PERUGIA – Non solo una scelta politica, ma anche il rischio di dover pagare una sonora sfilza di risarcimenti. Ecco cosa c’è dietro le nuove regole per l’assegnazione delle case popolari redatte dalla giunta di Stefania Proietti. L’urgenza da parte dell’esecutivo di mettere in campo tanto velocemente un disegno di legge sull’argomento – di fatto uno dei primissimi atti della nuovo governo di Palazzo Donini – è frutto di un alert acceso dagli uffici dell’avvocatura regionale. La luce rossa è scattata in conseguenza di alcune sentenze, una in particolare in cui proprio la Regione Umbria è stata bacchettata dai giudici per aver discriminato i cittadini stranieri. E c’è anche un ricorso che potrebbe presto avere lo stesso esito. Il timore è una class action contro quel requisito, la residenza ininterrotta in Italia per 5 anni, inserita dalla vecchia giunta Tesei tra le condizioni necessarie per accedere ad alloggi pubblici e contributi per gli affitti, che ora potrebbe imporre alla Regione di rifare le graduatorie e risarcire un sacco di gente.
IL RICORSO
Lo scorso 5 febbraio il tribunale di Torino ha accolto il ricorso presentato dall’associazione “Studi giuridici sull’immigrazione” dichiarando discriminatoria la condotta tenuta dalla giunta umbra e dal Comune di Perugia che nei bandi per i contributi all’affitto avevano inserito requisiti troppo rigidi: un permesso di soggiorno di almeno due anni e un lavoro regolare.
Il giudice Maria Luciana Dughetti ha imposto alla Regione di riaprire il bando e correggere quelle norme: basta il permesso di un anno o un lavoro di qualsiasi durata. E la sentenza precisa di attivarsi entro un mese, altrimenti scatta “la penale”: 100 euro al giorno da versare all’associazione che ha fatto ricorso.
LA SCELTA
«La sentenza sottolinea l’incostituzionalità del requisito dei cinque anni di residenza previsto dalla legge voluta dalla Lega che si rivela un criterio ideologico e razzista – spiega l’assessore alle politiche abitative Fabio Barcaioli – la Corte Costituzionale ha annullato questa condizione, in quanto estranea al disagio sociale. Le case popolari e i bonus devono essere destinati a chi è in difficoltà economiche e la storicità della residenza non ha alcun legame con tali bisogni. Rischiamo quindi di sperperare risorse, di perdere cause che potrebbero diventare retroattive, con richieste di affitti arretrati e di dover rifare completamente i bandi per l’assegnazione delle case popolari, generando caos nelle graduatorie».
IN TRIBUNALE
Ora a preoccupare c’è pure un altro caso. Un quarantenne di origini albanesi, che vive ad Assisi, ha da poco presentato un ricorso al Tribunale di Perugia, ritenendo che la Regione e il Comune della Città Serafica (quello guidato fino a qualche mese fa da Stefania Proietti) abbiano attuato una “discriminazione nell’accesso all’alloggio pubblico”. È illegittima, secondo la tesi dei suoi avvocati, l’esclusione del quarantenne dalla graduatoria, stabilita proprio per il fatto di non essere residente in Umbria in modo continuativo da 5 anni. Discriminato per la sua nazionalità, è la tesi del ricorso, che contesta quella legge regionale approvata dalla precedente giunta di centrodestra e applicata da tutti i Comuni umbri. Il ricorso cita cinque sentenze della Corte Costituzionale che a partire dal 2020 hanno cassato quel termine quinquennale e chiede di ammettere l’uomo alla graduatoria per le case popolari. Non solo, i legali dell’uomo richiedono alla Regione e al Comune di Assisi di modificare le regole ritenute discriminatorie. E pure qui c’è una richiesta di risarcimento, calcolata in proporzione all’affitto pagato in questi anni dalla famiglia albanese: 300 euro per ogni mese trascorso senza poter entrare in una casa popolare pur avendone diritto. «L’udienza per questa vicenda è fissata per il prossimo 16 maggio – rimarca l’assessore Barcaioli – prima di quella data dobbiamo depositare la legge che recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale, per proteggere l’Umbria dalle spese legali, dai danni e dai rimborsi». Per la serie: fare presto. Sul caso interviene anche Fabrizio Gareggia(Lega) vicepresidente del Cal. «L’assessore Barcaioli – commenta – tenta di minimizzare la bocciatura rimediata. L’obiettivo della sua riforma è uno solo: cancellare i criteri introdotti per ristabilire equità e giustizia sostanziale»
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