Prima il taglio del cibo, poi l’acqua: il nuovo piano Gaza


L’Unione europea condanna Hamas perché non asseconda la volontà israeliana di ignorare gli accordi sottoscritti, e così facendo legittima la scelta di Tel Aviv di affamare la popolazione di Gaza. Leggere le prime parole della dichiarazione di Kaja Kallas riportate dal suo portavoce, Anwar al-Anouni, fa venir voglia di stropicciarsi gli occhi dall’incredulità.

L’Alta rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, vicepresidente della Commissione europea «condanna il rifiuto di Hamas di accettare l’estensione della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari potrebbe potenzialmente comportare conseguenze umanitarie».

NON SOLO si ignorano completamente le decine di denunce con cui organizzazioni internazionali, ong, associazioni umanitarie hanno dichiarato che la limitazione degli aiuti da parte di Tel Aviv è già causa di pesanti conseguenze, ma si mette in dubbio anche, rendendolo probabile e non certo, un assunto universale per quanto banale: senza cibo le persone muoiono.

Neanche una parola sul genocidio, sull’utilizzo della fame come arma di guerra, che ha già provocato, insieme ad altre accuse, l’emissione dei mandati di arresto da parte della Corte penale internazionale per Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Gallant. Mandati che, d’altro canto, larga parte dell’Ue ha deciso di ignorare.

Eppure, i rappresentanti di governo di Tel Aviv sembrano fare a gara a chi propone le pene più feroci. Non solo il cibo, le medicine, i ripari, si deve tagliare anche l’acqua e l’elettricità, hanno fatto sapere ieri il canale israeliano Kan 11 e il ministro delle finanze Smotrich.

SAREBBERO SOLO alcune delle indiscrezioni sul nuovo piano di «massima pressione» del governo per convincere Hamas a liberare i prigionieri senza alcuna certezza che Netanyahu non riprenda i bombardamenti. L’ex ministro della sicurezza nazionale, il suprematista ebraico Itamar Ben Gvir, che si impegna, con buoni risultati, a stare sempre un passo oltre il baratro dell’orrore, ha dichiarato al Times of Israel che l’esercito dovrebbe bombardare i depositi di aiuti già presenti nella Striscia. Affamare i palestinesi per convincere Hamas ad accettare le proprie condizioni è una formulazione che il governo intero accoglie a braccia aperte.

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La cosa che impressiona di più, rimane forse il controllo completo di Gaza da parte di Israele, dei suoi confini, di ciò che entra, di chi esce e del destino di chi rimane. E questo nonostante la presenza internazionale, la missione dell’Unione europea, i militari provenienti da vari paesi (tra cui l’Italia) presenti al valico di Rafah. Tutti rispondono agli ordini di Israele, anche se il prezzo da pagare è altissimo in termini di vite umane.

Intanto, i bombardamenti israeliani e l’attacco dei droni sono diventati più pericolosi da quando è terminata la prima fase del cessate il fuoco. Domenica sei persone sono state uccise dall’esercito. Altre tre ieri tra Rafah e Khan Younis. Diversi i feriti. Dopo la fine della tregua molte zone sono state prese di mira. Sono almeno 116 i palestinesi uccisi negli ultimi 42 giorni, ossia dall’inizio della tregua. I militari dichiarano di colpire «persone sospette», pure quando si tratta di minori e di gruppi di civili.

ANCHE IN CISGIORDANIA la situazione si fa sempre più difficile. Più di 180 case abbattute a Jenin, il 90% della popolazione sfollata, strade, infrastrutture distrutte, acqua, elettricità e cibo tagliati. L’aspetto peggiore è che gli abitanti non sanno se e quando potranno tornare. Altre volte è successo, in passato, distruzioni enormi, bombardamenti, bulldozer che spaccano in due le vie principali e tagliano la rete fognaria. Ma appena l’esercito si ritirava, i palestinesi erano pronti a ricostruire. Questa volta Tel Aviv ha dichiarato che vuole rimanere, con le ruspe ma anche con i carri armati, e che ai palestinesi non sarà permesso di tornare.

Ieri Khaled Abdullah, un palestinese di 40 anni originario di Jenin, è morto nella prigione israeliana in cui era detenuto senza accuse dal 9 novembre 2023. La Società dei prigionieri palestinesi denuncia le «brutali condizioni» di prigionia in Israele. La famiglia ha dichiarato che Khaled non soffriva di problemi di salute prima di essere fermato. Si tratta del 61esimo palestinese a morire nelle prigioni israeliane dal 7 ottobre 2023.

SEMPRE IERI ad Haifa un uomo ha accoltellato alcune persone in attesa alla fermata dell’autobus. L’aggressore, un druso con cittadinanza israeliana, è stato ucciso sul posto da una guardia di sicurezza, che gli ha sparato insieme a un passante armato. Un uomo di 70 anni, palestinese con cittadinanza israeliana è morto in seguito alle ferite riportate.

Un ragazzo di 15 anni è stato ferito in maniera seria ed è stato operato d’urgenza. La famiglia dell’aggressore ha dichiarato che l’uomo soffriva di disturbi mentali e che non era spinto da motivazioni politiche. I media israeliani hanno confermato che si trattava di una persona nota ai servizi sociali.



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