Nel corso degli anni, la giurisprudenza è intervenuta più volte per fornire interpretazioni e chiarimenti sulla deducibilità delle perdite su crediti. In questo contesto, la Suprema Corte con l’ordinanza n. 303 dello scorso 8 gennaio 2025 ha nuovamente fatto luce sulla corretta interpretazione delle norme fiscali in materia di perdite su crediti, confermando che spetta al contribuente l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del suo preteso diritto alla deducibilità della perdita. Cosa dice in particolare la Cassazione?
Laddove il contribuente non riesca a dimostrare che la perdita sul credito vantato è stata certa e definitiva nell’anno in cui è stata dedotta fiscalmente, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a recuperare la maggiore imposta.
La vicenda prende avvio dalla notifica di un avviso di accertamento, con il quale è stato rettificato il reddito d’impresa per l’indeducibilità di alcune perdite su crediti, comportando conseguenti riprese a tassazione ai fini irpef. Il contribuente ha impugnato l’avviso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che ha accolto il ricorso e annullato l’atto impositivo.
In seguito all’appello presentato dall’Amministrazione Finanziaria, la Commissione Tributaria regionale del Veneto, con la sentenza n. 1455 del 2019, ha invece ritenuto mancanti gli elementi certi e precisi richiesti dall’articolo 101, comma 5 del D.P.R. 917/86. Di conseguenza, il ricorso del contribuente è stato respinto. Avverso tale sentenza il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, ribadendo che il contribuente che vuole opporsi al mancato riconoscimento di una perdita su crediti da parte dell’Amministrazione Finanziaria deve fornire prove concrete per dimostrare il proprio diritto alla deducibilità. In buona sostanza, è opportuno presentare gli elementi certi e precisi richiesti dalla legge per dimostrare che la perdita si sia effettivamente verificata.
Per rendere una perdita fiscalmente rilevante e dunque deducibile, per la Cassazione occorre dimostrare la natura definitiva: non basta provare che il debitore non ha pagato spontaneamente, ma è anche necessario dimostrare l’impossibilità di recuperare la somma attraverso azioni legali.
Quando, invece, la perdita è riconducibile ad inerzia del creditore ed al fatto che egli non abbia cercato di recuperare il credito, lo stesso credito risulta non incassato per scelta del creditore stesso. In questa situazione, non sono rintracciabili i requisiti di certezza e precisione previsti dal Testo unico per qualificare la perdita come fiscalmente rilevante.
Altro punto affrontato dai giudici della Suprema Corte riguarda il principio di competenza per la determinazione del reddito d’impresa con riguardo alle perdite su crediti. La perdita su crediti può essere dedotta nell’anno in cui diventa chiaro che il credito non potrà più essere recuperato.
Se non ci fosse l’obbligo di dimostrare, con elementi certi e precisi, l’irrecuperabilità del credito, il contribuente potrebbe scegliere liberamente il periodo d’imposta più conveniente in cui effettuare la deduzione. Ciò sarebbe in contrasto con il principio, inderogabile, secondo cui costi e ricavi devono essere imputati oggettivamente al periodo di competenza.
La perdita su crediti può essere dedotta dal reddito imponibile soltanto se ci sono elementi chiari e precisi a dimostrare sia l’esistenza del credito, sia l’impossibilità di recuperarlo. Quest’ultima può derivare dall’inefficacia delle azioni di recupero intraprese o dal fatto che il debitore è stato sottoposto a procedure concorsuali.
Nel caso esaminato, il contribuente non è riuscito a dimostrare che il credito vantato fosse effettivamente irrecuperabile nell’anno in cui è stato dedotto ai fini fiscali. Inoltre, nessuno degli assegni emessi dalla società debitrice è stato protestato e non è stata fornita alcuna prova di tentativi di recupero del credito andati a vuoto.
La Cassazione ha quindi ritenuto giuridicamente corretta la sentenza della Commissione Tributaria Regionale e ha rigettato il ricorso del contribuente condannandolo alle spese del giudizio di legittimità.
Antonino Salvaggio – Centro Studio CGN
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