Le novità del Collegato lavoro in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro


La sorveglianza sanitaria

L’art. 1, comma 1, lett. d), del Collegato lavoro abroga la lett. e-bis) del comma 2 dell’art. 41 del TU sulla sicurezza e modifica la lett. a) stabilendo che la sorveglianza sanitaria comprende la visita medica preventiva, “anche in fase preassuntiva”, intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro a cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica. La visita medica preventiva in fase preassuntiva costituirà, dunque, una delle modalità di adempimento dell’obbligo in capo al medico competente e non potrà più essere chiesta dal datore di lavoro al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria locale.

La modifica si inserisce nella lunga querelle sul contrasto con l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori secondo il quale è vietato al datore di lavoro di svolgere accertamenti sanitari sui lavoratori per verificarne l’idoneità al lavoro se non per il tramite del servizio sanitario nazionale. In passato, il D.Lgs. n. 106/2009 aveva abrogato il divieto contenuto nel TU sulla sicurezza consentendo al datore di lavoro l’ammissibilità delle visite mediche “in fase preassuntiva” sia attraverso il medico competente sia avvalendosi dei dipartimenti di prevenzione delle ASL.

Altra questione al centro del dibattito giurisprudenziale (Cass. civ. 12/10/2022, n. 29756; Cass. civ. 27/3/2020, n. 7566) e dottrinale è quella della visita medica precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, con la finalità di valutare l’idoneità alla mansione disciplinata alla lett. e-ter) sempre del comma 2 dell’art 41 cit. In questa specifica ipotesi, il Collegato lavoro ha attribuito al medico competente la facoltà di decidere se sottoporre o meno il lavoratore alla visita medica, mentre prima della novella la visita era necessaria. Ora la disposizione riformulata dispone espressamente che “qualora non ritenga necessario procedere alla visita, il medico competente è tenuto a esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica”.

Le criticità, ormai superate, derivavano dal precedente obbligo di sottoporre a visita medica il lavoratore in tutte le ipotesi previste dal comma 2 dell’art. 41 – tra cui quella indicata nella citata lett. e-ter) – anche nei casi in cui una tale visita fosse inutile per l’assenza di esposizione del lavoratore a rischi chimici, biologici, meccanici o legati all’uso di videoterminali (Interpello Sicurezza n. 1/2024).

Diversamente, a seguito della modifica apportata dal Collegato lavoro, il medico competente ha acquisito una discrezionalità (tecnica) che gli consente di evitare visite che dovesse ritenere ultronee.

Il Collegato lavoro sostituisce il comma 2-bis dell’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, secondo il quale il medico competente, nella prescrizione di esami clinici e biologici e di indagini diagnostiche ritenuti necessari in sede di visita preventiva, tiene conto delle risultanze dei medesimi esami e indagini già effettuati dal lavoratore e risultanti dalla copia della cartella sanitaria e di rischio in possesso del lavoratore stesso ai sensi dell’art. 25, comma 1, lett. e), al fine di evitarne la ripetizione, qualora ciò sia ritenuto compatibile dal medico competente con le finalità della visita preventiva. I risultati diagnostici e gli esami clinici potrebbero essere valutati dal medico competente anche per evitare la visita medica al lavoratore che rientri al lavoro dopo sessanta giorni. La novella è altresì legata ad un risparmio di spesa del datore di lavoro in quanto ai sensi dell’art. 41, comma 4, prima parte, del D.Lgs. n. 81/2008, gli esami clinici e biologici e le indagini diagnostiche sono a carico dell’azienda e sono mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente.

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La cartella clinica, completa dei già menzionati esami, è poi necessaria in sede di ricorso contro i giudizi espressi dal medico competente. A tal fine la L. n. 203/2024 ha correttamente eliminato il riferimento all’organo di vigilanza per la proposizione dei ricorsi avverso le decisioni del medico competente attribuendo definitivamente la competenza all’azienda sanitaria locale territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

La lett. c) dell’art. 1 del Collegato lavoro ha inserito il comma 4-bis all’interno dell’art. 38 del TU sulla sicurezza, in tema di verifica periodica della formazione del medico competente ai fini della permanenza nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute. La competenza all’accertamento del possesso dei crediti formativi del programma di educazione continua in medicina, anche attraverso l’utilizzo dei dati contenuti nell’anagrafe nazionale, è attribuita quindi al Ministero della salute.

I locali chiusi sotterranei e semisotterranei

L’art. 1, comma 1, lett. e), del Collegato lavoro ha riscritto i commi 2 e 3 dell’art. 65 del TU sulla sicurezza in merito al provvedimento autorizzatorio in deroga per l’utilizzo dei locali chiusi sotterranei o semisotterranei.

La precedente formulazione prevedeva una deroga al divieto solo in caso di “particolari esigenze tecniche” in cui, comunque, il datore di lavoro doveva assicurare idonee condizioni di aereazione, illuminazione e microclima dei locali; in tutti gli altri casi era necessario un provvedimento autorizzatorio emanato dal Dipartimenti di prevenzione delle ASL. Le condizioni per ottenere il provvedimento di autorizzazione allo svolgimento delle lavorazioni in locali chiusi sotterranei o semisotterranei erano subordinate, oltre che ai suddetti requisiti di sicurezza, anche all’assenza di emissioni di agenti nocivi.

Il Collegato lavoro, nell’ottica di una semplificazione e liberalizzazione delle attività produttive, ha eliminato il riferimento alle “particolari esigenze tecniche”, generalizzando la deroga per le lavorazioni che “non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi” (punto 2.1. dell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008), che rispettino i “requisiti di cui all’allegato IV, in quanto applicabili” (punto 1.2.) e che assicurino, comunque, “idonee condizioni di aereazione, di illuminazione e di microclima” (punti 1.9., 1.9.1., 1.10).

La riforma ha attribuito la competenza all’Ispettorato nazionale del lavoro, che, con la nota prot. 811 del 29 gennaio 2025, ha fornito i primi chiarimenti in merito alla procedura autorizzatoria. In particolare, la comunicazione dell’utilizzo dei locali, ai sensi del novellato comma 3 dell’art. 65, deve essere presentata esclusivamente per i locali che siano già dotati di titolo edilizio con destinazione d’uso compatibile con il tipo di attività lavorativa per la quale si presenta la comunicazione. Questa deve essere redatta in carta semplice o compilando il modulo predisposto dall’INL e inoltrata esclusivamente tramite posta elettronica certificata al competente ufficio territoriale nel termine di 30 giorni prima dell’effettivo utilizzo, modifica o voltura dei locali.

L’Ispettorato precisa che in caso di variazione della ragione sociale o del datore di lavoro, sarà sufficiente trasmettere all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente una semplice dichiarazione con la quale si attesti il permanere di quanto precedentemente comunicato ripotando gli estremi della comunicazione trasmessa ai sensi dell’art. 65, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008.

La competenza, dunque, si incardina presso l’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo in cui si svolgono le lavorazioni indipendentemente se l’azienda, multilocalizzata, abbia la sede legale in una provincia differente.

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La comunicazione in deroga, sottoscritta dal datore di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, dovrà essere accompagnata da una relazione descrittiva del tipo di attività lavorativa svolta (ad esempio produttiva, di magazzinaggio, di esposizione) nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 65. Inoltre, alla stessa dovrà essere allegata una asseverazione di un tecnico abilitato (iscritto all’Albo professionale) contenete le dichiarazioni di conformità dei locali alla normativa igienico-sanitaria, edilizia e di sicurezza, nonché la conformità di tutti gli impianti presenti (condizionamento, ascensore, idrotermosanitario, elettrico, ecc.). Sul piano della conformità alla vigente normativa edilizia sarà necessario far riferimento ai regolamenti edilizi comunali dove si dovranno svolgere le lavorazioni.

L’INL ricorda anche che, ai sensi del comma 3 dell’art. 65, non è possibile presentare la comunicazione se l’attività lavorativa comporta l’emissione di agenti nocivi, come ad esempio, la verniciatura, i processi di saldatura, l’uso di minerali a spruzzo, l’uso di solventi e collanti non ad acqua, la ricarica di batterie, le lavorazioni di materie plastiche a caldo, ovvero le attività commerciali come le officine con prova motori, le falegnamerie, le tinto-lavanderie, lo sviluppo e stampa, la tipografia.

Particolare attenzione è stata posta sulla valutazione dei livelli di concentrazione di gas radon secondo la previsione dell’art. 17, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 101/2020. La norma stabilisce che entro 24 mesi dall’inizio dell’attività l’esercente effettua le misurazioni della concentrazione media annua di attività di radon in aria avvalendosi dei servizi di dosimetria riconosciuti. Pertanto, la relazione rilasciata dal tecnico abilitato dovrà essere allegata alla comunicazione in deroga e anche al documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 17 del TU sicurezza.

La “Commissione interpelli sulla sicurezza” con l’Interpello n. 5/2015 aveva affermato che nell’ambito dell’atto autorizzatorio anche eventuali limitazioni sull’orario di lavoro dovevano trovare concreta e determinata motivazione strettamente correlata alle esigenze imposte e specificate dalla norma medesima; tuttavia, nella nota dell’Ispettorato non vi è traccia sull’obbligo del datore di lavoro di specificare la compatibilità dell’articolazione oraria con l’esposizione del lavoratore ai rischi aziendali.

La comunicazione dovrà essere rinnovata ogni qualvolta vi sia una modifica ai locali, agli impianti o al ciclo lavorativo che determinino una variazione “significativa” del rischio di esposizione ad agenti nocivi, alle condizioni di cui all’Allegato IV ovvero ai requisiti di aereazione, illuminazione e microclima.

Il nuovo comma 3 dell’art. 65 prevede un silenzio-assenso all’utilizzo dei locali quando siano decorsi 30 giorni dalla comunicazione, salvo che l’Ispettorato competente non chieda “ulteriori informazioni”. L’Ispettorato, nella nota citata, ha precisato che la richiesta dovrà essere avanzata “qualora la documentazione trasmessa dal datore di lavoro risulti incompleta o carente delle informazioni contenute nel modello di istanza della comunicazione”. In tal caso, l’utilizzo dei locali sarà consentito trascorsi 30 giorni dalla comunicazione delle ulteriori informazioni richieste, salvo espresso divieto da parte dell’ufficio medesimo.

Le istanze presentate prima del 12 gennaio 2025 – entrata in vigore del Collegato lavoro – restano di competenza delle ASL che potranno provvedervi secondo la prassi amministrativa vigente al momento della presentazione della comunicazione, senza che la norma sopravvenuta possa trovare applicazione nel corso dello sviluppo delle fasi endoprocedimentali.

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La tessera di riconoscimento negli appalti e subappalti

Il Collegato lavoro abroga i commi 3, 4 e 5 dell’art. 36-bis del D.L. n. 223/2006 che introducevano, nell’ambito dei cantieri edili, l’obbligo in capo ai datori di lavoro di munire il personale occupato di apposita tessera di riconoscimento e l’obbligo da parte dei lavoratori di esporla.

L’abrogazione deriva dal fatto che i citati obblighi sono già previsti da alcune disposizioni contenute nel TU sicurezza. In particolare, gli artt. 20, comma 3, 21, comma 1, lett. c) e 26, comma 8, prevedono l’obbligo del lavoratore subordinato e autonomo ex art. 2222 c.c. di esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro, nell’ambito delle attività in regime di appalto e subappalto. Tale obbligo è esteso anche ai componenti dell’impresa familiare, ai coltivatori diretti del fondo, ai soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, agli artigiani e ai piccoli commercianti, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgono attività in regime di appalto e subappalto.

L’art. 36-bis cit. prevedeva quindi l’obbligo del tesserino di riconoscimento nell’ambito dei cantieri edili, mentre le suddette disposizioni hanno generalizzato l’onere nell’ambito degli appalti e subappalti “interni” (circ. Min. lav. 28 settembre 2006, n. 29). Come ha chiarito lo stesso Ministero del lavoro (circ. 14 novembre 2007, n. 24) la norma intende “consentire una più agevole identificazione del personale impiegato in contesti organizzativi caratterizzati dalla compresenza, in uno stesso luogo, di lavoratori appartenenti a diversi datori di lavoro”, permettendo dunque “l’inequivoco ed immediato riconoscimento del lavoratore interessato”.

L’obbligo datoriale, pertanto, è quello di “munire” il “personale occupato” dall’azienda – come tale intendendosi “sia i lavoratori subordinati che coloro i quali risultano comunque inseriti nel ciclo produttivo, ricevendo direttive in ordine alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa dedotta in contratto” – della tessera di riconoscimento, mentre l’obbligo in capo al lavoratore è quello di esporre detta tessera.

Sul piano sanzionatorio, l’INL con la nota prot. n. 656 del 23 gennaio 2025 ha distinto le ipotesi del lavoratore subordinato da quello autonomo.

Nel primo caso, il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice che non fornisce ai propri dipendenti un’apposita tessera di riconoscimento è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore; mentre il lavoratore delle medesime imprese che non espone la tessera è sanzionato con una sanzione variabile da 50 a 300 euro.

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Nel secondo caso, i componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c., i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 c.c., i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti che non si muniscono di un’apposita tessera di riconoscimento secondo la previsione dell’art. 21, comma 1, lett. c), sono sanzionati con una sanzione da 50 a 300 euro per ciascun soggetto. Infine, il lavoratore autonomo che esercita direttamente la propria attività nel contesto di un appalto o subappalto ai sensi dell’art. 20, comma 3, che non espone la tessera di riconoscimento è punito con una sanzione amministrativa da 50 a 300 euro.

Il Collegato lavoro abroga definitivamente la tenuta del registro di cantiere, in luogo della tessera di riconoscimento, per le aziende che occupano “stabilmente” meno di dieci dipendenti (quindi da nove in giù). Pertanto, anche tali imprese saranno obbligate a munire il proprio personale dipendente della tessera di riconoscimento se effettuano lavori in appalto o subappalto.

L’interpello in materia di salute e sicurezza

L’art. 1, comma 1, lett. a), del Collegato lavoro riscrive l’art. 12 del TU sulla sicurezza modificando, rispetto alla precedente formulazione, solamente il profilo professionale richiesto per i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali e del Ministero della Salute all’interno della “Commissione interpelli sulla sicurezza”, che per il resto rimane invariata. Il profilo ora necessario è quello giuridico.

Non è stata approvata, invece, la proposta di modifica del comma 1 dell’art. 12 che avrebbe sostituito il concetto di “comparativamente rappresentativo” con quello di “maggiormente rappresentativo” sul piano nazionale delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori che possono inoltrare alla Commissione per gli interpelli quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro (DDL n. 1532-bis). La proposta di modifica avrebbe avuto la finalità di allineare l’art. 12 con l’art. 9 del D.Lgs. n. 124/2004 sul diritto di interpello sull’applicazione della normativa lavoristica e previdenziale.

La relazione annuale sullo stato della sicurezza nei luoghi di lavoro

Nel Capo II del Titolo I del TU sulla sicurezza è stato inserito l’art. 14-bis secondo il quale, entro il 30 aprile di ciascun anno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali rende comunicazioni alle Camere sullo stato di sicurezza nei luoghi di lavoro, con riferimento all’anno precedente, nonché sugli interventi da adottare per migliorare le condizioni di salute e di sicurezza e sugli orientamenti e i programmi legislativi che il Governo intende adottare per l’anno in corso.

Le Camere, pertanto, possono adottare atti di indirizzo diretti al Governo, sebbene la novella ponga una clausola di invarianza finanziaria che fa emergere la contraddizione per cui, a fronte della possibilità del Ministro di proporre “orientamenti e programmi legislativi”, sono preclusi gli incrementi di spesa necessari proprio per migliorare i livelli di tutela in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il presente contributo contiene opinioni di carattere strettamente personale dell’Autore e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

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