Laurea honoris causa a don Mazzi: l’intervento del sociologo Francesco Mattioli


di FRANCESCO MATTIOLI-

Ho avuto il privilegio di partecipare, con Gianni Statera, Alberto Abruzzese, Mario Morcellini, Gianni Losito e altri sociologi accademici di chiara fama, alla nascita della Facoltà di Scienze della Comunicazione, la prima in Italia, da una costola della Facoltà di Sociologia. Erano gli ultimi anni ’90, di un secolo che aveva visto, di fatto, l’esplosione della comunicazione di massa sia dal punto di vista tecnologico (dalla radio alla televisione al digitale) sia dal punto di vista mediatico, strumento fondamentale dello sviluppo dell’informazione giornalistica, commerciale, ma anche della propaganda politica, sia nei paesi democratici, sia – se non soprattutto – in quei paesi in cui il dispotismo nazifascista o comunista esigevano l’indottrinamento coatto delle masse. Sarà che il pensiero sociologico occidentale è uscito fortemente impressionato dai rischi di un futuro distopico, dove la mente umana viene catturata dalle più sofisticate strategie della comunicazione di massa, il fatto è che gran parte della letteratura scientifica e sociologica degli ultimi sessant’anni del ‘900 si è espressa con grande timore nei confronti dei mass media. I nomi sono di quelli che rimbombano nella storia della sociologia e della filosofia dei media: Horkheimer, Adorno, Fromm, Arendt, Marcuse, Touraine, Levy, Bauman; e in Italia, da Ferrarotti a Pizzorno.
Ovviamente, si sono levate anche voci alternative a questo trend critico, da parte di studiosi che riconoscevano invece l’utilità dei media nella costruzione di nuove reti sociali, nella diffusione di una informazione che rende le masse consapevoli, piuttosto che ignoranti, della realtà sociale, dei problemi della convivenza e quindi del diritto di ogni individuo a non restare escluso da un sapere altrimenti in possesso soltanto di certe élites culturali. I nomi anche in questo caso sono di quelli che hanno arricchito la storia della sociologia: Mc Luhan, Shils, Bell… e in Italia, alla Sapienza, quelli dei citati Statera, Abruzzese, Morcellini e, almeno per le reti sociali, del sottoscritto.
Queste posizioni alternative si sono oggi riversate nella valutazione dell’Intelligenza Artificiale, in specie quando questa si associa alla comunicazione sociale, alla comunicazione di massa. Così, si sottolineano i problemi delle fake news, ma anche del deep faking, dello shaming, del cyberbullismo e quello degli hacker, mettendo in secondo piano tutti i vantaggi della A.I. e dei media nel processo di comunicazione nella società umana.
Non ero presente alla cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Informazione digitale a Don Antonio Mazzi da parte dell’Unitus. Ma, essendo un ammiratore di Don Mazzi, ho apprezzato la motivazione: “ha dato voce a chi viene escluso, e ha mostrato come la comunicazione può essere utilizzata per scuotere e educare il prossimo”.
Tuttavia, pur dovendo affidarmi soltanto a ciò che è stato riportato dai giornali, ho colto un aspetto ancor più importante nelle parole di Don Mazzi, quando ha detto: “L’informazione digitale è inquinata, la stiamo uccidendo”. Attenzione: potrebbe essere l’ennesima demonizzazione della comunicazione di massa, tanto diffusa oggi nelle affermazioni sentenziose di questo o quel filosofo da salotto?
Non è così. Don Mazzi non ha assolutamente scagliato i suoi fulmini verbali sull’informazione digitale, che lui sa benissimo essere uno strumento di grande valore sociale, una vera occasione di emancipazione culturale, ma su coloro che la “uccidono”, usandola per creare danni, manipolazioni, coartazioni, a tutti i livelli della convivenza umana.
Qualcuno scuote la testa sconsolato di fronte alle esagerazioni, alle mediocrità e allo sfascio morale dei messaggi che circolano sui social. Ma queste deviazioni sono solo l’aspetto più comune, più superficiale, più banale, a volte persino pittoresco della comunicazione interpersonale. I danni veri vengono da coloro che con i media digitali si rivolgono al pubblico da uno scranno istituzionale, da un palco mediatico, che sia un giornale, una televisione, un laboratorio scientifico, un comizio, rivendendo fuffa e più spesso inganno.
Ciò che è pericoloso non sono solo il cyberbullismo e i challenges fra i giovani; è soprattutto ciò che asserisce un Trump quando promette agli americani che darà loro la Groenlandia, “in un modo o nell’altro” (cioé con le buone o con le cattive, usando parole già espresse anni fa da Putin a proposito del Donbass), è quando un Lavrov asserisce che l’Europa vuole la guerra, quando un politico italiano dell’ultim’ora indottrina le masse su un concetto ariano di normalità, quando il sedicente scienziato complottista in camice bianco tuona conto le vaccinazioni, quando l’opinionista da strapazzo vuole convincerci che papa Francesco è morto da almeno due settimane, ma anche l’incapacità di tanti insegnanti di educare e formare i giovani ad un uso responsabile, critico degli strumenti di comunicazione.
Per valutare i media digitali, l’A.I., vale la logica dl coltello: il pericolo non sta nella lama, ma in chi la maneggia; altro è tagliare verdura e prosciutto in cucina, altro è farne un’arma micidiale. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea si impegnano da tempo nel definire dei modelli, delle discipline nell’uso dei media digitali e dell’A.I.. Gli stessi responsabili dei più avanzati sviluppi tecnologici, compreso il noto ChatGPT, qualche anno fa sottoscrissero i cosiddetti principi di autodisciplina di Asilomar, per contrastare un uso criminoso o deviante delle nuove tecnologie. C’era anche Musk, prima che fosse colpito dall’attuale delirio di onnipotenza che lo rende un pericoloso attore sullo scenario digitale.
Padre Paolo Benanti, uno dei massimi esperti di questi argomenti ha proposto una “algoretica”; Don Mazzi ripete gli stessi concetti: non uccidiamo i media digitali, che sono potenzialmente degli strumenti di crescita e di liberazione sociale. Difendiamoli da chi ne fa un uso deviato. Il coltello non è come il fucile, che è stato costruito esplicitamente per uccidere. E neppure l’Intelligenza Artificiale.
Non processiamo il coltello; condanniamo, semmai, Jack lo Squartatore…

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