Pfas, l’esposizione prolungata altera il metabolismo del calcio ed aumenta il rischio di osteoporosi














Un nuovo studio condotto da ricercatori della Università di Padova e dell’Ospedale di Vicenza, grazie ad un finanziamento regionale del Consorzio per la Ricerca Sanitaria (Coris) della Regione Veneto, ha messo in luce come la esposizione prolungata ai Pfas (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) possa alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio circolante.

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Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Chemosphere, ha coinvolto 1.174 adulti provenienti da un’area da decenni interessata da contaminazione delle acque potabili che sono al centro di crescente preoccupazione per la salute pubblica.      I PFAS (perfluorinated alkylated substances), nascono negli anni ’40 come composti chimici detti “di sintesi”. Oggi, contiamo oltre 4.000 sostanze appartenenti a questa famiglia, molto utilizzate nella industria. I processi industriali nei quali i PFAS sono coinvolti sono moltissimi grazie alla loro resistenza e alla loro scarsa affinità, sia con acqua che con i grassi. Si tratta, infatti di sostanze idrorepellenti e oleorepellenti.


“Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una maggiore fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento, ma che si può manifestare in giovane età, dove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze” – ha spiegato il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio.


Precedenti studi dell’equipe del professor Foresta avevano già dimostrato, tra i primi a livello internazionale, una riduzione della densità ossea, clinicamente rilevata in diciottenni dell’area rossa in Veneto.


“Successivamente abbiamo spiegato questo effetto dimostrando una attività negativa dei PFAS sul recettore della vitamina D, ormone che favorisce la calcificazione dell’osso e l’assorbimento intestinale del calcio dalla dieta, ed un deposito di queste sostanze nell’idrossiapatite, la principale componente inorganica dello scheletro, dove lega il calcio stesso favorendo la solidità ossea” – ha spiegato il professor Foresta.

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In questo studio, i ricercatori hanno misurato i livelli di PFAS, calcio, vitamina D e paratormone nel sangue di 655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni, dell’area rossa del Veneto ed hanno scoperto che persone con concentrazioni più elevate di PFAS presentavano anche livelli di calcio nel sangue aumentati. Lo studio ha coinvolto ricercatori tra Padova, Vicenza e Napoli ed è il risultato di quattro anni di lavoro.


“Un aumento del calcio circolante può essere dovuto ad un aumentato assorbimento intestinale mediato dalla vitamina D, ad un aumento del paratormone, oppure ad un maggior rilascio di calcio dai siti di deposito ed il più grande deposito di calcio del corpo umano è proprio lo scheletro” – ha spiegato il professor Andrea Di Nisio, primo autore dello studio. “Poiché nel nostro studio, vitamina D e paratormone non sono modificati, i nostri risultati dimostrano che l’aumento di calcio, anche se ancora entro il range di normalità, può essere segno di una interferenza dei PFAS a livello dell’osso, dove i PFAS si accumulano in abbondanza.


Un recente studio ha infatti dimostrato che i PFAS inducono un aumento della attività degli osteoclasti, le cellule dello scheletro deputate al riassorbimento di tessuto osseo, con conseguente liberazione di calcio e riduzione della densità dell’osso”.


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Questo studio si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso l’impatto ambientale dei PFAS, anche alla luce delle recenti evidenze della presenza di questi inquinanti su tutto il territorio nazionale.


La contaminazione delle acque del Veneto, iniziata diversi decenni fa, ha reso evidente come un problema localizzato possa trasformarsi in una questione di salute pubblica, sollecitando ulteriori ricerche ed interventi preventivi.


“I nostri risultati ci spingono a riflettere su come una esposizione prolungata a PFAS, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine” – ha concluso il professor Foresta.


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“Abbiamo dimostrato che la associazione tra PFAS ed osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da una azione diretta dei PFAS sull’osso, con conseguente liberazione di calcio”.


Metodo di studio e risultati


Lo studio è stato finanziato nel 2021, approvato dal Comitato Etico nel 2022 e da fine 2022 a giugno 2023 sono stati reclutati i pazienti, tutti residenti nei comuni dell’area rossa della provincia di Vicenza.


L’Ospedale di Vicenza ha effettuato i prelievi e raccolto i questionari anamnestici, l’Arpav ha calcolato i dosaggi dei PFAS.

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L’obiettivo di questo studio era di valutare la possibile associazione tra l’esposizione ambientale ai PFAS e i livelli di vitamina D (VitD), calcio sierico e ormone paratiroideo (PTH) in soggetti residenti in un’area ad alta esposizione della Regione Veneto in Italia.


In questo studio osservazionale trasversale, 1174 soggetti sono stati valutati per dati demografici, antropometrici e analisi del sangue. I dati sulle abitudini alimentari e l’integrazione di Vitamina D sono stati ottenuti tramite un questionario dedicato. Le concentrazioni sieriche di PFAS, calcio, 25-idrossi-vitamina D (25OH-VitD) e PTH sono state determinate da campioni di sangue.


L’acido perfluoroottanoico (PFOA), il perfluoroottanosolfonato (PFOS) e l’acido perfluoroesansolfonico (PFHxS) sono stati gli unici tre PFAS su 12, quantificabili in almeno il 90% dei campioni e considerati per ulteriori analisi.


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I modelli additivi generalizzati, utilizzando la regressione lineare e le spline di piastra sottile di smoothing, hanno rilevato una associazione positiva tra il calcio sierico e tutti i PFAS considerati (PFOA: ꞵ = 0.03; IC 95% 0.01 – 0.06; PFOS: ꞵ = 0.06; IC 95% 0.02 – 0.09; PFHxS: ꞵ = 0.04; IC 95% 0.01 – 0.06).


L’analisi dei gradi di libertà stimati (EDF) ha mostrato l’associazione approssimativamente lineare tra il calcio sierico con PFOA (EDF =1.89) e PFHxS (EDF =1.21), ma non per PFOS (EDF = 3.69).


Diversamente, i livelli di PFAS non hanno mostrato alcuna associazione con la 25-idrossi-vitamina D o il PTH, ad eccezione della 25OH-D trasformata in logaritmo naturale e del PFOS (ꞵ =0.04; IC 95% 0.00 – 0.08).


Le analisi stratificate hanno confermato l’associazione positiva tra tutti i PFAS considerati e il calcio nei soggetti che non assumevano integratori di VitD.

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I risultati mostrano che alti livelli di esposizione ai PFAS possono interferire con il metabolismo del calcio, indipendentemente dallo stile di vita e dai fattori dietetici.
























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