Come scritto e ripetuto più volte su queste pagine, benché il
superbonus sia ormai ufficiosamente
terminato, la sua eco continuerà a
sentirsi per i prossimi anni nelle aule dei
tribunali. L’applicazione della detrazione
fiscale di cui all’art. 119 del
D.L. n. 34/2020 (Decreto
Rilancio) ha dato origine, infatti, a numerose
questioni interpretative, specialmente per quanto
riguarda la figura del General Contractor e la
corretta determinazione dei costi ammissibili.
Superbonus e General Contractor: interviene la Cassazione
Quali spese possono effettivamente rientrare
nell’agevolazione? È legittimo caricare sui
beneficiari costi di gestione e di
funzionamento di un’organizzazione
consortile? Quali sono i limiti alla
discrezionalità nell’applicazione dello sconto in
fattura?
A rispondere a questi interrogativi è la Corte di
Cassazione con la sentenza n. 8390 del 28
febbraio 2025, che ha confermato il sequestro
preventivo nei confronti di un consorzio operante come
appaltatore nel settore edile, ritenuto
responsabile di aver indebitamente maturato crediti
d’imposta per oltre 1,4 milioni di euro nell’ambito del
Superbonus. La decisione degli ermellini affronta alcuni nodi
cruciali legati alla gestione degli incentivi
fiscali e alle modalità con cui i
soggetti coinvolti devono operare nel rispetto della normativa.
Al centro del contenzioso vi è un Consorzio
edile che, nell’ambito dei lavori incentivati dal
Superbonus, aveva stipulato contratti di appalto
con committenti privati, applicando lo sconto in
fattura e maturando conseguentemente il credito d’imposta
del 110%. I lavori venivano poi subappaltati alle
società consorziate, ma secondo i giudici il
prezzo indicato in fattura dal Consorzio superava
di gran lunga i costi effettivamente sostenuti per
l’esecuzione delle opere.
Costi detraibili e voci non ammissibili
In particolare, il Tribunale, confermando il decreto di
sequestro preventivo, aveva ritenuto che il Consorzio avesse
incluso nei costi
detraibili voci non ammissibili,
quali costi di gestione e
di funzionamento della struttura
consortile, con la conseguente indebita percezione del
credito d’imposta.
Il Consorzio ha impugnato la decisione sostenendo che:
- i contratti di appalto fossero
legittimi e rispettassero i limiti
dei prezzari regionali; - le lavorazioni
eseguite fossero coerenti con i computi
metrici e le asseverazioni
tecniche; - i costi di gestione
consortile fossero oneri reali e,
dunque, rientranti tra le spese
documentabili.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso,
chiarendo alcuni aspetti fondamentali in merito alla corretta
applicazione della normativa.
Sul punto, ricordiamo due risposte dell’Agenzia
delle Entrate:
- la risposta
n. 261 del 2021 che ha confermato che le spese
sostenute per lo studio di fattibilità, riaddebitate dal General
Contractor al condominio, costituiscono parte integrante del
corrispettivo per il servizio fornito dal GC stesso al
committente; - la risposta n.
480 del 2021 secondo la quale, in ogni caso, non
può essere incluso alcun margine funzionale alla remunerazione
dell’attività posta in essere dal General Contracotr, in quanto
esso costituisce un costo non incluso tra quelli detraibili al 110%
poiché espressamente menzionati nelle disposizioni del
Superbonus
Principi ribaditi integralmente dalla
Corte di Cassazione nella nuova sentenza n. 8390/2025.
I principi affermati dalla Cassazione
La Suprema Corte ha, preliminarmente, confermato che
i crediti fiscali rientrano nel
perimetro applicativo dell’art. 316-ter c.p., che sanziona
l’indebita percezione di erogazioni
pubbliche. La detrazione fiscale del Superbonus, sebbene
tecnicamente non costituisca un finanziamento diretto, rappresenta
comunque un vantaggio economico a carico dello
Stato e quindi soggetto a verifica.
Nel caso di specie, i giudici hanno poi chiarito due aspetti
chiave:
- il nesso di stretta funzionalità tra spese e
interventi agevolabili: l’art. 119 del Decreto Rilancio
prevede la detraibilità delle “spese documentate e rimaste a carico
del contribuente”, le quali devono essere funzionalmente collegate
agli interventi realizzati. Nel caso di specie, i costi generali di
gestione del Consorzio non possono essere considerati come spese
detraibili, in quanto non direttamente collegabili all’esecuzione
dei lavori; - l’assenza di trasparenza nella determinazione dei
costi: secondo la Cassazione, i costi di gestione
consortile non erano adeguatamente documentati, risultando
determinati in modo arbitrario e non verificabile nel loro
ammontare. Inoltre, il divario tra gli importi fatturati dal
Consorzio ai committenti e quelli pagati alle imprese
subappaltatrici costituiva un elemento indiziario di un utilizzo
distorto dell’incentivo fiscale.
La corretta gestione del Superbonus
La sentenza ha, dunque, confermato un aspetto fondamentale:
il Superbonus non può essere utilizzato
per coprire costi estranei ai lavori
incentivati. Il principio guida è che i beneficiari devono
dimostrare con chiarezza la correlazione tra spese
sostenute e interventi
realizzati,
evitando forzature che potrebbero
sfociare in illeciti fiscali.
La pronuncia rappresenta quindi un monito per tutti gli
operatori del settore, in particolare per i General
Contractor e i Consorzi,
affinché adottino criteri di assoluta
trasparenza nella gestione degli appalti e nella
determinazione dei costi. In un contesto di controlli sempre più
serrati sugli incentivi edilizi, il rischio di incorrere in
contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate o della
magistratura è tutt’altro che remoto.
Concludo ricordando che il Superbonus 110% ha rappresentato
un’opportunità importante per il settore
edilizio, ma la sua applicazione unita alle difficoltà di una norma
scritta male e corretta peggio, ha dato creato
una pericolosissima zona
grigia all’interno della quale il margine di errore
interpretativo è stato enorme. Il caso dei General Contractor ne è
la testimonianza immediata, con la Cassazione
che ha confermato che non è sufficiente stipulare contratti di
appalto e rispettare i prezzari regionali:
i costi devono
essere documentati e direttamente
riferibili agli interventi realizzati, senza margini di
opacità.
Nessun ricarico è consentito sui costi
direttamente ascrivibili agli interventi agevolati. Pena, come
dimostra questa vicenda, l’invalidazione del credito
d’imposta e il rischio di contestazioni
penali.
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