Parlare di muro contro muro sarebbe eccessivo, perché i toni si sono sempre mantenuti pacati come si confà ad un incontro tra i vertici del governo e quelli dell’Associazione nazionale magistrati. Però l’atteso confronto andato in scena ieri pomeriggio a palazzo Chigi ha confermato l’esistenza di due posizioni inconciliabili. Da una parte l’esecutivo che non vuole fare passi indietro sulla strada della riforma della giustizia. Dall’altra le toghe che hanno potuto solo prendere atto della cosa. Ci sono volute due ore per arrivarci.
NEL MEZZO qualche battuta e qualche stilettata a chiarire – qualora non fosse stato chiaro – che qualche tensione in effetti c’è. La giunta dell’Anm, guidata dal presidente Cesare Parodi e dal segretario Rocco Maruotti, si è presentata con una coccarda tricolore al bavero, cosa che la premier Giorgia Meloni ha rilevato e non ha gradito. «Al vostro sciopero avete sventolato la Costituzione – ha detto la premier nella sua introduzione -, come se noi l’avessimo attaccata… Con gli slogan non si va da nessuna parte, qualcuno ha detto che la nostra è una riforma fascista…». E poi: «Non è vero che voglio vendicarmi dei giudici». Anche se poi ha ricordato ancora una volta i casi di Marco Patarnello e Antonella Marrone, che tra email e chat avevano espresso critiche (in verità piuttosto garbate e motivate) sull’operato del governo. Si stava parlando, comunque, degli agguati mediatici ai magistrati e della possibilità, concretissima in prospettiva, che con le carriere separate i pubblici ministeri verranno di fatto sottomessi al governo, come del resto accade in tutti i paesi che dividono la magistratura requirente da quella giudicante. «Non serve certo che vi ricordi che ho cominciato a fare politica dopo l’omicidio di Borsellino», ha detto ancora la premier come a voler mostrare di non avere pregiudizi verso la categoria. Maruotti ha colto l’occasione per rintuzzare: «Lui era contrario alla separazione delle carriere». Controreplica: «Falcone invece era favorevole». A questo punto dalla piccola platea di magistrati si è levato un sommesso «nooo…» di disapprovazione all’ennesimo rilancio della nota diceria. Falcone, infatti, rifletteva sulla separazione delle carriere sulla base della convinzione che servisse maggiore specializzazione nella lotta alle mafie. Una posizione che non c’entra niente con le intenzioni del governo sul punto.
QUANDO è stato il momento dell’intervento di Nordio, a seguire, Meloni si è alzata e si è allontanata. E il Guardasigilli ha ripetuto il suo più noto ritornello: «Sono stato pubblico ministero, per me è un sacrilegio dire che io voglia punirli… Però è vero che alcuni sembrano politicizzati, anche se non lo sono». È seguito l’immancabile aneddoto: un lontano processo a un non meglio precisato democristiano con i giudici che, buongustai, avevano in tasca «l’Unità e il manifesto». E che però pare che alla fine abbiano assolto il malcapitato, dunque nessuno dei presenti ha ben capito quale fosse la morale della favola. Salvini, pure presente, in tutto questo si è alzato e se n’è andato dopo appena mezz’ora, mentre l’altro vicepremier, Tajani, si è blandamente limitato a insistere sul punto della politicizzazione dei giudici e sulla loro necessità di essere come la moglie di Cesare e non limitarsi ad essere imparziali ma anche ad apparire come tali. Il sottosegretario Alfredo Mantovano, anche lui giudice in un’altra vita, ha vinto il premio per la battuta più velenosa: «Se uno legge le decisioni della commissione disciplinare del Csm dopo ha bisogno di andare dallo psicologo…».
CONVENEVOLI e scambi di cortesie a parte, dopo due ore è stato chiaro a tutti che la discussione non stava andando in nessuna direzione. «Io ho avuto l’impressione che ascoltandoci si fossero anche convinti delle nostre ragioni – è il commento di Maruotti all’uscita -, ma ci hanno detto che comunque questa riforma devono portarla a casa. Punto e basta». Parodi: «Non mi aspettavo di più e non considero questo incontro un fallimento. È stato un momento di chiarezza». Èvero. E la notizia, per le toghe, è che la protesta proseguirà sulla via della compattezza tra tutte le correnti. Alla viglia il timore diffuso era che il governo aprisse qualche spiraglio sul sorteggio del Csm, e che Magistratura indipendente, la destra giudiziaria, ci si infilasse dentro per distendere i toni, cioè imboccare la via della resa. Allo stato attuale delle cose, però, è impossibile: Meloni ha detto chiaro e tondo che andrà avanti senza tentennamenti fino all’inevitabile referendum costituzionale, che sarà la vera partita. Quindi l’Anm proseguirà sul suo sentiero, ed è probabile che sabato, alla riunione del comitato direttivo centrale, di questo si parlerà: quali iniziative portare avanti (e come) dopo lo sciopero della settimana scorsa, che ha raccolto l’80% di adesioni.
A POCO serve, infine, la nota serale di palazzo Chigi, che parla di incontro «franco e proficuo» e annuncia un futuro «tavolo di confronto sulle leggi ordinarie di attuazione della riforma e sul documento in otto punti presentato dall’Anm, che riguarda l’amministrazione della giustizia». È meno di un brodino tiepido. «Ci mancava solo che ci dicessero di no pure a quello», è la chiosa di uno dei magistrati della giunta dell’Anm.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link