BARCELLONA – Carla Haddad Mardini ha un compito difficilissimo. È la responsabile del fundraising privato e delle partnership di Unicef, l’agenzia dell’Onu, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia nato nel 1946, all’indomani della seconda guerra mondiale, per aiutare i bambini che uscivano dal conflitto. Da allora si occupa di assistenza ai più piccoli e alle loro madri, in particolare nei paesi a basso o medio reddito, nei teatri di guerra, nei territori dimenticati. Se è vero che Unicef è finanziato con contributi volontari di paesi, governi e privati, è altrettanto vero che il taglio verticale dei fondi statunitensi per la cooperazione internazionale mette a dura prova il lavoro di questa manager 49enne libanese con passaporto svizzero, con un lungo passato alla Croce Rossa Internazionale, di cui è stata per alcuni anni il volto pubblico della comunicazione, oltre a occuparsi sempre di risorse, donazioni, relazioni istituzionali.
Il taglio dei fondi da parte di Trump: “Flussi e riflussi, guardiamo al lungo termine”
Nel 2023 il governo statunitense, tramite il programma Usaid, è stato il primo finanziatore di Unicef con quasi 1,5 miliardi di dollari. Con il quasi totale azzeramento di quelle risorse, ruoli-chiave come quelli di Haddad Mardini in queste organizzazioni diventano ancora più importanti.
“Ci sono sempre flussi e riflussi, e noi guardiamo al lungo termine – ci racconta nel piccolo stand di Unicef, nelle retrovie del sesto padiglione della fiera, durante il Mobile World Congress di Barcellona, dove l’abbiamo incontrata per farci raccontare i progetti tecnologici dedicati ai bambini e la collaborazione con i big player del tech – bisogna guardare nel lungo periodo e continuare a costruire la fiducia e la conoscenza, assicurandoci che il settore privato veda sé stesso anche come un attore sociale molto critico e importante che può guidare il cambiamento”. Per questo, il dialogo è la chiave: “Continueremo a concentrarci su questo dialogo per assicurarci che una prospettiva attenta ai bambini sia sempre al centro della scena: è importante da un punto di vista intergenerazionale quando si tratta di sfide come il cambiamento climatico, la povertà educativa, il divario digitale, i problemi di salute mentale a livello globale che toccano paesi ad alto, medio e basso reddito”.
Digital divide: 2,2 miliardi di bambini sono offline. E aggrava il divario di genere
Il divario digitale, che porta con sé opportunità mancate in termini di educazione, formazione, lavoro e crescita personale, è drammatico. Circa 2,2 miliardi di bambini e ragazzi, due terzi degli under 25 mondiali, non ha accesso casalingo a internet spiega un’indagine condotta con Itu, International Telecommunication Union. Per esempio, solo il 5% dei bambini e dei giovani adulti in Africa Centrale e Occidentale ne dispone, rispetto al 33% della media globale. Le differenze sono ancora più eclatanti tra i paesi ricchi e quelli poveri: nei paesi a basso reddito solo il 6% dei bambini e dei giovani ha accesso a internet, rispetto all’87% dei paesi ad alto reddito.
Il problema riguarda in particolare le bambine, dove il digital divide si intreccia al divario di genere. I numeri sarebbero tanti. Solo per citarne alcuni, il 90% delle adolescenti che vivono nei paesi a basso reddito è infatti offline. Una discriminazione che non riguarda solo le loro storie personale ma che costa a quei paesi e alle loro economie, quasi mille miliardi di prodotto interno lordo perso nell’ultimo decennio. E sempre in quei territori, le adolescenti hanno il 20% di possibilità in meno di possedere uno smartphone e il 50% di poter avere un minimo accesso a internet. Nello stesso tempo, laddove invece quell’opportunità è garantita, occorre occuparsi si predisporre un terreno sicuro e fertile per un uso consapevole del web. Non basta: solo il 25% dele ragazze in tutto il mondo studia materie scientifiche, matematiche, ingegneristiche o tecnologiche e fra l’altro alcune ricerche mostrano che il 70% dei prodotti tecnologici non riesce a incrociare i bisogni di gruppi marginalizzati, incluse le adolescenti, per limiti di design di base. I servizi finanziari mobile sono accessibili ad appena il 25% delle donne nei paesi a basso e medio reddito.
Il progetto Giga Initiative
“Oltre al lavoro di advocacy e di pressione, che non si interrompe mai e punta a fare in modo che istituzioni e privati vedano il mondo con gli occhi dei bambini, ci sono i progetti e le partnership che mettiamo in campo a livello globale, regionale e locale – continua Haddad Mardini – la prima che vorrei raccontarti si chiama Giga Initiative. Lanciata insieme all’Itu, parte dall’idea di collegare ogni scuola del mondo a internet. Per farlo, però, occorre mappare la connettività degli istituti globali. Un lavoro monumentale per avere una panoramica nel corso della quale abbiamo scoperto che in realtà non sappiamo quante scuole esistano davvero a livello globale. Una mappa per poi intervenire a livello locale con governi e operatori telco per garantire la connettività anche in aree rurali. La connettività è il prerequisito, il resto segue”.
Un altro progetto importante si chiama invece Learning Passport. Sviluppata con Microsoft Community Training, consiste in sostanza in una piattaforma mobile disponibile online e offline dedicata alla continuità educativa dei bambini. Fornisce corsi flessibili e disponibili appunto offline da poter seguire ovunque, dai campi profughi alle zone di guerra per cercare di non interrompere il percorso formativo. La metà degli utenti – sono già 10 milioni a usarla in 46 paesi – è costituito da ragazze adolescenti. “In movimento, con elettricità, senza elettricità, in un campo profughi, in un tentativo di insediamento, che siano sfollati o rifugiati, consente di proseguire la propria formazione ed essere accreditati” spiega l’alta dirigente dell’Unicef. La Game Changers Coalition supportata da Sony e Microsoft, invece, punta di nuovo a favorire la formazione in ambito Stem ed è ancorata al più ampio quadro battezzato Skill4Girls attivo in 30 paesi con 153mila persone che si sono già messe alla prova nel coding, sfornando per esempio 3mila prototipo di videogiochi. Un modo per penetrare mondi fortemente maschili e discriminatori e formarsi anche negli ambiti più complessi dell’universi tecnologico, come quello del coding.
La salute mentale e la libertà di espressione
Fra le tante iniziative “uno dei nostri più grandi successi si chiama Global Coalition for Youth Mental Health e ha alle spalle un’assicurazione, la fondazione di un’assicurazione, la Zurich Foundation, che ha coinvolto a sua volta piattaforme come Spotify, Pinterest, Sony: forniscono finanziamenti all’Unicef per realizzare programmi sulla salute mentale sul campo, ad esempio dalla promozione alla prevenzione fino alla cura e al trattamento. Un adolescente su sette soffre di questo tipo di problematiche e uno su quattro vive con genitori che ne soffrono e queste piattaforme si sono impegnate anche a occuparsene in spazi dedicati sui propri siti e sulle proprie app: “La salute mentale è una parte essenziale della nostra salute globale, come la parte fisica, e durante tutta la nostra vita passiamo costantemente da condizioni di fragilità a condizioni di salute migliori – spiega Haddad Mardini – penso che la necessità di supporto e servizi debbano essere a disposizione nel corso di tutta l’esistenza. Questo progetto è partito con la crisi ucraina per supportare i giovani profughi ucraini con podcast e brevi esercizi di meditazione. Lo stiamo espandendo in Asia, America Latina e in altre regioni”. A questo, e alla libertà di espressione, si legano poi altri programmi come U-Report, una community digitale di Unicef dedicata all’attivismo e alla mobilitazione sui temi politici che stanno più a cuore ai ragazzi.
Haddad Mardini, una vita per i bambini
Ma perché Haddad Mardini ha scelto ormai da molti anni di lavorare per e con i bambini? “Sono nata in Libano e cresciuta durante la guerra degli anni Ottanta – risponde – la mia generazione è quella, come la chiamano, dei ‘figli della guerra’. Sinceramente, penso che se sono dove sono oggi è grazie agli investimenti che i miei genitori hanno fatto per proteggere la loro e la mia istruzione più di ogni altra cosa. Ricordo le interruzioni di corrente, niente elettricità nel bunker, la sensazione di non sapere se il giorno dopo sarei stata ancora viva. Eppure continuavamo il programma scolastico con gli insegnanti che venivano a casa o con i nostri genitori improvvisati maestri nei rifugi, al buio. Ho questo ricordo surreale: il teorema di Pitagora in quel contesto di guerra. Forse è anche per questo che penso di sentirmi a mio agio in situazioni in cui è necessario negoziare linee di demarcazione in materia di sicurezza, istruzione, mezzi di sussistenza”.
Quanto alle sfide più gravi per l’infanzia di oggi, purtroppo dopo decenni in cui pensavamo di aver almeno superato alcune situazioni, almeno in certe parti del mondo, “i bambini si ritrovano ancora ad affrontarle – spiega la funzionaria Unicef – povertà di apprendimento critica in certi periodi dello sviluppo cerebrale, ragazze che vengono cacciate da scuola, violenze. È davvero deprimente vedere il mondo in cui viviamo in questo momento e il livello di violenza che i bambini subiscono in tutti gli ambiti. Fra l’altro è molto triste è che alcuni conflitti e alcune emergenze finiscano sui titoli dei media e attirino l’attenzione e altri come quelli in Sudan e ora nella Repubblica democratica del Congo quasi non esistano. Per questo abbiamo una responsabilità quando si tratta dell’equità del nostro lavoro: dobbiamo assicurarci di esserci per tutti i bambini, ovunque, e non per alcuni bambini da qualche parte”.
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