L’intelligenza artificiale (IA) sta ridefinendo, anche, le dinamiche tra consumatori e brand. Un esempio, ripreso dal MIT Technology Review, il periodico bimestrale di proprietà del Massachusetts Institute of Technology, riguarda un’azienda di meal prep che spiega come preparare piatti semplici e gustosi.
Come l’IA sta cambiando la dinamica tra brand e consumatori
Un utente ha chiesto un parere sui servizi dell’azienda a ChatGPT, il sistema di intelligenza artificiale generativa di OpenAI, che ha descritto l’azienda come “complicata e confusa”.
Jack Smyth, responsabile soluzioni AI presso Jellyfish l’agenzia di marketing di Brandtech Group, leader mondiale nella consulenza in digital marketing, evidenzia come le IA interpretino e influenzino la percezione delle aziende e dei loro brand. Uno studio del Boston Consulting Group rivela che il 28% degli intervistati utilizza l’IA per consigliare prodotti. Con la diffusione dei sistemi di AI capaci di gestire direttamente gli acquisti, diventa cruciale per le aziende e i loro brand comprendere come i loro prodotti e servizi vengono percepiti da questi modelli.
Valutare la percezione dei brand attraverso modelli di IA
La società di Smyth ha sviluppato “Share of Model”, un software che valuta la percezione dei brand attraverso diversi modelli di IA. Ogni modello, basato su differenti dataset di training, può avere una visione diversa della stessa azienda e degli stessi brand. Un esempio? Il modello Llama di Meta potrebbe considerare un brand “affidabile ed entusiasmante”, mentre ChatGPT di OpenAI potrebbe vederlo solo come “entusiasmante”. “È molto simile a un sondaggio, solo che qui gli intervistati non sono esseri umani ma i modelli linguistici di grandi dimensioni”, afferma Smyth.
Adattare la comunicazione del brand per influenzare l’IA
Per le aziende e i loro brand l’obiettivo non è solo comprendere la percezione dell’IA, ma anche provare ad influenzarla per modificarla. Gokcen Karaca, responsabile digitale e design presso Pernod Ricard, multinazionale francese specializzata nella fabbricazione e la distribuzione di vini ed alcolici, ha notato che Llama identificava il whisky Ballantine’s come un prodotto premium, nonostante sia destinato a un pubblico di massa. Per correggere questa discrepanza, il team ha creato nuovi contenuti sui social media per enfatizzare l’appeal universale del prodotto. Sebbene i risultati siano ancora preliminari, Karaca osserva una tendenza positiva: “Abbiamo impiegato molto tempo per apportare piccole modifiche. Non posso fornire dati certi, ma la traiettoria verso il nostro obiettivo è positiva”.
Se fino a pochi anni fa la sfida era dominare le prime posizioni nei motori di ricerca, Google in testa, oggi la partita si gioca anche nel modo in cui gli LLM (Large Language Models) comprendono e raccontano le aziende e i loro brand.
L‘importanza del brand journalism nella strategia digitale
Per questo, il brand journalism – attraverso strumenti come magazine e blog aziendali – sta emergendo come una strategia decisiva per influenzare positivamente l’AI e, di conseguenza, il sentiment che queste tecnologie trasmettono agli utenti quando forniscono risposte su un’azienda o un brand.
Le intelligenze artificiali generative – come ChatGPT o Llama – funzionano analizzando enormi volumi di contenuti disponibili sul web. I dati di training provengono da articoli, report, siti ufficiali, recensioni e post sui social. Di conseguenza, se un brand non ha una forte presenza editoriale con contenuti di qualità, rischia di essere definito e interpretato da fonti terze, che potrebbero non restituire un’immagine fedele o addirittura penalizzarlo.
Le sfide nell’influenzare i modelli linguistici di grandi dimensioni
I blog aziendali e i magazine proprietari rappresentano, quindi, una fonte primaria di informazioni che le AI possono assimilare, offrendo un punto di vista ufficiale e strutturato sull’identità di un brand, i suoi valori e la sua offerta. Non solo: questi contenuti possono diventare risorse chiave per orientare il modo in cui le AI rispondono agli utenti quando vengono interrogate.
Attenzione però quando parliamo di brand journalism, la coerenza è tutto. I modelli di AI, infatti, tendono a privilegiare le informazioni più citate, più strutturate e più coerenti tra loro. Se un brand comunica messaggi contraddittori o ha una presenza digitale frammentata, l’AI potrebbe faticare a interpretarlo correttamente, restituendo risposte incoerenti o addirittura penalizzanti.
Mentre i social media offrono contenuti effimeri, spesso difficili da recuperare dai modelli AI un ulteriore vantaggio di blog e magazine aziendali è la loro capacità di posizionarsi nel tempo come fonti autorevoli.
Influenzare l’AI non è un gioco da ragazzi
Influenzare l’IA però non è un gioco da ragazzi, servono strategie complesse e team esperti. Tuttavia, l’emergere di modelli di ragionamento, che esplicitano il processo decisionale, potrebbe facilitare la comprensione dei criteri alla base delle raccomandazioni. Ad esempio, se si nota che un’IA valorizza particolarmente una determinata caratteristica, i marketer possono focalizzarsi su questo aspetto nelle loro strategie.
AI e nuove strade per plasmare la percezione delle aziende e dei loro brand
La necessità di influenzare i modelli linguistici di grandi dimensioni, usati sempre di più come veri e propri motori di ricerca, ha aperto nuove strade per plasmare la percezione delle aziende e dei loro brand. Uno studio della Carnegie Mellon University di Pittsburgh dimostra che modificare i prompt può alterare significativamente le raccomandazioni dell’IA. Ad esempio, cambiando leggermente la formulazione di una richiesta, un modello di Google è passato dal non raccomandare affatto un prodotto a consigliarlo nel 100% dei casi. Questo suggerisce che le aziende e i loro brand potrebbero cercare di influenzare i prompt suggeriti online per orientare le risposte dell’IA a loro favore.
Lo sviluppo tecnologico dell’IA ci sta facendo assistere a qualcosa di molto simile rispetto a quanto è avvenuto con l’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) negli ultimi decenni.
Le tendenze (bias) intrinseche nei modelli di IA
Un’altra sfida riguarda le tendenze (bias) intrinseche nei modelli di IA. Una ricerca dell’Università della Florida del Sud indica che le IA tendono a considerare i marchi globali di qualità superiore rispetto a quelli locali. Ad esempio, menzionando un global brand come Nike, l’IA lo descrive come “alla moda” o “molto comodo”, mentre un marchio locale potrebbe essere etichettato come “di scarsa qualità” o “scomodo”. Questo evidenzia la necessità per i brand locali di lavorare sulla propria presenza digitale non essere sovrastati da quelli globali.
Non basta però limitarsi ad esserci (sito internet e presenza social) la necessità, soprattutto per le aziende e i brand locali, è quella di creare contenuti di qualità affidandosi alla creatività ed alla qualità dello storytelling.
L’IA può anche fungere da focus group virtuale per le aziende e i loro brand. Prima di lanciare una campagna pubblicitaria, le aziende possono utilizzare l’IA per valutare l’efficacia dei loro messaggi da diverse prospettive.
“Rendere un brand accessibile a un LLM è davvero difficile se il brand si presenta in modi diversi, in ambienti digitali e luoghi diversi e non c’è forza nell’associazione al brand” spiega Rebecca Sykes, partner di Brandtech Group. In un contesto in cui l’IA analizza ogni aspetto della comunicazione di un brand, la coerenza diventa fondamentale. Una presenza digitale uniforme e ben curata facilita l’accessibilità del marchio ai modelli di IA, migliorando la qualità delle raccomandazioni generate.
Strategie per conquistare il nuovo pubblico digitale dell’IA
L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il rapporto tra aziende, brand e consumatori, trasformandosi da semplice strumento tecnologico a vero e proprio intermediario nella scelta dei prodotti e dei servizi. I modelli linguistici avanzati, sempre più presenti nelle ricerche degli utenti, stanno diventando una sorta di “filtro digitale” attraverso cui i brand vengono valutati, raccomandati o ignorati. In questo scenario, ignorare il modo in cui l’AI percepisce il proprio brand significa lasciare la propria reputazione unicamente nelle mani di un algoritmo.
La lezione è chiara: così come le aziende hanno dovuto adattarsi alle logiche della SEO per emergere sui motori di ricerca, oggi devono imparare a dialogare con le intelligenze artificiali. E il brand journalism – con blog, magazine aziendali e una strategia di contenuti strutturata e coerente – rappresenta la leva più efficace per farlo. Non si tratta più solo di raccontare il brand ai clienti o potenziali tali, ma anche di costruire uno storytelling chiaro e riconoscibile per i modelli di AI che sempre più spesso guidano le decisioni d’acquisto.
L’AI non è solo uno strumento, ma anche un nuovo pubblico da conquistare, un’entità capace di modellare la percezione del brand su larga scala. E proprio come accade con i clienti umani, la chiave sta nella qualità, nella coerenza e nell’autorevolezza del messaggio. Chi saprà governare questa trasformazione, integrando l’intelligenza artificiale nella propria strategia di comunicazione, avrà un vantaggio competitivo decisivo. Perché nel futuro prossimo la reputazione di un brand non si costruirà solo nelle conversazioni tra le persone, ma anche nelle risposte generate da un algoritmo.
In definitiva, la percezione che l’IA ha di un brand può influenzare significativamente le decisioni dei consumatori.
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