Nel volume sulla Poesia dilettale del Novecento, Pier Paolo Pasolini descrive la Calabria come «isola» al pari della Sardegna e della Sicilia sostenendo che: «La poesia calabrese è una poesia di “evasione”: un ideale ritorno a una “nobiltà”, paesana e familiare, da un ideale viaggio compiuto dai diplomati o laureati calabresi per un’Italia burocratica, corrotta, cattiva […] la Calabria ha conservato ugualmente intatto il sapore dell’epoca più antica: sì che, dicono, è possibile in Calabria afferrare come un brivido nell’aria il sapore della preistoria».
Per Pasolini, quindi, la scelta del dialetto non evocava la purezza di un mondo percepito come immacolato, essa svelava, piuttosto, un valore essenzialmente politico, antifascista avverso ad una società che esiliava i dialetti quali espressioni barbariche.
L’immagine dell’insularità culturale calabrese sembra evocare il depensamento della Puglia, attraverso cui Carmelo Bene, indica una fertile chiave di lettura del «Sud del Sud dei santi», sospensione del pensiero come tratto distintivo della sua poetica. Ripensare e raccontare una terra che si affranca dallo stereotipo di palude sociale ed economica, o di villaggio-vacanze per un turismo di massa spesso indifferente alle sue peculiarità culturali.
Secondo Pasolini, tuttavia, la poesia calabrese è poesia di “evasione” testimone di una tensione al ritorno, verso una nobiltà paesana e familiare, dal viaggio compiuto da diplomati e laureati verso un’Italia corrotta, burocratica e cattiva.
Questa Calabria è abitata da una temporalità sospesa, esclusa dal mondo metastorico della natura e i suoi abitanti, come i viaggatori sottoproletari, sono morti alla storia, privi di riscatto.
Ciò nonostante, Pasolini tiene alla Calabria, come si legge in una lettera a Sciascia, nella sua riflessione la Calabria ricopre un interesse particolare, a livello quasi etnografico.
Il primo “incontro” di Pasolini con la Calabria avviene nel 1956, dove presenzia alla consegna del Premio Crotone a Leonida Rèpaci, per il romanzo Un riccone torna alla terra, concorso letterario istituito nel ‘52 dal sindaco comunista Silvio Messinetti.
Nell’edizione del 1959, la commissione composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani decise di assegnare il riconoscimento a Pasolini, per Una vita violenta, romanzo escluso dal Premio Viareggio e dallo Strega. Pasolini giungeva in Calabria dopo la querela di Vincenzo Mancuso, sindaco della giunta DC–MSI di Cutro, per quanto Pasolini aveva scritto in La lunga strada di sabbia, reportage pubblicato dal mensile milanese “Successo” diretto da Arturo Tofanelli, esito di un viaggio compiuto al volante di una Fiat 1100, da Ventimiglia a Palmi.
Giunto in prossimità di Crotone Pasolini annotava: «a un disperdersi delle dune gialle in un altopiano ecco Cutro, il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un certo livello». A queste parole il sindaco Mancuso rispondeva che: «La reputazione, l’onore, il decoro, la dignità delle laboriose popolazioni di Cutro sono stati evidentemente e gravemente calpestati». Questo scambio non tardò a giungere sulla stampa nazionale, soprattutto quella vicina alla Dc come “Il Popolo” e “Specchio”, ma Pasolini fece dissolvere la disputa con Una lettera sulla Calabria, pubblicata su “Paese sera” del 28 ottobre 1959, nella quale dichiarava seccamente e risolutamente: «Ho fatto come lo struzzo: non ho voluto saperne di più».
Giunto a Crotone per ricevere il premio e incalzato da numerosi e accesi cutresi, chiarì ulteriormente il suo pensiero dichiarando di avere utilizzato la parola «bandito» volendo intendere: «emarginato dai diritti civili» da tutti i governi nazionali.
Pasolini ha avuto rapporti di amicizia e professionali con diversi gli intellettuali calabresi. Tra questi Francesco Leonetti, scrittore espressionista nato a Cosenza, ma cresciuto a Bologna, il quale, insieme a Pasolini e Roberto Roversi è il fondatore della rivista “Officina”, cui partecipa anche come redattore. Leonetti recitò, nella parte di Erode, in Il Vangelo secondo Matteo e interpretò il servo Laio in Edipo re, il marionettista in Che cosa sono le nuvole.
Sua la voce del corvo di Uccellacci e uccellini e dell’oste in I racconti di Canterbury. Fu legato a Leonida Rèpaci e il regista e produttore Mario Gallo per il quale scrisse alcuni testi per i suoi documentari.
Ninetto Davoli, uno degli attori che più segna con la sua presenza la filmografia di Pasolini, era di famiglia calabrese. Così come calabresi erano Margherita Caruso, la Madonna del Vangelo secondo Matteo e il partigiano Rosario Migale che interpretò San Tommaso.
Tra gli altri esponenti della cultura calabrese entrati in contatto con Pasolini, si ricordano lo scrittore di Vazzano (Vibo Valenzia) Sharo Gambino e il regista e sceneggiatore vibonese Andrea Frezza che gli svelarono la realtà contadina dell’entroterra della Calabria centrale.
Evidenti e incontrovertibili i segni della costante attualità di Pasolini anche negli ambiti culturali, sociologici e politici del suo pensiero che lambiscono il suo passaggio per le terre desolate e desolanti della Calabria degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.
Carlo Fanelli è Professore associato di Discipline dello spettacolo dell’Università della Calabria
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