La Malesia e la diplomazia degli oranghi


Poveri oranghi, il loro destino è segnato! Le autorità malesi, con a capo il ministro delle Piantagioni e delle materie prime, hanno iniziato una nuova politica ambientale definendola “diplomazia degli oranghi”, pensando di risolvere il problema della sopravvivenza di questi animali (che sono in via di estinzione) spostandoli in altri luoghi lontani da quelli originari, se necessario anche all’estero: luoghi in cui non esistono piantagioni di palme da olio, principalmente di Elaeis oleifera, come invece ne esistono in Malesia, sebbene gli oranghi abbiano vissuto in questi territori per milioni di anni, quindi da molto tempo prima che vi arrivassero gli uomini.

La decisione è stata presa per il fatto che in passato, ma anche oggigiorno, il territorio naturale malesiano di questi animali è stato praticamente distrutto per creare piantagioni immense di queste palme che si perdono a vista d’occhio.

L’ipocrisia di questa operazione sta nel fatto che le autorità locali e nazionali della Malesia pensano così di soddisfare, da un lato, le organizzazioni ambientaliste, incluso il Wwf, che cercano di difendere il territorio originario degli oranghi e, dall’altro lato, di dimostrare che in questo modo in Malesia sono possibili la sostenibilità ambientale e la produzione di olio di palma. Queste persone sostanzialmente vogliono illuderci che la produzione dell’olio di palma sia ecologicamente possibile e sostenibile, nonostante in questi ultimi anni, da più parti, sebbene non se ne capisca appieno il perché e su quali basi, molte autorità alimentari occidentali e non, ritengano che sia dannoso alla salute. Gli esperti dicono che favorisca l’insorgenza di problematiche cardiovascolari, in sostanza che faccia male al cuore. In occidente, ovviamente anche in Italia, molte case produttrici di alimenti scrivono a lettere cubitali sui contenitori dei loro prodotti che non contengono olio di palma.

La domanda che allora sorge spontanea è: se l’olio di palma nuoce alla salute, per quale ragione non viene messo al bando, perché non se ne vietano la produzione e il commercio? L’olio di palma si utilizza in tutto il mondo da centinaia di anni ed è strano che solo negli ultimi decenni si parli spesso della sua nocività. Probabilmente anche la margarina è nociva quanto l’olio di palma, forse di più. Anche la Nutella dovrebbe essere nociva alla salute in quanto contiene olio di palma allo scopo di aumentare la sua cremosità, tuttavia la diamo ai nostri bambini senza problemi e la sua diffusione è planetaria.

L’olio di palma viene prodotto non solo in Malesia, ma anche in Indonesia, soprattutto a Sumatra, dove vivono degli oranghi che appartengono a una specie diversa (Pongo abelii) da quella del Borneo malese (Pongo pygmaeus), di cui gli ultimi esemplari vivono, oltre che nel Borneo malese, in quello indonesiano (Kalimantan).

Ogni giorno in Indonesia, sia a Sumatra sia nel Kalimantan, chilometri quadrati di superficie delle foreste in cui vivono gli oranghi e un’altra infinità di animali utili alla biodiversità e quindi anche agli uomini, vengono rasi al suolo per far posto alle piantagioni di palme da olio. I deforestatori arrivano con motoseghe dotate di lame lunghe più di 1 metro che possono tagliare alberi secolari che possono avere fino a 5 metri di diametro, e con caterpillar giganteschi per il trasporto degli alberi abbattuti e la trinciatura dei rami. I deforestatori poi bruciano il frascame immettendo nell’aria tonnellate e tonnellate di metano, ossido e biossido di carbonio, cianuro di ammonio, meno tossico del cianuro ma pur sempre pericoloso, polveri sottili e altri malefici prodotti inquinanti derivanti dalla combustione.

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A lungo andare questi comportamenti recheranno più danni che vantaggi economici. Le spese che dovremo pagare tutti, non solo i malesi e gli indonesiani, per sanare il territorio dai danni dovuti a  questi disastrosi interventi (ammesso che lo si possa fare), supereranno i vantaggi ottenuti dal commercio dell’olio di palma che, nonostante tutte le campagne contro la sua produzione che si stanno architettando, è molto florido, tanto florido che grandi gruppi finanziari internazionali (incluse due grandi banche italiane), lobby e multinazionali di vario genere, lo stanno ancora finanziando.

Che tutto questo sia una strategia a vantaggio di un’industria alimentare rispetto a un’altra che non si attiene a una psicologia consumistica dominante, ci viene suggerito dai media che ci invitano a consumare un prodotto piuttosto che un altro. Se è vero che l’olio di palma è nocivo, ben venga metterlo al bando, per salvaguardare la nostra salute (ammesso che faccia male più della margarina, dell’olio di semi di girasole o dell’olio di colza), ma anche quella degli oranghi che non vedrebbero più distrutto il loro ambiente forestale, sia in Malesia sia in Indonesia. Io credo che tutto questo non abbia niente a che fare con il desiderio delle multinazionali alimentari (non l’hanno mai avuto e mai l’avranno) di preservare l’ambiente, ma con ben altre questioni: con la tipologia dei contratti stipulati con le autorità locali, con le regole d’uso del prodotto finale, con le sue tutele, con il mercato e, forse, con altro ancora.

Passando in un altro continente, in Sud America, esattamente in Brasile, qui la distruzione della foresta amazzonica, causa la scomparsa di un’infinità di specie animali, incluse molte specie di scimmie, allo scopo di trapiantarvi piantagioni non autoctone, soprattutto di colza, al servizio di interessi stranieri, per ottenere prodotti a basso costo e utili non solo all’industria alimentare ma, per esempio, per produrre cosmetici di altissima qualità utilizzati da uomini e donne in tutto il mondo e infine, cosa non da poco, per produrre carburante biologico, fonte energetica alternativa al petrolio. In questo campo la Cina è all’avanguardia e si trova in una posizione industriale dominante rispetto a molti altri Paesi del mondo, inclusi quelli europei.

Tutto ciò che si è detto finora riguarda più che altro un aspetto più generale della questione, ma ne esiste uno altro altrettanto importante e molto particolare, dal momento che le grandi multinazionali del consumo alimentare che operano in altri settori sono gestite da esseri umani, anche se coadiuvati da intelligenze artificiali molto sofisticate e da grandi mezzi finanziari. Appunto, l’uomo. Jack London, a tale proposito, scrisse che l’uomo è una strana creatura, permanentemente tormentata e assillata dal desiderio di avere tutto e sempre di più.

Gli uomini delle multinazionali che ci fanno sognare cose di cui solo pochi possono disporre, che ci spingono a desiderare di avere sempre più prodotti, inclusi gli alimenti, i quali una volta ottenuti saranno già passati di moda (come l’olio di palma, appunto) ricominceranno sempre con altri prodotti (vestiti, automobili, smartphone all’ultimo grido eccetera) che passeranno a loro volta di moda, per lasciarci in definita sempre insoddisfatti e infelici, ma pur sempre dei grandi consumatori. Come scrisse Frédéric Beigbeder, un pubblicitario francese molto noto, in questo mestiere, in verità, nessuno desidera la nostra felicità perché la gente felice non consuma o consuma solo il necessario.

Il “terrorismo” della novità serve solo a vendere il vuoto che ci circonda, purtroppo. Per concludere, cosa c’entra tutto questo con la messa in pericolo dei territori occupati da milioni di anni dai nostri cugini più prossimi, cioè gli oranghi?

C’entra, in quanto questa corsa sfrenata al consumo ci fa dimenticare che siamo degli uomini, non delle macchine, costituiti da materiale biologico, così come lo sono gli oranghi della Malesia e dell’Indonesia, i quali hanno il diritto di vivere in pace nel loro ambiente naturale e di non essere sballottati a destra e a sinistra come pacchi postali. Questo nella migliore delle ipotesi, perché nella peggiore vengono soppressi senza scrupoli o ripensamenti. Altro che diplomazia degli oranghi!



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