Un’epoca storica è finita. L’Europa è sola, ma può non essere debole. Lo spartiacque tra chi ne prende atto e si attrezza di conseguenza e chi sembra ancora non averlo capito, frenando, segna una dialettica destinata a crescere. Soprattutto a sinistra. Tra i riformisti del Pd, con quella di Paolo Gentiloni e Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle e Filippo Sensi, si evidenzia la voce autorevole di Pina Picierno, la vicepresidente del Parlamento Europeo.
L’Europa può pensare di affrontare il disimpegno trumpista senza far valere la sua voce, senza predisporre una diplomazia armata?
«No, e in realtà bisogna chiedersi per quale motivo fino ad oggi ha potuto pensare di fare senza. In questi ultimi decenni si sono avvicendate molte amministrazioni americane, ciascuna con un’intensità di rapporti diversa con l’Unione, ma mai così ostile come quest’ultima. Eppure, era già evidente che saremmo dovuti intervenire con maggiore decisione sulla nostra autonomia e sicurezza. L’interesse americano è sempre più rivolto alle sponde del Pacifico piuttosto che a quelle dell’Atlantico. Questo era vero anche prima di Trump. Diciamo che sta facendo di tutto per esserne l’acceleratore».
Cosa pensa del piano Von der Leyen?
«Necessario nella sua urgenza e nei suoi tempi rapidi di approvazione. Non sfugge a nessuno che avevamo anche bisogno di offrire al mondo e agli europei un forte segnale di unità e di operatività sulla difesa, sulla disponibilità di strumenti utili a sostenere l’Ucraina e la nostra sicurezza. È un primo passo. Altri saranno urgenti e il Piano stesso lo riconosce. Quel che è certo è che mai prima d’ora si era stabilita la necessità di una difesa comune con un così largo e diffuso consenso».
E si può approvare senza passare per il Parlamento Europeo? In forza di cosa?
«Da vicepresidente del Parlamento lo dico con rammarico, ma con la forza della responsabilità che in questi momenti deve ispirarci tutti: la Commissione si è appellata all’articolo 122 e 42.7, come già accaduto in passato per le vicende energetiche o per Sure, la cassa integrazione per i lavoratori in difficoltà, che prevede un iter di emergenza. Ovviamente non significa che il Parlamento è esautorato, dato che siamo al lavoro per una risoluzione sulla difesa comune europea e mi auguro che in futuro il ruolo del Parlamento sia sempre più centrale, come ho sottolineato nell’appello».
Dal Nazareno arrivano voci contrastanti, ma Schlein è scettica su ReArm Europe, come il M5S…
«Non sono la portavoce del Movimento, com’è noto. Sulle posizioni del mio partito ho avuto modo, nei giorni scorsi, fino ad oggi, di invitare tutti a limitare distinguo mezzo stampa e a lavorare, come si è fatto, per migliorare i testi. Si è avuta la sensazione che utilizzassimo a pretesto la contrarietà ad alcuni dettagli per opporci al Piano nei suoi obiettivi. Temo che fosse più di una sensazione, visto che ho letto e continuo a leggere accuse infondate verso un’Europa bellicista e della guerra. Posizione isolata nel Pse, nel gruppo S&D e di considerevoli esperienze di governo socialiste in Europa. Se l’alternativa alla destra parte da questi punti, non andremo lontano».
Ha lanciato qualche giorno fa un appello “Per un’Europa libera e forte”.’ C’è movimento nel mondo dei riformisti.
«È quello che mi auguro. L’appello nasce dal bisogno di molti condividere una visione europea libera e forte sulla sicurezza, sullo sviluppo tecnologico e industriale, sulla tenuta sociale, sulle istituzioni. Fatalmente si è incrociato con la discussione di questi giorni sul ReArm Europe. Ma non nasce come un puntello per il dibattito interno. L’intenzione è quella di aprire un confronto e una mobilitazione più vasta che raccolga la partecipazione di chi oggi non vede rappresentata quell’aspirazione d’Europa».
Per ReArm Europe vede una cabina di regia centrale, una cooperazione rafforzata tra un gruppo di paesi?
«Certamente l’Europa non può che marciare a più velocità. Starmer, che non è nella Ue, l’ha chiamata coalizione di volenterosi. Mi pare una definizione giusta. Certamente c’è chi sarà pronto subito, chi poco dopo, chi in misura assai diversa, ma quel che conta è che via sia largo consenso sugli obiettivi».
E l’Europa a 27 può andare avanti senza modificare le sue regole di funzionamento?
«Per nulla. Se non ci vogliamo trovare nelle stesse difficoltà odierne bisogna da subito lavorarci. Ma lavorarci significa farlo quotidianamente e che ciascuna forza politica deve dedicare a questo scopo parte della sua vita democratica. Nel nostro appello chiediamo che i partiti inizino a pensarsi in chiave europea e che diventino motore di un’opinione pubblica comunitaria. Per grandi riforme abbiamo bisogno di grandi movimenti popolari e riformisti».
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