Addio Bruno Pizzul | Signore del calcio e del vino, “bianchista convinto”, amico di Reja e Capello per quel “feeling di gente di frontiera”


Una voce di altri tempi: Bruno Pizzul ha raccontato il calcio, e lo sport, con garbo ed eleganza. Un autentico signore, lucido fino all’ultimo. Sabato, giorno del suo ottantasettesimo compleanno, avrebbe dovuto partecipare a un evento legato al prossimo Giro d’Italia. La tappa numero 14, Treviso-Nova Goriça/Gorizia, si svolgerà il 24 maggio, a due passi da Cormons, dove si era ritirato dopo aver fatto il giro del mondo. “Bruno, vengo a prenderti, andiamo insieme”, le ultime parole di Edy Reja al telefono, la scorsa settimana. Pizzul non aveva la patente. Si muoveva in bicicletta. Anche a Milano, dove piantò le tende ai tempi della Rai e dove era stato assunto nel 1969, dopo aver partecipato al concorso per radio-telecronisti in Friuli-Venezia-Giulia. Diplomato al liceo classico e laureato in Giurisprudenza, lasciò il posto di professore di materie letterarie delle scuole medie per raccontare lo sport. Con la sua voce. Inconfondibile.

Ex mediano, stazza fisica fuori dal comune con i suoi centonovanta centimetri di altezza, approdato ventenne al Catania nel 1958 dopo Cormonese e Pro Gorizia, fu costretto a ritirarsi sul più bello: fatale un serio infortunio al ginocchio. Ischia e Udinese furono le ultime tappe, prima di voltare pagina. L’esperienza sul campo non si tradusse solo in competenza tecnica, ma gli permise anche di capire le dinamiche interiori del mondo del calcio. Allenatori e giocatori lo sentivano uno di loro. “Conosceva la materia e raccontava le partite con garbo e sobrietà”, racconta con un filo di commozione Fabio Capello, uno dei migliori amici di Bruno nell’ambiente. Si ritrovavano spesso Pizzul, Capello e Zoff. “Feeling di gente di frontiera, cresciuti in una terra che dopo la Seconda guerra mondiale trascorse anni non facili – continua Capello -. Pizzul era un uomo perbene, un signore. Metteva le persone a suo agio nel lavoro e non è da tutti, anzi”.

In Rai, Pizzul coltivò un rapporto speciale con un talento del giornalismo come Beppe Viola, al quale si legano l’aneddoto della prima partita da telecronista e di un memorabile “cazziatone”. Bruno era stato designato per Juventus-Bologna dell’8 aprile 1970, spareggio di Coppa Italia, sul campo neutro di Como. Viola lo trascinò a pranzare lontano. Pizzul si presentò in tribuna quando già erano trascorsi 15 minuti. La fortuna fu che si trattò di una differita – a proposito di altri tempi -, ma il giorno dopo, i capi fecero la ramanzina a Bruno, aggiungendo, con sottile perfidia: “Attento alle compagnie che frequenti”. Pizzul non ascoltò il consigliò e con Viola, che definì Bruno “la persona più buona del mondo”, fu amicizia vera. Una foto, in bianco e nero, circola in queste ore sui social. Beppe e Bruno insieme. Due fuoriclasse.

La prima gara importante raccontata in diretta da Pizzul fu l’ultimo atto dell’europeo 1972 Germania Ovest-Urss (3-0). Nel 1973 fu il telecronista della finale di Coppa delle Coppe Milan-Leeds, 1-0. Gianni Rivera, che di quel Milan era la stella, è stato uno dei talenti più apprezzati da Pizzul. Poi Roberto Baggio, al quale dedicava sempre un tono un filo leggermente più alto rispetto al suo stile garbato, lontano anni luce dagli acuti esasperati dell’ultimo ventennio. “Curavo le parole, oggi si strilla troppo”. Maneggiava la lingua italiana con competenza. Si percepivano gli anni del liceo classico. Raccontò la tragedia dell’Heysel nella finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, 29 maggio 1985. Il mondiale in Messico nel 1986 fu la prima delle sue cinque spedizioni iridate. Poi Italia 1990 e le notti magiche. L’avventura sfortunata della nazionale sacchiana a Usa 1994. La spedizione in Francia nel 1998. L’amarezza dell’eliminazione degli azzurri trapattoniani in Giappone e Corea, nel 2002, un paio di mesi prima del congedo in Rai: Italia-Slovenia, Udine, 21 agosto 2002, 0-1. Chiuse da inviato speciale. “Non pensai mai alla carriera. Non volevo chiudermi in una stanza e comandare. Non faceva per me. Volevo andare in giro per il mondo e raccontare il calcio. Sono stato fortunato a potermi consentire questo privilegio”. In un’intervista rilasciata a Fabrizio Bocca, ex giornalista di Repubblica, rivelò: “Non mi convince l’abuso di “covercianese”, l’utilizzo di termini complicati e non comuni. La cornice ha preso il sopravvento. Lo spettacolo è diventato il commento stesso. Oggi, grazie a internet, si sa tutto sui giocatori. Si parla della zia di Rivera e alla fine si dimentica Rivera”.

Il pensionamento non gli tolse il buonumore, lo sguardo leggero e ironico sulla vita, la passione per lo sport: ciclismo e boxe in particolare, ma anche il canottaggio. Continuava a raccontarlo, anzi a scriverlo, per il Messaggero Veneto. Con gli amici di sempre, le partite a scopone e tressette erano un rito. Non mancava mai un bicchiere di vino bianco. “Un convinto bianchista”, ricorda Reja. Fumava, ma la moglie Maria, soprannominata la Tigre, vigilava. Era un tifoso del Torino, da sempre. Degli allenatori di oggi, aveva una considerazione particolare per Carlo Ancelotti “per il suo modo disincantato di fare calcio”. Poi Allegri, Pioli e Simone Inzaghi. E poi ancora Mourinho, il suo opposto: “Un caso unico”. Aveva la mente aperta: è stato un convinto sostenitore del calcio femminile, e non solo perché una dei suoi undici nipoti è una giocatrice. “All’oratorio, un giorno facemmo una festa perché arrivò un oggetto più o meno rotondo, che una volta era stato un pallone. Oggi ci sono tanti bei palloni e pochi ragazzi che giocano, in parrocchia e in strada. Ci mancano molto i calciatori da strada”. Adesso ci mancherà anche lui, con le sue tre parole che rappresentavano il massimo dei suoi acuti. “Tutto molto bello”. È stato davvero bello ascoltare Bruno Pizzul, gran signore di altri tempi.

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