Nel giugno del 2015 migliaia di donne erano scese in piazza dopo il femminicidio di Chiara Páez, dando il via a un movimento che ha segnato il mondo. Dieci anni dopo quella piazza, la “rivoluzione” è in pericolo
Nel giugno del 2015 un’onda viola ha travolto le strade di Buenos Aires. Erano oltre 300.000 donne che stavano protestando al grido di «Ni una menos» («Non una di meno»). In quel momento non potevano saperlo, ma il loro grido stava per arrivare nelle piazze di mezzo mondo.
Scese per strada tenendo in mano un fazzoletto viola (diventato il colore simbolo del movimento) per protestare contro il femminicidio di Chiara Páez, adolescente incinta brutalmente uccisa dal fidanzato, le donne argentine hanno dato vita al movimento femminista Ni una menos che in pochissimo tempo ha travolto moltissimi altri paesi, dando vita a una nuova ondata femminista a livello globale.
Per anni il movimento femminista argentino è stato indomabile, prima riuscendo a ottenere il diritto all’aborto e poi con la creazione di leggi e programmi statali avanzatissimi in materia di genere e per la comunità Lgbt. Sembra impossibile però oggi, a 10 anni di distanza, quella piazza e tutti gli obiettivi che sono stati raggiunti, sono in pericolo. Presi di mira dalla persona più potente di tutta l’Argentina: il presidente Javier Milei.
Attacchi continui
Milei, un economista che si è autodefinito un «anarchico-capitalista», è dichiaratamente antifemminista e, sin dalla campagna presidenziale, ha ridicolizzato e attaccato il movimento femminista argentino con il linguaggio violento e volgare che contraddistingue la sua dialettica.
Gli attacchi sono da oltre un anno sistematici e continui, una battaglia che sembra essere importantissima nell’agenda politica del presidente e viene citata nei discorsi pubblici tenuti in Argentina, in quelli internazionali e nei suoi post sui social. Milei se la prende con attiviste, intellettuali, cantanti o attrici: tutte ovviamente dichiaratamente femministe. Ma non solo: da quando è arrivato al potere è stata sua premura, smantellare tutti i programmi statali che erano stati creati e tagliare tutti i fondi alle associazioni femministe, fondamentali per prevenire la violenza di genere.
«Gli attacchi del presidente, hanno comportato un grave aumento dei crimini d’odio contro le donne e la comunità Lgbt – dice Luci Cavallero, ricercatrice e militante di Ni una menos – Milei non è stato eletto per il suo discorso anti-femminista, gli argentini lo hanno scelto come simbolo di rottura verso i partiti politici tradizionali. Nei sondaggi si mostra che gli attacchi al movimento femminista sono uno degli aspetti meno apprezzati dalla cittadinanza, ma sicuramente c’è un settore della popolazione che la pensa così».
Oggi i sostenitori del presidente sono una maggioranza eterogenea, ma – come molti analisti politici hanno notato – all’inizio la base elettorale su cui Milei ha trovato supporto era ben definita: uomini, giovani e giovanissimi, spesso poveri, che negli anni si sono sentiti messi al margine dalla velocità con cui progrediva la rivoluzione femminista nel paese.
Cambiare le leggi
Durante il suo discorso tenuto il 23 gennaio scorso al Forum economico mondiale di Davos, il presidente ha detto che «l’ideologia woke è un cancro», ha messo in relazione l’omosessualità con l’abuso infantile e ha definito il femminismo «una distorsione del concetto di uguaglianza che nasconde la ricerca di privilegi» e si è riferito all’aborto come a un atto «sanguinario e assassino».
Ma se durante il primo anno di governo, Milei si è dedicato soprattutto a risanare l’economia (con tagli ferocissimi alla spesa pubblica e con oltre 40.000 licenziamenti di dipendenti pubblici), il 2025 si preannuncia complicato. Durante la campagna presidenziale infatti Milei aveva annunciato profondi cambiamenti per le leggi in materia di genere, di protezione alla comunità Lgbt e di quelle per la memoria per i desaparecidos. Se nel primo anno di governo questi temi sono stati lasciati da parte, ora il presidente ha tutta l’intenzione di portarli avanti.
E, proprio poche settimane fa, il governo argentino ha comunicato che presenterà un progetto di legge – chiamato «anti cultura woke» – che prevede, fra molte proposte, l’eliminazione del reato di femminicidio dal codice penale e l’annullamento delle carte di identità per le persone non binarie (l’Argentina nel 2021 era stato il primo paese latinoamericano a includere questa possibilità).
In Argentina – secondo l’osservatorio Ahora que sí nos ven – nel 2024 sono state ben 267 le donne vittime di femminicidio, mentre nel solo gennaio del 2025 sono state ben 29 le vittime: dall’inizio del nuovo anno a oggi nel paese ogni 26 ore è stata uccisa una donna.
Come spiega Dania Villanueva, avvocata e presidente della fondazione Vivir libres, il governo per presentare il progetto di legge ha mentito e divulgato informazioni false, una tattica molto usata da Milei, non solo in ambito di questioni di genere. Il governo infatti ha dichiarato di voler eliminare il reato di femminicidio per «garantire l’uguaglianza», dando a intendere che i femminicidi sarebbero tutti gli omicidi di donne, e non quelli in cui sono uccise per motivi basati sul genere. «I numeri legati ai femminicidi in Argentina sono più che allarmanti – assicura Villanueva – In questo contesto eliminare il reato sarebbe un terribile sbaglio».
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