Beppe Sala, che concluderà il suo secondo mandato di sindaco di Milano nel maggio del 2027, scende in campo. Sul suo futuro dopo l’esperienza a Palazzo Marino si è detto e si continua a dire tanto. In molti si chiedono cosa farà. In un colloquio col direttore del Foglio, Claudio Cerasa, fa capire chiaramente che il suo posto in futuro è sempre in politica. “Esiste uno spazio enorme, tra i poli, che merita di essere presidiato e quello spazio, un domani, sarà decisivo per vincere le elezioni”, ha detto nell’intervista.
In particolare, sulla possibilità di uno spazio per un’alternativa sia alla destra che alla sinistra, Sala ha spiegato: “Cerchiamo di capire se può essere così. Vede, io non sono tra quelli che si illudono che Forza Italia domani mattina, o con le nuove elezioni, possa cambiare schieramento politico, possa abbandonare i suoi storici alleati, possa cioè immaginare un’alleanza che guardi al centrosinistra. O almeno, non mi farei troppe illusioni”. Secondo lui, comunque, è necessario che nasca una nuova forza moderata: “Deve nascere. Le due domande sono: quando e con che modalità. Sul quando non bisogna avere troppa fretta ma bisogna evitare che si arrivi tardi: penso sia il momento per iniziare a ragionare su questo punto. Ho visto recentemente un sondaggio Swg secondo cui mettendo insieme Azione, Italia viva, Più Europa si arriva all’otto per cento. Otto per cento così, oggi, senza nemmeno essere partiti. Ma attenzione: il tema non è creare una nuova sigla. Il tema è dare una dimensione unitaria a queste realtà, con un programma condiviso e un obiettivo preciso: creare un’alternativa agli estremismi. Io questo progetto, lo dico senza titubanze, lo guarderei con interesse. Il mio mandato da sindaco finirà a maggio del 2027, le elezioni politiche saranno sostanzialmente contemporanee, salvo sorprese: i tempi possono combaciare. Facciamo un passo alla volta, ma facciamolo”. Il sindaco ha anche detto che non esclude la possibilità di candidarsi alle elezioni regionali.
Su Elly Schlein federatrice del centrosinistra, invece, è stato piuttosto vago: “Vedo che ci sono molte opzioni, molte idee, molti schemi. Io dico che bisogna riflettere, che non ci sono automatismi, che bisogna avere il coraggio di uscire dagli schemi e che quando arriveremo al momento del dunque bisognerà capire quale sarà la proposta politica più adeguata. Ci sarà bisogno di una proposta più radicale, come può essere il modello Schlein? Ci sarà bisogno di una risposta più moderata, alla Gentiloni? Emergerà una figura diversa? Vedremo. Ma ciò che conta deve essere l’obiettivo: come vincere le prossime elezioni e, di conseguenza, come prepararsi all’elezione del prossimo presidente della Repubblica”.
Secondo lui, inoltre, l’europeismo non è morto: “Quello che è successo in Germania, dove gli estremisti non hanno vinto, è un segnale positivo. Quello che sta succedendo in Austria, dove gli europeisti governeranno, è un segnale positivo. Stanno nascendo coalizioni che hanno soprattutto lo scopo di confermare un credo europeista e di portare avanti un percorso politico che è moderato ma anche riformista. E penso che da questo punto di vista il comportamento scellerato, arrogante da parte dell’Amministrazione americana sarà un acceleratore di un processo inevitabile: convincere, anche i più scettici tra gli europeisti, che l’unico modo per non farci travolgere è imparare dai nostri errori e crescere, è essere più veloci, è prendere spunto dal grande piano Draghi per vincere la nostra sfida con gli Stati Uniti”. Secondo lui, però, il governo italiano non sarebbe poi così europeista: “Prima di tutto direi che vi è un atteggiamento di eccessiva accondiscendenza nei confronti di Trump. L’accondiscendenza ha molte sfumature. Quella più importante mi sembra questa: la volontà di non prendere sul serio le oscenità del presidente americano”.
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