Sardegna, quando la politica si trasforma in una gara a chi cade più in basso


  La Sardegna torna al centro di polemiche giudiziarie e politiche che sembrano condannare l’isola a un eterno ring di accuse reciproche. Da un lato, Christian Solinas – ex presidente della Regione – è stato rinviato a giudizio con l’accusa di corruzione. Secondo la Procura di Cagliari, avrebbe gonfiato il prezzo di vendita di un’ex abbazia, mascherando la differenza come tangente; inoltre, avrebbe conseguito una laurea honoris causa in Albania in cambio di una nomina politica. 

  Dall’altro, l’attuale governatrice Alessandra Todde si ritrova dichiarata decaduta per presunte irregolarità nella rendicontazione delle spese elettorali. Due vicende profondamente diverse, eppure il dibattito pubblico le sta appiattendo in un’unica contesa, come se fosse solo una sfida a chi abbia commesso l’errore più grave.

  La posizione di Solinas è seria: se le accuse della magistratura dovessero essere confermate, emergerebbe un quadro di mercimonio di cariche e interessi, con l’utilizzo della cosa pubblica a vantaggio di pochi. È uno scenario che, per chi segue la politica regionale, non cade del tutto dalle nuvole. Già durante la sua presidenza, erano emersi dubbi sulle procedure di nomina e sugli appalti, sollevati anche da settori della stessa maggioranza. La prima udienza del processo è fissata per il 5 giugno 2025, e sarà cruciale capire se la giustizia confermerà o smentirà quelle che, per ora, restano ipotesi accusatorie. 

  Sul fronte opposto, la decadenza di Alessandra Todde è legata a procedure elettorali: mancanza di un mandatario e incongruenze contabili. Lei ha respinto ogni addebito, sostenendo di non aver commesso alcuna violazione sostanziale e annunciando ricorso. Ciò non ha impedito all’opposizione di chiedere le sue dimissioni immediate, rinfocolando il clima di tensione. È un’accusa dalle conseguenze politiche potenzialmente rilevanti, ma che si muove su un piano diverso dal reato di corruzione. Eppure, nel tritacarne mediatico, tutto finisce per confondersi, generando la percezione (o l’alibi) che «sono tutti uguali». 

  Mentre i sostenitori di Solinas si affannano a dipingere la questione di Todde come parimenti scandalosa, e l’opposizione rilancia contro Solinas definendolo il “vero” responsabile di reati ben più gravi, la discussione politica sarda si sta riducendo a un brutale “chi è più colpevole?”. È la logica tossica del populismo da salotto televisivo: invece di distinguere le responsabilità e le possibili pene, si mette tutto nello stesso calderone, denigrando la politica nel suo insieme. Questo non fa che rafforzare la sensazione di un ceto dirigente autoreferenziale, più impegnato a screditarsi reciprocamente che a governare un’isola che avrebbe bisogno di soluzioni concrete, soprattutto in settori strategici come lavoro, trasporti e ambiente.

Il rischio reale è che la rissa copra i veri problemi e conduca alla paralisi dell’attività amministrativa. 

  Se la maggioranza continua a difendere Todde senza un esame serio delle criticità interne, e l’opposizione si limita alle invettive contro la governatrice, l’azione di governo si blocca. Peggio ancora, la tentazione di delegittimare ogni avversario, bollandolo come “corrotto” o “disonesto”, finisce col disintegrare la fiducia collettiva nelle istituzioni. Un’amministrazione che opera tra sospetti, titoli di giornale e colpi bassi finisce per sfiancare i cittadini, portando molti a concludere che “tanto sono tutti uguali”.

In un momento storico in cui la politica sarda dovrebbe concentrarsi su come far crescere l’isola – dalle politiche di sviluppo turistico a quelle per l’innovazione e la sostenibilità – l’ennesimo teatrino giudiziario-politico getta un’ombra sinistra sul futuro. Distinguere un’accusa di corruzione da una vicenda burocratica è doveroso, ma ancor di più lo è affrontare i problemi alla radice: da un lato, se le inchieste confermeranno le responsabilità di Solinas, occorrerà una profonda riflessione su quali meccanismi consentano ancora simili pratiche; dall’altro, occorrerà fare chiarezza sulla posizione della governatrice, ma evitando di strumentalizzare ogni passaggio come un pretesto per chiedere la testa dell’avversario.

La vera domanda è se i sardi siano disposti a subire passivamente quest’ennesimo spettacolo, o se pretenderanno finalmente che la politica torni a occuparsi della crescita e del benessere dell’isola. Perché la Sardegna merita molto di più di una sfida all’ultimo scandalo: merita una classe dirigente capace di trasparenza, competenza e, soprattutto, responsabilità verso la collettività. Finché le lotte di potere prevarranno su ogni altra considerazione, la tentazione di screditare le istituzioni finirà per trionfare sulla volontà di costruire. E questo, al di là di ogni colpevolezza o innocenza, è il fallimento più amaro per chi ama davvero questa terra.

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