Reskilling nell’era dell’AI: reinventare talenti e organizzazioni per competere nel futuro


Uno sguardo globale: i dati chiave dal Future of Jobs Report 2025

Prima di approfondire il tema del reskilling, è fondamentale considerare la portata dei cambiamenti che stanno investendo il mercato del lavoro a livello globale. Secondo il World Economic Forum (WEF), i prossimi cinque anni saranno caratterizzati da un’accelerazione tale da richiedere un approccio organico e strutturato alla riqualificazione delle competenze.

  • Creazione di posti di lavoro e riduzione di altri

Il WEF stima che entro il 2030 verranno creati 170 milioni di nuovi posti di lavoro, pari al 14% dell’occupazione attuale, mentre 92 milioni di posizioni scompariranno (8%). Il saldo positivo di +78 milioni di posti di lavoro rappresenta un incremento netto di circa il 7% della forza lavoro globale. La sfida chiave per le aziende sarà gestire questa transizione in modo strategico, facilitando il passaggio dei lavoratori dai ruoli in declino a quelli emergenti, evitando la dispersione di talenti preziosi.

  • Quasi il 60% dei lavoratori avrà bisogno di nuova formazione

Entro il 2030, fino al 59% dei professionisti dovrà aggiornare o acquisire ex novo competenze, soprattutto in relazione alla diffusione di AI, robotica e Big Data. Risulta chiaro che semplici “upgrade” incrementali non siano più sufficienti: occorre ripensare con profondità i percorsi di formazione e sviluppo.

  • Carenza di skill e risposta delle imprese

Oltre sei aziende su dieci (63%) indicano la carenza di competenze adeguate come principale ostacolo all’innovazione. Conseguentemente, l’85% dei datori di lavoro dichiara di voler investire in programmi di upskilling e reskilling, puntando anche a una maggiore mobilità interna e su partnership estese (con università, governi e ONG) per sostenere il cambiamento.

  • Focus su competenze digitali e soft skill

Le competenze più richieste includono AI, Big Data e cybersecurity, insieme a una solida padronanza tecnologica di base (“technology literacy”). Parallelamente, in un contesto in continua evoluzione, resilienza, flessibilità e apprendimento continuo assumono un ruolo sempre più strategico per affrontare le incertezze economiche.

  • La transizione verde accelera il cambiamento

Il 47% delle organizzazioni dichiara di voler ridurre le emissioni, mentre il 41% punta a prepararsi all’impatto dei cambiamenti climatici. Questo scenario apre opportunità per ruoli incentrati sulla sostenibilità, come i Renewable Energy Technicians o gli Environmental Engineers, e rende prioritario il reskilling in ambito “green”.

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  • Automazione e AI: il confine tra lavoro umano e tecnologico

Secondo le analisi del WEF, attualmente il 47% delle attività lavorative è svolto prevalentemente da esseri umani, il 22% dalle macchine e il 30% con una sinergia uomo-tecnologia. Entro il 2030, tali percentuali dovrebbero convergere su un equilibrio quasi perfetto: 34% esseri umani, 33% macchine, 33% collaborazione uomo-tecnologia. La quota di attività svolte solo da personale umano è quindi destinata a ridursi, rendendo fondamentali programmi di riqualificazione volti a integrare competenze “human” e intelligenza artificiale.

In tale scenario, la formazione continua diventa un vero motore di competitività. Non bastano più corsi di aggiornamento tecnico sporadici: occorre ripensare l’intera mappa delle competenze in un’ottica di medio-lungo periodo, riconoscendo la riqualificazione come un investimento strategico e strutturale. Questo approccio si traduce operativamente in cinque paradigmi chiave, emersi dall’esperienza di aziende leader e dalle ricerche congiunte di Harvard e BCG.

Reskilling nell’era dell’Intelligenza Artificiale: 5 nuovi paradigmi per aziende e lavoratori

Negli ultimi decenni, l’evoluzione tecnologica ha trasformato il mondo del lavoro a una velocità senza precedenti. Oggi, le nuove tecnologie non si limitano più ad automatizzare attività ripetitive e manuali, ma stanno ridefinendo anche il lavoro cognitivo, dalla ricerca alla programmazione, fino alla scrittura. La durata media delle competenze si è drasticamente ridotta: una skill tecnica resta attuale per meno di cinque anni e, in alcuni settori tecnologici, il ciclo di obsolescenza si riduce a soli due o tre anni. Uno studio di Boston Consulting Group (BCG) evidenzia che, in molte aziende, gli investimenti nel reskilling possono arrivare fino all’1,5% del budget totale, un segnale concreto della sua centralità nelle strategie di sviluppo.

Il reskilling non è più un semplice aggiornamento marginale delle competenze, ma una leva strategica per costruire un vantaggio competitivo duraturo per le imprese e, al contempo, un’opportunità concreta di crescita e rilancio professionale per i lavoratori.

La ricerca congiunta di Harvard e BCG

Uno studio condotto da Jorge Tamayo (Harvard Business School), Leila Doumi (Harvard Business School), Sagar Goel (Boston Consulting Group e BCG Henderson Institute), Orsolya Kovács-Ondrejkovic (Boston Consulting Group e BCG Henderson Institute) e Raffaella Sadun (Harvard Business School), realizzato presso il Digital Data Design Institute di Harvard, all’interno del Digital Reskilling Lab, e il BCG Henderson Institute, ha analizzato in profondità il fenomeno del reskilling. La ricerca ha coinvolto dirigenti di quasi 40 organizzazioni appartenenti a diversi settori, tutte impegnate in iniziative di riqualificazione su vasta scala.

Il confronto con questi leader ha permesso di individuare sfide comuni, strategie emergenti e nuovi approcci per affrontare il tema della riqualificazione: dalla definizione delle tempistiche ottimali, alla selezione delle competenze chiave, fino all’identificazione degli strumenti più efficaci per raggiungere gli obiettivi aziendali.

Dall’analisi sono emersi cinque cambiamenti di paradigma fondamentali per il reskilling, determinanti per le aziende che vogliono rimanere competitive in un contesto in cui automazione e intelligenza artificiale stanno ridefinendo le regole del mercato. Ognuno di questi paradigmi trova conferma nell’esperienza di imprese che, superando ostacoli imprevisti, hanno saputo trasformare il reskilling in un vantaggio concreto e misurabile.

  1. Il reskilling: una leva strategica per la competitività

Tradizionalmente, il reskilling è stato visto come uno strumento per attenuare l’impatto di licenziamenti o ristrutturazioni aziendali, oltre che per sostenere una narrativa positiva sul piano della responsabilità sociale. Oggi, invece, le aziende più avanzate lo considerano un pilastro strategico per costruire e preservare un vantaggio competitivo. In un contesto in cui i cicli tecnologici si accorciano e la forza lavoro diventa sempre più diversificata, la capacità di aggiornare e riconvertire internamente competenze difficili da reperire sul mercato si rivela un fattore chiave di differenziazione.

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Saldo e stralcio

 

  • Infosys ha riconvertito oltre 2.000 specialisti in cybersecurity.
  • Vodafone punta a formare internamente il 40% del proprio fabbisogno di sviluppatori software.
  • Amazon ha trasformato migliaia di dipendenti generalisti in esperti di machine learning, grazie alla Machine Learning University.

Mahindra & Mahindra, Wipro ed Ericsson hanno adottato logiche analoghe, proponendo piattaforme digitali e percorsi formativi su misura per ogni dipartimento, trasformando il reskilling in un asset di employer branding. McDonald’s, con l’app “Archways to Opportunity”, guida i lavoratori verso ruoli di crescita, interni o esterni all’azienda, mappando accuratamente le competenze acquisite.

ICICI Bank, in India, gestisce un “modello-accademia” che riqualifica tra 2.500 e 4.000 laureati all’anno—di estrazione eterogenea—per coprire ruoli manageriali. CVS, durante la pandemia, ha integrato professionisti provenienti dall’hospitality (settore duramente colpito dalla crisi), insegnando loro in tempi record le competenze sanitarie fondamentali per campagne di test e vaccinazione.

  1. Il reskilling èuna responsabilità di tutti i leader

In molte aziende, il reskilling è ancora visto come una funzione esclusiva del dipartimento HR e misurato con indicatori limitati, come le ore di formazione erogate o il costo per partecipante. Tuttavia, secondo un’analisi di Boston Consulting Group (BCG), solo il 24% delle imprese integra il reskilling nella propria strategia aziendale complessiva.

Le aziende più avanzate, invece, coinvolgono attivamente tutti i livelli di leadership—dal CEO al COO, fino ai responsabili di funzione—per sottolineare con decisione l’urgenza e i benefici della riqualificazione delle competenze.

  • Ericsson integra i propri piani di upskilling e reskilling negli OKR (Objectives and Key Results) aziendali, formando oltre 15.000 dipendenti in AI e automazione in tre anni.
  • CVS rende ogni responsabile di dipartimento artefice della definizione dei percorsi di riqualificazione, monitorandone poi i risultati.
  • Amazon annovera il reskilling tra i suoi principi di leadership, sottolineandone la valenza strategica.
  1. Reskilling come progetto di cambiamento

Un errore comune è considerare la formazione un semplice trasferimento di conoscenze. In realtà, avviare un programma di reskilling su larga scala equivale a gestire un progetto di change management. Perché sia efficace, è essenziale creare un ecosistema di apprendimento strutturato, che includa una cultura aziendale favorevole, processi ben definiti e incentivi mirati, in modo da garantire uno sviluppo delle competenze sostenibile nel tempo.

  • 3.1 Domanda e offerta di competenze

Il primo passo è definire con precisione le competenze già presenti in azienda e quelle che diventeranno fondamentali nel breve e lungo termine. Molte imprese si basano su tassonomie esterne, come quella del World Economic Forum, per poi adattarle alle proprie esigenze. Questo approccio consente di mappare accuratamente le skill richieste per ogni ruolo, evitando disallineamenti tra dipartimenti e garantendo una pianificazione efficace.

  • 3.2 Prevedere le competenze del futuro

Un’accurata pianificazione del capitale umano è essenziale per allineare il reskilling alle esigenze strategiche dell’azienda. Allianz, ad esempio, aggiorna ogni anno un modello predittivo che traduce gli obiettivi di crescita in stime sul fabbisogno di talenti, integrando fattori macroeconomici e tendenze di digitalizzazione.

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  • 3.3 Reclutamento, valutazione e selezione dei candidati

Uno degli ostacoli principali al reskilling è il “talent hoarding”, ovvero la tendenza dei manager a trattenere i collaboratori più talentuosi per timore di perderne il contributo operativo. Questo fenomeno può rallentare la mobilità interna e limitare la crescita delle competenze all’interno dell’azienda.

Per contrastarlo, Wipro e Amazon hanno integrato nelle performance review dei manager criteri che valutano la loro propensione a favorire la crescita interna, incentivando così la mobilità dei talenti. Novartis, invece, ha sviluppato un marketplace interno basato sull’intelligenza artificiale, che analizza le competenze e le aspirazioni dei dipendenti per suggerire loro progetti e ruoli in linea con il loro potenziale di sviluppo.

  • 3.4 Integrare la formazione nel lavoro quotidiano

Per gli adulti, la formazione è più efficace quando si svolge sul campo, attraverso esperienze pratiche. ICICI Bank combina periodi di studio intensivo con inserimenti operativi nelle filiali, garantendo un apprendimento continuo. Tuttavia, la formazione non può limitarsi al solo periodo di studio: è fondamentale accompagnare i lavoratori nella transizione ai nuovi ruoli con programmi di mentoring e affiancamento, facilitando così l’adattamento alle nuove responsabilità.

  1. Le persone vogliono riqualificarsi, purché sia chiaro il ritorno

Si teme spesso una resistenza dei lavoratori, legata a limiti di tempo o timori per il futuro. Eppure, un’analisi di Boston Consulting Group (BCG) indica che il 68% dei dipendenti è consapevole dei cambiamenti in corso e pronto a riqualificarsi per rimanere competitivo. La chiave sta nel trattarli da partner, offrendo vantaggi tangibili e trasparenti.

  • Amazon rimborsa integralmente i costi di certificazioni e lauree attraverso il programma “Career Choice”, rendendo i vantaggi immediatamente tangibili.
  • Vodafone dedica quattro giornate all’anno alla sola formazione, mentre Bosch offre fino a due giorni di studio retribuito a settimana per un anno.
  • Iberdrola ha riqualificato 3.300 dipendenti su turni, pianificando gli orari con il coinvolgimento dei manager di prima linea, offrendo ore di formazione retribuite e riducendo al minimo l’impatto sull’operatività.
  1. Il reskilling si gioca in un ecosistema pampio

Il reskilling non è solo questione di politiche interne. Le organizzazioni più dinamiche collaborano con università, governi e ONG per accelerare lo sviluppo di competenze specialistiche e coinvolgere segmenti di popolazione spesso esclusi.

  • Alleanze settoriali
    A Singapore, il Technology in Finance Immersion Programme nasce dalla collaborazione tra banche, compagnie assicurative e società di gestione patrimoniale, coordinate dall’Institute of Banking and Finance, per formare competenze specialistiche nel fintech.
    In Europa, diversi attori hanno dato vita all’Automotive Skills Alliance, dedicata alla riqualificazione dei lavoratori in un settore—l’automotive—che sta vivendo una rapida transizione verso l’elettrico.
  • Partner sociali
    Le ONG specializzate possono favorire l’inclusione di lavoratori provenienti da settori in crisi, o con percorsi di studio meno lineari, ampliando il bacino di talenti disponibili per le aziende.

Conclusioni

Nell’era dell’AI e dell’automazione, il reskilling non è più un semplice aggiornamento occasionale, ma una leva strategica imprescindibile, capace di trasformare processi e cultura aziendale. Le evidenze fornite dal World Economic Forum e dalle ricerche di Harvard e BCG delineano un quadro chiaro: le aziende che vogliono competere a livello globale devono investire in programmi di riqualificazione ambiziosi, capaci di integrare le competenze interne, preparare manager e dipendenti alla collaborazione uomo-macchina e valorizzare il contributo dell’ecosistema esterno.

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La sfida è duplice: da un lato, l’obsolescenza accelerata delle competenze; dall’altro, l’opportunità di trasformare la formazione in un vantaggio competitivo. Le organizzazioni che sapranno superare approcci frammentari in favore di una visione strategica condivisa potranno innovare, attrarre talenti e affrontare con successo le incertezze del futuro.

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