Prefetture in crisi: carenza di personale e mancanza di strategie concrete contro la mafia


ROMA – “Cara presidente Meloni, quale mafia sta combattendo il Governo?” È questa la provocatoria domanda posta da Maria Rosaria Ingenito Gargano, viceprefetta a Roma e segretaria nazionale dell’Unadis, il sindacato dei dirigenti prefettizi, in una lettera inviata a Palazzo Chigi. L’accusa è chiara: la lotta alla criminalità organizzata non può essere solo un proclama politico, ma necessita di strumenti adeguati, soprattutto nelle prefetture, che negli ultimi anni hanno subito un drastico ridimensionamento del personale e delle risorse.

Secondo i dati diffusi dall’Unadis, il personale delle prefetture e delle questure si è ridotto del 25% negli ultimi anni. Su un organico previsto di 21.250 unità, nel 2023 erano operative solo 15.549 persone, con oltre 6.000 posti vacanti. Particolarmente grave è la situazione dei dirigenti: manca il 47% dei viceprefetti e viceprefetti aggiunti. Eclatante il caso della prefettura di Rimini, dove, a fronte di sette posizioni dirigenziali previste, solo tre risultano coperte, costringendo l’ufficio a ricorrere a incarichi ad interim.

A questa carenza di organico si aggiunge una riduzione delle attività di verifica e controllo, fondamentali nella prevenzione e nel contrasto alla mafia. Nel 2020 erano state esaminate il 54,97% delle domande di emersione dal lavoro nero, mentre nel 2023 la percentuale è scesa al 44%. A Milano, al 1° luglio 2023, solo il 59,21% delle 26.225 domande ricevute era stato definito, con ritardi imputati prevalentemente alla carenza di personale.

Prefetture indebolite e mafia più forte

“La persistente mancanza di personale nelle prefetture compromette inevitabilmente l’efficacia dei controlli antimafia, in particolare nelle verifiche legate agli appalti pubblici e all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”, denuncia Ingenito Gargano. Una situazione che rischia di favorire infiltrazioni mafiose nei settori chiave dell’economia pubblica, rendendo più difficile il contrasto alla criminalità organizzata.

Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale dell’associazione Avviso Pubblico, sottolinea come la riforma del codice degli appalti, che richiederebbe un maggiore controllo delle prefetture, rischi di rimanere inefficace proprio per l’assenza di risorse adeguate. “Stiamo registrando una fuga dalla pubblica amministrazione: molte persone preferiscono lavorare nel privato, dove ci sono più guadagni e meno responsabilità”, aggiunge Romani.

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Anche il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ha evidenziato le difficoltà nel contrasto alle mafie sul fronte tecnologico: molte amministrazioni pubbliche, tra cui le prefetture, soffrono di un ritardo digitale che ne limita la capacità di risposta. “Gran parte del personale negli enti locali non è nativo digitale, il che crea ulteriori rallentamenti”, osserva Romani.

Una riforma insufficiente e un problema culturale

Il Governo ha avviato un piano di rafforzamento del personale per il triennio 2025-2027, con le prime assunzioni di funzionari previste a partire da febbraio 2025. Ma per il sindacato Unadis e per Avviso Pubblico, l’efficacia di queste misure dipenderà dalla loro tempestiva attuazione e dalla capacità di colmare le lacune esistenti.

Secondo Ingenito Gargano, la recente riforma della giustizia voluta dal ministro Nordio, che si pone in continuità con la riforma Cartabia, non sta portando a una giustizia più efficiente, ma rischia di ridurre i controlli, compromettendo ulteriormente la capacità dello Stato di contrastare la criminalità organizzata.

“Si parla tanto di sicurezza, ma bisogna parlare anche di mafia e corruzione, senza metterci un ‘o’ avversativo”, conclude Ingenito Gargano. “Oggi si parte dai reati fiscali, si arriva alla mafia attraverso la frode e la corruzione. Noi abbiamo bisogno di potenziare i controlli, affinché tra efficienza e legalità ci sia un connubio, e non un’alternativa”.

Per Avviso Pubblico, il problema non è solo normativo, ma anche culturale. “Dobbiamo spiegare che i piani anticorruzione non sono inutili, non sono solo carte. Sono un argine fondamentale contro le mafie, insieme alla formazione e al senso di appartenenza allo Stato”, conclude Romani. Ma la sensazione, avverte, è che ci sia un nuovo e generale “fastidio per le regole”. Un pericoloso segnale di arretramento nella lotta alla criminalità organizzata.


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