Quarticciolo: “basta abbandono, basta degrado, Non siamo abitanti di serie B” / Conflitti / Guerra e Pace / Guide / Home


Di Renato Viviani

 Il primo marzo sono scaduti i 60 giorni entro i quali il Commissario Straordinario dovrà presentare l’elenco degli interventi da realizzare al Quarticciolo, a San Cristoforo, a Borgo Nuovo, a Orta Nova, a Rozzano e a Rosarno, nell’ambito del decreto sicurezza.

Sei luoghi, migliaia di vite e storie diverse, ma un unico modello imposto dall’alto: il modello Caivano . Un solo modus operandi, il solito fatto di  repressione, violenza, sgomberi e stato di polizia. E un solo risultato, anch’esso prevedibile, il deserto sociale.

Il primo marzo un grande corteo popolare ha attraversato il Quarticciolo, a Roma, con migliaia di persone che hanno alzato la voce per dire “basta abbandono, basta degrado, Non siamo abitanti di serie B” . C’erano gli abitanti del quartiere, ma anche persone arrivate da tutta la città, giovani, anziani, famiglie. Da Pisa, Napoli, Campi Bisenzio. C’era la comunità peruviana. C’eravamo. Lunghi striscioni sono stati calati dalle finestre con la scritta “Cambiamo davvero” , mentre fumogeni rossi illuminavano il cielo, ricordando il colore della resistenza.

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Il Quarticciolo è un quartiere della periferia est di Roma, segnato dalle difficoltà, come tanti altri nelle città italiane. Oggi è anche una piazza di spaccio del crack, un mercato che negli anni si è spostato da San Lorenzo al Pigneto fino ad arrivare qui, un problema mai essere realmente affrontato. La presenza massiccia delle forze dell’ordine non è una soluzione: negli anni ’90, quando nel quartiere era ancora attiva la questura, il Quarticciolo era già una piazza di spaccio di eroina.

Esiste però un altro modello possibile, costruito dal basso, con fatica e tenacia: il modello Quarticciolo . Una rete di realtà sociale nata dall’occupazione dell’ex questura nel 1998, stabile abbandonato da otto anni, da parte di persone in emergenza abitativa. Da allora, grazie alle lotte e alla solidarietà, sono nati un doposcuola, un ambulatorio popolare, laboratori e spazi di socializzazione come la palestra popolare. In un quartiere dimenticato dalle istituzioni, si è cercato di non lasciare indietro nessuno, di costruire prospettive di cambiamento concreto e autonomo.

Oggi, però, tutto questo è minacciato dal Decreto Sicurezza , che nel nome della lotta all’illegalità mette sullo stesso piano chi gestisce il traffico di droga e chi occupa per necessità. Criminalizza il doposcuola perché si svolge in un edificio occupato. Prevede il carcere per i genitori dei ragazzi che abbandonano la scuola, mentre nel frattempo si ridimensionano gli istituti pubblici di quartiere. Soffiare sul fuoco dell’esasperazione per cancellare le realtà sociali senza proporre alternative: questa è la strategia. E così, qualche giorno fa, una massiccia operazione di polizia, presentata come una lotta allo spaccio, si è ridotta a sgomberare due alloggi occupati per emergenza abitativa su richiesta dell’Ater.

A poca distanza dall’ex questura si trova la Palestra Popolare , attiva dal 2016, uno dei fiori all’occhiello del quartiere. Incontro Emanuele, una delle figure più emblematiche dello palestra, mentre si conclude un’intervista per una testata nazionale. Cortese e accogliente, mi racconta che l’idea iniziale era quella di creare un luogo di sport accessibile a tutti, ma anche uno spazio di aggregazione e cambiamento. Oggi la palestra conta più di centocinquanta iscritti, è affiliata alla Federazione Pugilistica Nazionale e opera su quattro fasce di età: bambini fino ai nove anni, ragazzi fino ai tredici, amatori e agonisti. Questi ultimi vanno a incontrare tra palestre, e non mancano persone che arrivano da altri quartieri di Roma per allenarsi qui.

Emanuele ha finito di parlare. Mi sorprendo a pensare ad altri fiori, quelle rose di Atacama raccontate da Sepúlveda. E diventano fiori le palestre popolari a Perugia, Napoli, Pisa. Più lontano, tra le tende dei campi profughi della diaspora saharaui, dove le scuole di boxe di Sergio sono diventate fiori coloratissimi di resistenza nel deserto algerino. Cos’è che accomuna esperienze e vite tanto diverse, ma che a ben vedere poi non lo sono, forse, come scriveva Sepúlveda, è “quella fantastica legge della vita per cui la gente fottuta s’incontra” .

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