Le giornaliste di Bilan Media al lavoro a Mogadiscio (Somalia) – Per gentile concessione di Bilan Media
L’istruzione, il lavoro, le battaglie per i diritti, il protagonismo nella difesa dell’ambiente, e poi le discriminazioni, le violenze, la povertà, la migrazione. C’è tutta la resilienza delle donne e insieme tutto il male con cui sono costrette ogni giorno a confrontarsi in ogni angolo del mondo nei racconti esclusivi che dall’8 marzo in avanti Avvenire pubblicherà sulle sue pagine nell’ambito della campagna “Donne senza frontiere”. Il punto di partenza del lungo ciclo di reportage sarà l’Afghanistan, in continuità con il progetto avviato ormai da tre anni dal giornale, che non ha mai smesso di raccontare la drammatica situazione delle donne nel Paese dopo la ripresa del potere da parte dei Taleban. Per loro, private della possibilità di andare a scuola, non restano che le madrase.
È qui che parte il racconto della rete giornalistica Rukhshana Media: le giornaliste hanno raccolto la voce delle giovani costrette dai teleban a rinunciare all’istruzione superiore e universitaria e per cui le scuole religiose rappresentano l’unica opportunità per uscire dall’isolamento e dalla depressione. Un secondo reportage esplora invece il dolore delle vittime dei matrimoni forzati nel Paese. Giovani costrette dalle stesse famiglie a dire “sì” a uomini molto più avanti negli anni e già sposati: dietro il diktat c’è quasi sempre l’urgenza di alleviare la morsa della povertà delle famiglie d’origine.
Voci e storie dall’Afghanistan anche nel reportage confezionato da Zan Time, incentrato invece sul lavoro e sulle storie di alcune manager diventate allevatrici di polli: a causa delle restrizioni imposte nel 2022, il tasso di occupazione femminile nell’Emirato è quasi dimezzato. Le giornaliste di Zan Time racconta che a farne le spese sono soprattutto quante occupavano posti dirigenziali. Cinque mucche per una sposa: è quanto ha fruttato invece ai genitori dare in nozze Irene, a 16 anni, a un uomo di 35. La piaga dei matrimoni precoci continua ad affliggere anche l’Uganda, nonostante i divieti di legge.
La giornalista Conslata Taaka della rete Her Story ha raccolto nel suo lavoro numerose testimonianze: uno spaccato drammatico della condizione delle donne nel Paese.
Sempre dall’Africa, stavolta dalla Somalia, arriva il racconto di Bilan Media: il cambiamento climatico, i conflitti e l’instabilità hanno causato un vasto sfollamento della popolazione. Nell’area di Mogadiscio esistono diversi campi per sfollati interni, dove le donne e le ragazze sono i soggetti più vulnerabili. Nel suo viaggio al cuore di questa emergenza la reporter Naima Said Salah ha incontrato donne stuprate e giovanissime date in moglie a uomini anziani, tutte prive di adeguata assistenza sanitaria e psicologica.
Gli effetti sproporzionati del cambiamento climatico sugli agricoltori africani, in particolare sulle donne nelle aree rurali, è invece al centro del lavoro della rete nigeriana African Women Journalism Project. Il loro reportage raccoglie storie di agricoltrici resilienti, che applicano tecniche di coltivazione sostenibili ed ecocompatibili per mitigare gli impatti della siccità e degli sconvolgimenti meteorologici che investono il Paese.
Dall’altra parte del mondo, in Messico, è sempre delle donne il grido che si alza a difesa dell’ambiente. Lo Stato meridionale di Oaxaca, in particolare, è al primo posto in Messico per il numero di aggressioni agli attivisti ambientali. Il reportage di Red de mujeres periodistas de Oaxaca racconta che le più colpite sono le donne: tra il 2018 e il 2024, sette indigene sono state assassinate e molte di più sono quelle scomparse.
Le donne sono la spina dorsale dell’economia agraria indiana: il reportage della rete Khabar Lahariya racconta la condizione delle contadine dell’Uttar Pradesh, divise tra la cura della famiglia e il lavoro nei campi, ma invisibili nelle discussioni politiche. Un secondo racconto descrive invece le sfide quotidiane delle infermiere che si prendono cura della popolazione dell’India rurale. Molte di loro, pur essendo dipendenti statali, non hanno stipendi fissi ma vengono retribuite con compensi proporzionati al numero delle prestazioni effettuate.
Di lavoro discriminante e di sfruttamento si occupa anche uno dei due reportage della storica rete di giornaliste indipendenti di Beirut, in Libano, Sharika Walaken: un viaggio esclusivo nel sistema della kafala, l’istituto che regolamenta il lavoro dei migranti nel Paese dei cedri, di cui la stragrande maggioranza sono donne. Alle donne libanesi, invece, costrette dalla povertà a intraprendere i viaggi della speranza alla volta dell’Europa e dell’Italia, spesso coi loro bambini appena nati, è dedicato invece il secondo lavoro delle giornaliste di Beirut: quante sono? Perché partono? Quanto è difficile prendere quella decisione?
Ancora, voci di donne dall’Iraq: la rete House of coexistence, con la sua reporter Juwan Shro, racconterà come vivono oggi le donne yazide sopravvissute a violenze, stupri di massa, schiavitù e allo sterminio delle loro famiglie nel genocidio del 2014.
E poi dal Perù: nei reportage del Colectivo Todos para Una, periodismo juvenil de Radio Ucamara scopriremo le sfide e le discriminazione che affrontano le indigene amazzoniche quando decidono di lasciare i loro villaggi per trasferirsi in città.
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