«Per tre mesi possiamo continuare con le scorte che abbiamo, per i tre mesi successivi spareremo meno, ma credo che le linee terranno, più o meno come oggi; poi…». Il tenente Andriy accenna un sorriso, il battaglione di fanteria che comanda è incaricato della difesa di uno dei settori intorno a Pokrovsk, i suoi uomini di notte escono per andare a sparare con i semoventi forniti dall’occidente e l’esaurimento delle munizioni sarebbe un problema enorme per la loro operatività.
«MA ANCHE Budanov [il capo dei servizi segreti militari ucraini, il Gru, ndr] ha detto che senza gli Usa potete resistere fino all’estate», insistiamo. «Sì, non è un segreto, ma noi siamo soldati, combattiamo con ciò che abbiamo». L’eventualità che le munizioni possano finire innervosisce i suoi uomini e non gli piace parlarne.
Dalla porta entra un’unità di ritorno dalla linea zero. Sono sporchi di terra anche sul viso quando tolgono l’elmetto si vede che sono sudati nonostante il freddo. «Ci hanno individuato, siamo dovuti scappare, per fortuna non erano di quelli a fibra ottica e i reb hanno funzionato». Parlano di droni, come sempre, da quando i russi hanno iniziato a impiegare in modo massiccio velivoli senza pilota collegati alla base mediante cavi di fibra ottica, i dispositivi elettronici (reb) che proteggevano le squadre in movimento spesso sono inutili. «La macchina l’avete riportata, sì?». Andriy parla di un grosso humvee statunitense, un mezzo corazzato per il trasporto di unità d’assalto lungo la linea del fronte, equipaggiato con una mitragliatrice pesante sul tettuccio. Su una panca c’è una patch con metà bandiera ucraina e metà statunitense intrecciate. «Prendila se vuoi», dice uno dei soldati appena rientrati, «è la mia, ma non la metto più».
DA METÀ FEBBRAIO al fronte l’aria è cambiata. Gli Usa non sono più il migliore amico. Incertezza e rabbia si sono aggiunte alle difficoltà militari ed economiche. Ora tutti ci chiedono dell’Europa: cosa faremo, se ci incaricheremo davvero di sostituire gli Usa, se manderemo soldati come dice la Gran Bretagna o più armi come promette Von der Leyen. Tutti quesiti ai quali non abbiamo risposta oggi come non l’avevamo mesi fa. Ma le reazioni dei militari alle nostre incertezze sono molto meno perentorie di un tempo.
Quelle domande sfrontate che ricevevamo nelle prime linee sulle forniture di armi o sulle decisioni politiche dell’Italia o di Bruxelles in questa fase di voltafaccia epocali non ce le fanno più. L’Unione europea è l’ultima spiaggia e persino i soldati ucraini l’hanno capito.
SONO PASSATI pochi giorni da quell’incontro e, siamo riusciti a raggiungere Andriy al telefono ieri mattina, dopo l’annuncio di Donald Trump che rendeva effettiva l’interruzione delle forniture Usa. «Non so se i generali lo sapessero, noi comunque l’abbiamo saputo dai media». Andriy ci fa capire che ora probabilmente tutti i comandanti riceveranno nuovi ordini per l’utilizzo dell’artiglieria nelle prime linee, bisogna razionare, ma dopo pochi messaggi ci saluta. Tra i vari corpi delle forze armate, la fanteria è senz’altro quello che risentirà maggiormente della decisione della Casa bianca: da ieri notte non arriveranno più munizioni di ogni calibro, soprattutto quelle usate per i lanciarazzi multipli e gli obici che sono fondamentali al fronte, sistemi a mira guidata, armi anticarro e mezzi. Anche la contraerea d’ora in poi sarà costretta a scegliere quali testate nemiche abbattere dato che le forniture (anche con Biden) di missili per i sistemi di difesa aerea erano già limitate. Il motivo era prettamente economico: ogni missile lanciato, ad esempio, dal famoso sistema Patriot, ha un costo che varia da uno a tre milioni di euro a seconda del modello. Tuttavia, al momento questi sono tra i pochissimi sistemi di cui dispone l’Ucraina in grado di fermare i missili balistici russi che continuano a provocare danni ingenti alle infrastrutture energetiche e alle grandi città nelle retrovie.
DONALD TRUMP ha interrotto le forniture di armi all’Ucraina per «valutare se stiano effettivamente contribuendo a una soluzione», in altri termini, per costringere Zelensky a trattare. Si concretizza ciò che era già stato ipotizzato nel famoso «piano di pace per l’Ucraina» durante la campagna elettorale del tycoon: «Se l’Ucraina non accetterà di sedersi al tavolo negoziale con Mosca le forniture di armi saranno ridotte, fino all’interruzione». La seconda parte del piano, quella che prevedeva un aumento delle forniture se a rifiutarsi di trattare fosse stato il Cremlino, non è servita.
Non si sa ancora precisamente a quanto ammonti il valore delle armi bloccate da Trump, ma i decreti già firmati da Joe Biden ammontavano a 3,85 miliardi di dollari. Tutti gli armamenti che erano in viaggio verso l’Ucraina su navi aerei e treni sono stati interrotti. Il premier polacco Tusk ha confermato che i vagoni in transito verso Leopoli nella notte si sono fermati. Lo stop voluto dai vertici di Washington non si applica, tuttavia, alle armi già presenti sul territorio ucraino.
«Ho incaricato il ministro della difesa, i nostri capi dell’intelligence e i diplomatici di contattare le loro controparti negli Usa e ottenere informazioni ufficiali», ha dichiarato il presidente Zelensky nel suo consueto discorso serale. «La gente non dovrebbe essere costretta a indovinare» ha aggiunto, palesando i risultati dell’interruzione delle comunicazioni con la Casa bianca dopo la conferenza stampa disastrosa di venerdì scorso. Il capo di stato sta provando a ricucire con Trump in tutti i modi, dichiarandosi nuovamente pronto a firmare l’accordo sulle terre rare, ammettendo che la visita negli Usa «non è andata come doveva ed è ora di sistemare le cose», dichiarandosi disponibile e pronto «a trovare un accordo di pace», blandendo il tycoon sui social network e ripetendo urbi et orbi di essere «grato all’America». Secondo Reuters si sarebbe raggiunta una nuova intesa per la firma dell’accordo sulle terre rare e mentre questo pezzo va in stampa si vocifera di un possibile annuncio già nella notte. Trump non risponde direttamente, ora è il momento di lasciare l’ex-alleato a tremare, poi (forse) ci si potrà mostrare magnanimi.
È IL GIOCO DELLA GUERRA. Trump fa bene a dire che Zelensky «non ha le carte» perché il mazziere è lui. Ma in questo caso sarebbe giusto rovesciare il detto: non è il banco a vincere sempre, ma tutti i giocatori a perdere. Soprattutto quelli che non sono al tavolo, i soldati, i civili, i prigionieri di guerra, tutti quelli che nei giochi dei potenti non contano nulla.
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