Il futuro delle Olimpiadi invernali è farle “diffuse”?


Le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Milano Cortina 2026 saranno, come dicono gli stessi organizzatori, «le più estese di sempre, diffuse su un’area di oltre 22.000 chilometri quadrati». Le gare non si terranno infatti solo a Milano e a Cortina, ma anche a Bormio e Livigno (Lombardia), Anterselva (Alto Adige), Tesero e Predazzo (Trentino), mentre la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi e quella di apertura delle Paralimpiadi si faranno a Verona.

È una soluzione da un lato complicata nella logistica e con conseguenze ambientali più rilevanti se si considera solo il periodo olimpico; dall’altro tuttavia dovrebbe consentire, almeno nei piani, di ridurre l’impatto su un singolo luogo, soprattutto a lungo termine, evitando di costruire strutture e infrastrutture troppo ingombranti (e poco utili) per paesi piccoli come quelli di montagna. La tendenza generale, soprattutto per quanto riguarda le Olimpiadi invernali, sembra essere quella di farle sempre più diffuse proprio per questo motivo, perché ci sono pochi luoghi di montagna al mondo in grado di ospitare da soli un evento così grosso e partecipato.

Nel 2030 le Olimpiadi invernali in Francia saranno sparse su un’area molto vasta tra le Alpi e il Mediterraneo (alcune gare si terranno a Nizza), che sconfinerà anche in Svizzera e in Italia, visto che è stato programmato a Torino il pattinaggio di velocità. Per il 2038 ci sono due progetti di candidature diffuse, uno in vari luoghi della Svizzera e uno che coinvolgerebbe Austria, Italia e Slovenia. Saranno quindi un’eccezione quelle del 2034, già assegnate a Salt Lake City, nello Utah, una delle poche città abbastanza grandi e attrezzate vicine a comprensori sciistici importanti.

«Questa sorta di espansione potrebbe essere il futuro delle Olimpiadi, in particolare dei Giochi invernali», ha scritto il Washington Post in un approfondimento in cui ha messo in evidenza le grandi difficoltà logistiche che riguarderanno Milano Cortina 2026. Di sicuro sia il Comitato olimpico internazionale sia soprattutto i paesi ospitanti vogliono evitare di ripetere esperienze passate come quella di Sochi, una città russa sul mar Nero dove per le Olimpiadi del 2014 furono spesi quasi 40 miliardi di euro (rispetto ai meno di 10 previsti inizialmente) per creare da zero impianti per sport invernali piuttosto fuori contesto.

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Il nuovo tipo di approccio porrà questioni diverse ma non trascurabili, a cominciare dai maggiori spostamenti previsti, che causeranno più emissioni e renderanno l’esperienza olimpica più complessa per addetti ai lavori, atleti e pubblico. Gli organizzatori hanno pubblicato tabelle in cui si possono vedere i tempi di percorrenza tra una sede olimpica e l’altra: da Bormio a Cortina per esempio, dove si terranno le gare di sci rispettivamente maschili e femminili, ci vorranno tra le 5 e le 6 ore in macchina (e a un certo punto bisognerà pure lasciare la macchina e prendere una navetta) e addirittura tra le 10 e le 11 ore con i mezzi pubblici.

I luoghi delle Olimpiadi invernali del 2030 sulle Alpi francesi (non tutti sono ancora confermati)

Il discorso è comunque più profondo e riguarda la sostenibilità complessiva delle Olimpiadi invernali e dei suoi stessi sport, in ambienti come quelli montani sempre più colpiti dalla crisi climatica e ambientale, e quindi anche sociale, in corso. Il riscaldamento globale e la siccità renderanno e stanno già rendendo più complicati e onerosi gli sport di discesa sulla neve come lo sci, lo scialpinismo e lo snowboard, perché c’è sempre meno neve e anche quella prodotta artificialmente (con costi ambientali e idrici molto alti) prima o poi sarà inutilizzabile, alle temperature previste. Ci sono insomma buoni motivi per chi sostiene che le Olimpiadi invernali andrebbero abolite o quantomeno ripensate totalmente.

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Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente, dice che la distribuzione dei prossimi Giochi su più sedi era stata posta dalle associazioni ambientaliste come requisito fondamentale per ospitare le Olimpiadi in Italia. Il problema quindi non starebbe nell’approccio diffuso, quanto nel modo in cui questo viene seguito. Secondo Bonardo le Olimpiadi invernali diffuse funzionerebbero (o comunque farebbero meno danni di altre) se davvero si riutilizzassero gli impianti esistenti e si limitassero al minimo gli interventi, ma questo non succede quasi mai.

«La cosa più emblematica e assurda è la costruzione della pista da bob di Cortina», dice Bonardo, riferendosi a un’opera che a detta di quasi tutti (anche dello stesso Comitato olimpico internazionale) difficilmente avrà un futuro dopo i Giochi, e che invece ha avuto un impatto sulla montagna molto evidente, «non tanto per gli alberi abbattuti, quanto per la colata di cemento mostruosa». Non è comunque l’unica opera  su cui le cose sembra siano un po’ sfuggite di mano.

A Predazzo, nella provincia autonoma di Trento, il progetto iniziale prevedeva di spendere 8,7 milioni di euro per sistemare le strutture dei trampolini per il salto con gli sci, aggiungendo in particolare un ascensore; un servizio della trasmissione Report ha mostrato che in realtà i trampolini sono stati demoliti e ricostruiti da zero, passando «dalla manutenzione alla demolizione» e quintuplicando i costi. È difficile, insomma, che le Olimpiadi non diventino l’occasione per costruire cose nuove, con l’arrivo di fondi altrimenti impensabili per fare nuove strade, piste da sci, impianti di risalita, opere «in alcuni casi utili, in altri no». Diversi lavori e infrastrutture pensati per le Olimpiadi peraltro non verranno completati in tempo, e su molti di questi non sono state fatte valutazioni di impatto ambientale complete.

«Se si guarda nel dettaglio, ci sono tantissime cose nuove: la pista da bob, il trampolino, il palazzetto di Milano, le piste da biathlon di Anterselva e quelle da sci di fondo in Trentino», spiega Luigi Casanova, presidente dell’associazione ambientalista Mountain Wilderness, secondo cui gli organizzatori di Milano Cortina hanno disatteso molte delle cose promesse nel dossier di candidatura. Casanova dice che «le Olimpiadi diffuse sono la nostra visione del futuro», ma con diffuse non intende un modello come quello delle prossime, ma una manifestazione organizzata in vari posti del mondo, nello stesso periodo temporale. L’idea alla base di questa soluzione è quella di tenere le gare «laddove ci sono strutture operanti ed efficaci» e condizioni ambientali che le rendano possibili.

Mountain Wilderness immagina insomma un periodo di due settimane nel quale le partite di hockey si giochino in Canada, le gare di bob si tengano in Austria e quelle di sci in Italia. In questo modo non ci sarebbero forzature e sprechi, ma cambierebbe più profondamente la concezione delle Olimpiadi come evento in cui, ogni quattro anni, i migliori atleti e atlete del mondo si ritrovano tutti a competere nello stesso posto. Va detto anche che con un modello come quello di Milano Cortina questa cosa in parte succede già.

La responsabile Alpi di Legambiente ha un approccio forse più realista sulla questione generale che riguarda il senso delle Olimpiadi: «Capisco che siano molto popolari e per tanta gente siano un bel momento, ma non devono essere la scusa per sprecare e consumare, quindi se decidiamo di farle bisogna rispettare davvero i criteri di sostenibilità più stringenti».

Il modo in cui viene intesa la montagna va senza dubbio rivisto e adattato ai cambiamenti in corso: in molti si chiedono quanto senso abbia che il futuro dei paesi di montagna passi ancora dallo sci e da un turismo spesso dannoso per l’ambiente e il tessuto sociale, concentrato in pochi momenti dell’anno. «Come possiamo pensare di andare in montagna e stare nella natura se non c’è più niente di naturale in questo sport?», dice Bonardo, citando in anteprima un dato del report Nevediversa, che uscirà la prossima settimana: oltre il 90 per cento delle piste da sci italiane (il 98 per cento sulle Dolomiti) quest’anno è stata innevata artificialmente.



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