In Serbia scoppia una rissa in parlamento per le dimissioni del primo ministro Vučević, proprio all’indomani dei festeggiamenti per i quattro mesi di rivolta celebrati a Niš, dove gli studenti hanno emanato un Editto per la democrazia.
La rissa in parlamento
Martedì 4 marzo, scene di caos hanno agitato il parlamento serbo, alle prese con la formalizzazione delle dimissioni del primo ministro Miloš Vučević: alcuni membri dell’opposizione hanno acceso dei fumogeni ed è scoppiata una rissa che ha causato il ferimento di due persone, mentre una folla di manifestanti si è prontamente radunata davanti all’edificio. È stata tirata anche dell’acqua contro la presidente del parlamento Ana Brnabić.
Gli scontri sono iniziati quando la maggioranza ha adottato l’ordine del giorno con decine di modifiche di legge. Forte dell’impossibilità da parte del governo dimissionario di proporre nuove leggi, l’opposizione è insorta cercando di interrompere la seduta e scatenando la rissa. L’obiettivo era semplice: portare tra le mura del parlamento le proteste di piazza, ufficializzando così la volontà dei cittadini di fare luce su una vicenda tanto orrenda quanto opaca: il crollo della pensilina alla stazione di Novi Sad, causa scatenante di queste proteste, le più imponenti contestazioni al governo nazionale degli ultimi trent’anni. Il regime di Aleksandar Vučić è infatti ritenuto responsabile delle quindici vittime causate dall’incidente, diventato l’emblema della corruzione endemica che ristagna nel paese.
Le manifestazioni, iniziate come proteste studentesche contro la corruzione, si sono progressivamente estese ad altre fasce della popolazione, diventando antigovernative. Le richieste dei manifestanti sono sempre le stesse da mesi: la pubblicazione della documentazione dei lavori di rinnovo della ferrovia di Novi Sad; la liberazione degli studenti arrestati e la persecuzione degli infiltrati; nonché l’aumento del 20% del budget per le università. Se fino ad oggi, i partiti dell’opposizione avevano appoggiato gli studenti ma non avevano avuto un ruolo attivo nelle proteste, le scene di martedì in parlamento sembrano spostare la protesta anche all’interno delle istituzioni, con conseguenze al momento difficili da prevedere.
Niš: una festa che protesta
Dopo quelle oceaniche di Belgrado e Novi Sad, l’ultima grande manifestazione ha avuto luogo lo scorso fine settimana a Niš, nel sud del paese, dove 250.000 persone si sono radunate per difendere la democrazia. Da venerdì 28 febbraio i manifestanti hanno raggiunto la cittadina da tutto il paese, a piedi o in bicicletta, accolti come star con tanto di tappeto rosso e campane a festa.
La protesta è iniziata sabato alle 9 del mattino e ha incluso varie attività, tra cui canti, giochi, balli (su tutti il Kolo, la danza tipica balcanica), esibizioni di gruppi musicali e anche una rappresentazione teatrale chiamata “Costituzione”. Qualcuno sventolava anche la bandiera jugoslava. Centinaia gli slogan, segno di una protesta sempre più creativa: dal più famoso “Pumpaj!”, vero e proprio leitmotiv della rivolta, al più sobrio “Rivoluzione della coscienza”, passando per alcuni riferimenti al Rinascimento, interpretati dal filosofo Ivan Milenković come segno della volontà degli studenti serbi di rovesciare il presidente Aleksandar Vučić, il signore che ha fatto della Serbia il suo feudo personale.
Anche la Chiesa ortodossa, paralizzata in una sorta di scisma, sta accusando il colpo inferto dalle proteste: se le autorità religiose locali hanno benedetto i manifestanti al loro passaggio, sbilanciandosi in una posizione assai scomoda, i vertici della Chiesa ortodossa serba restano saldamente ancorati dalla parte del potere. Davanti a questa situazione, ci si interroga su cosa potrebbe succedere se uno dopo l’altro anche i Ministri di Dio iniziassero a boicottare gli ordini impartiti dall’alto.
Nel frattempo questi oceanici pellegrinaggi di studenti in tutta la Serbia estendono il movimento anche nelle zone rurali del paese, sgomitando con i media di regime che continuano a minimizzare la protesta, sperando di fiaccarne lo spirito. La prossima manifestazione è fissata al 15 marzo a Belgrado, dove sono attese un milione di persone.
L’editto di Niš
In quattro mesi di proteste gli studenti hanno dimostrato di avere una precisa visione politica. A Niš hanno stabilito chiaramente su quali principi vogliono che poggi la società serba, cristallizzati in un programma preciso che trova la sua apoteosi nel cosiddetto Editto di Niš, un documento che vuole simboleggiare il momento cruciale che sta vivendo la Serbia. Con un chiaro riferimento all’Editto di Milano, con cui l’imperatore romano Costantino (nato a Niš) stabilì la libertà di culto nel 313 d.C., gli studenti serbi proclamano attraverso questo documento i valori per i quali combattono, snodandoli in otto punti cardine che riguardano libertà, giustizia, dignità, solidarietà, ma anche lo Stato, la gioventù, la conoscenza e il futuro.
In una canzone-inno che echeggiava nelle strade di Niš colme di gente c’è un verso che recita: “Non voglio avere paura del buio“. Cantandola all’unanimità, è come se i cittadini volessero dimostrare di aver preso coscienza di come il timore dell’oscurità che avvolge la Serbia sembra ora dirigersi verso la parte opposta, quella dei leader. Pur con le sembianze di una festa gigantesca, la manifestazione di Niš ha tenuto fede alla sua natura: rivendicare tenacemente la democrazia e dimostrare alla classe dirigente che il vento è cambiato e che la resistenza sarà lunga.
I fumogeni in parlamento, nella più alta camera del potere, ne sono l’ultima testimonianza. Insomma, la cerchia attorno a Vučić sembra aver capito che il turbine umano che volteggia a ritmo di Kolo sta diventando sempre più forte e che la paura non fa più parte degli oppressi, ma sta cambiando schieramento, impadronendosi degli oppressori.
Foto: balkaninsight.com
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