Demonizzare chi investe e migliora un quartiere significa condannarlo all’immobilismo e alla decadenza: la gentrificazione non è un problema, ma una soluzione naturale al degrado urbano
Nel dibattito pubblico contemporaneo, la gentrificazione è trattata alla stregua di una calamità sociale, un fenomeno ingiusto che “caccia i poveri” dai loro quartieri. Si tratta di un’opinione alquanto diffusa, la quale, oltre a essere ancorata a pregiudizi essenzialmente ideologici, manca di scientificità ed è profondamente errata. La gentrificazione, infatti, non è altro che il miglioramento spontaneo di un’area urbana, un processo in cui nuovi investitori, imprenditori e residenti decidono di valorizzare luoghi fino a quel momento trascurati. Del resto, se la gentrificazione è un problema, allora il degrado sarebbe una virtù. Ma chi difende il degrado? Nessuno, o almeno nessuno apertamente. Eppure, chi combatte la gentrificazione di fatto si oppone al naturale rinnovamento delle città, favorendo implicitamente l’immobilismo e il declino. Le città non sono musei all’aria aperta, congelati nel tempo. Sono organismi vivi, che si trasformano in base a necessità economiche e sociali. Quando un quartiere versa in uno stato di degrado, due scenari sono possibili: può continuare a deteriorarsi, diventando sempre più insicuro e impoverito, oppure può rinascere grazie agli investimenti privati.
La gentrificazione è il segnale che quest’ultima opzione si sta realizzando. Uno degli argomenti più usati contro detto fenomeno è che esso costringerebbe gli abitanti storici ad andarsene. In verità, nessuno viene espulso con la forza. Ciò che accade è che gli immobili acquistano valore proprio grazie ai miglioramenti apportati. Chi possiede una casa in un’area in trasformazione ha due scelte: può restare e beneficiare di un quartiere più sicuro e servito, oppure può vendere a un prezzo più alto e trasferirsi altrove con un guadagno. Il vero problema non è quindi la rigenerazione urbana, ma le politiche pubbliche che rendono difficile per tutti trovare una casa a prezzi accessibili. Più in particolare, il vero colpevole dell’aumento dei costi abitativi è la regolamentazione che limita la costruzione di nuove case, creando scarsità artificiale. Laddove il mercato è libero di espandersi, la crescita di un quartiere non si traduce in affitti insostenibili, perché l’offerta è in grado di soddisfare la domanda. Edward Glaeser, professore ad Harvard, specializzato in economia urbana, ha spiegato che le città prosperano quando gli individui hanno la libertà di decidere dove vivere e investire. Al contrario, quando la politica interviene con regolamentazioni, tasse o vincoli sugli affitti, i risultati sono disastrosi. Più si cerca di controllare il mercato immobiliare, più si ottiene l’effetto opposto: quartieri che rimangono abbandonati, investimenti che non arrivano e opportunità che si perdono. Un altro grande errore dei critici della gentrificazione è pensare che il mercato immobiliare sia un gioco a somma zero, in cui se un’area migliora, qualcuno deve necessariamente rimetterci.
Ma la realtà è diversa: ogni investimento in una città crea valore, non lo distrugge. I nuovi residenti portano consumi, commercio e sicurezza, contribuendo al benessere di tutta la comunità. A sua volta, Jane Jacobs, la nota autrice del fondamentale Vita e morte delle grandi città, ha descritto come la vitalità urbana dipenda dalla diversità e dalla spontaneità del mercato. Non esistono città perfette progettate dall’alto: la qualità di un quartiere è il risultato di milioni di scelte individuali, di piccoli imprenditori che aprono negozi, di proprietari che ristrutturano case, di famiglie che decidono dove vivere. Bloccare la gentrificazione significa soffocare questa libertà. Altra accusa che viene mossa a tale processo di rinnovamento urbano è che avrebbe come esito il “cancellare l’identità” di un quartiere. Ma quale identità? Se un’area versa in condizioni di insicurezza e degrado, è giusto lasciarla così in nome di una presunta autenticità? La vera ingiustizia non è il miglioramento urbano, ma il degrado mantenuto artificialmente dalle politiche statali. In molte città, infatti, il più grande nemico della gentrificazione è la burocrazia. Vincoli paesaggistici, limiti alle ristrutturazioni, normative che impediscono nuovi insediamenti residenziali sono tutti ostacoli che bloccano lo sviluppo e fanno lievitare i prezzi.
Chi si oppone alla gentrificazione spesso chiede più regolamentazione, ma non si rende conto che proprio le barriere burocratiche sono la causa del problema. Rimuoverle, unitamente a tutte gli altri ostacoli all’edilizia, è senza dubbio il modo migliore per mitigare eventuali effetti indesiderati della gentrificazione, come ha spiegato Alain Bertaud, urbanista di fama mondiale. Solo un mercato libero, senza eccessivi vincoli statali, può garantire una città in cui chiunque possa trovare una casa adatta alle proprie possibilità. In sostanza, demonizzare la gentrificazione altro non significa che difendere lo status quo dell’abbandono e non considerare, come invece si dovrebbe fare, che gli investimenti privati non solo migliorano il tessuto urbano, ma creano nuove opportunità economiche per tutti. A tal proposito, un altro economista e urbanista americano del Cato Institute, ha dimostrato che la gentrificazione diventa un problema solo quando la regolamentazione blocca la crescita dell’offerta abitativa. In un mercato realmente libero, i nuovi arrivi in un quartiere non si traducono in sfratti forzati o affitti insostenibili, ma in un’espansione dell’edilizia che soddisfi la domanda senza escludere nessuno. L’unico vero rischio è che, a causa della retorica anti-gentrificazione, si finisca per adottare politiche che impediscono alle città di evolversi. La vera giustizia sociale non si ottiene congelando i quartieri nel tempo, ma rimuovendo gli ostacoli che impediscono alle persone di investire, innovare e migliorare il proprio ambiente. Difendere la gentrificazione significa difendere la libertà di scelta, la proprietà privata e la crescita spontanea delle città. Chi la combatte, anche in buona fede, finisce per condannare i quartieri più poveri all’abbandono e all’immobilismo. E questo, davvero, non è né giusto né sostenibile.
Aggiornato il 07 marzo 2025 alle ore 10:18
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