direzione, può spiegare come intende combattere la mafia?»
«Cara presidente Meloni, Lei si serve di soggetti compiacenti che hanno snaturato il proprio ruolo per divenire meri esecutori delle direttive che impone», per questo «colgo l’occasione per sottolineare ancora una volta che il prefetto è un tecnico, ruolo questo che da tempo risulta fortemente ridimensionato, per mire di carriera, e di vantaggi che rendono indegni coloro che si prestano». La lettera, indirizzata a palazzo Chigi, è firmata da Maria Rosaria Ingenito Gargano, già viceprefetta a Roma e segretaria nazionale dell’Unadir, sindacato dei prefettizi, dirigenti e ex-dirigenti contrattualizzati al ministero dell’Interno.
«Il paese va rappresentato nella sua interezza, e non basta continuare ad affermare che il suo obiettivo è la lotta alla mafia. Quale mafia?», scrive Ingenito Gargano: «Poiché non ci è dato rilevare segnali che vadano in questa direzione, può spiegare come intende combattere la mafia?».
La lotta alla mafia è un puntello irrinunciabile della propaganda di governo. Per la presidente del Consiglio «la criminalità organizzata è alle strette», ma per il sindacato le cose non stanno esattamente così.
Carenza di personale
Non c’è solo l’attacco frontale alla magistratura, la nuova legge sulle intercettazioni e quei 45 giorni che, secondo gli investigatori, non bastano. Negli ultimi anni, le prefetture e le questure hanno registrato una diminuzione complessiva del personale di circa il 25 per cento.
Su un organico previsto di 21.680 unità, l’anno scorso ne erano operative solo 15.549, lasciando scoperte 6.131 posizioni. La carenza è particolarmente grave tra i dirigenti: manca il 47 per cento dei viceprefetti e dei viceprefetti aggiunti.
Nella prefettura di Rimini, a fronte di sette posizioni dirigenziali previste, sono attualmente in servizio solo tre viceprefetti, costringendo l’ufficio a ricorrere a incarichi ad interim per coprire le funzioni vacanti. A fine 2023 la prefettura di Roma aveva esaminato solo il 54,97 per cento delle 17.371 domande di emersione presentate nel 2020, con una riduzione del personale del 44 per cento nel 2023 rispetto all’anno precedente.
A Milano, al 21 luglio 2023, era stato definito il 59,21 per cento delle 26.225 domande ricevute, con ritardi attribuiti principalmente alla carenza di personale. La persistente mancanza di personale nelle prefetture compromette inevitabilmente anche l’efficacia dei controlli antimafia, in particolare nelle verifiche legate agli appalti pubblici e all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La riduzione del personale dirigenziale, inoltre, limita la capacità di supervisione e coordinamento delle attività investigative e di prevenzione.
Fuga dalla Pa
Nel bilancio di previsione per il triennio 2025-2027, il ministero dell’Interno ha avviato un piano di rafforzamento del personale, con le prime assunzioni di funzionari a partire da febbraio 2024. Ma l’efficacia di queste misure dipenderà dalla loro tempestiva attuazione e dalla capacità di colmare le lacune esistenti.
«Se davvero questo governo vuole ispirarsi a Falcone e Borsellino, perché riduce i mezzi per combattere la mafia?», dice a Domani Ingenito Gargano, che punta il dito anche contro «la riforma Nordio che è in continuità con la riforma Cartabia», con «radici che portano lontano».
«Volevano deflazionare, fare in modo di dimostrare all’Europa che facciamo il 25 per cento in meno dei processi. Ma questo non vuol dire velocizzarli, come l’Europa chiedeva, vuol dire non farli», dice. E poi ci sono le modifiche al codice degli appalti, che richiederebbero un maggiore controllo delle prefetture, «che però non hanno le forze per farlo».
Per Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale dell’associazione Avviso pubblico, «stiamo registrando una fuga dalla pubblica amministrazione». «Le persone vanno in pensione il prima possibile — spiega Romani — molti preferiscono andare nel privato, dove ci sono più guadagni e meno responsabilità».
«La lotta alla mafia ha bisogno di una buona amministrazione pubblica — dice — quindi con personale, competenze e tecnologia all’altezza». La tecnologia è un altro tasto dolente. Anche il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ha sottolineato come sia difficile stare al passo delle mafie sul campo delle nuove tecnologie. E, come sottolinea Romani, «una buona parte del personale negli enti locali non è nativa digitale, quindi ci sono rallentamenti per ragioni anagrafiche».
Ma il problema, anche per Romani, è che «il tema della lotta alla mafia e alla corruzione non è proprio in testa all’agenda politica, mediatica, sociale». «Oggi hanno in mente solo la sicurezza. Ma bisognerà parlare di mafia, corruzione e sicurezza, senza metterci una o avversativa, perché sono tre fenomeni che stanno insieme». «Oggi si parte dai reati fiscali e si arriva alla mafia, dalla truffa, dalla frode, dalla corruzione per arrivare alla mafia. Noi abbiamo bisogno di potenziare i controlli, e che tra i controlli e la velocità ci sia un connubio, e non un’alternativa». Anche per questo l’abolizione del reato di abuso d’ufficio ha molto più a che fare con la lotta alla mafia di quanto sembri.
Ma il problema è anche, e soprattutto, culturale. «Dobbiamo spiegare che i piani anticorruzione non sono inutili, non sono solo carte, ma, insieme alla formazione e al senso di appartenenza a un paese che, nella Costituzione, chiede ai dipendenti pubblici di agire con fedeltà e onore, sono un argine fondamentale». La sensazione, invece, per Avviso pubblico, è di un nuovo e generale «fastidio per le regole». «Ci vorrebbe un senso del noi e non dell’io, per non disorganizzare l’antimafia». Le criminalità sono organizzate, noi sempre meno.
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