La mostra è uno sguardo nell’arte di sei donne che hanno contribuito a modificare il panorama dell’arte italiana, l’evento ha luogo a Roma, nello spazio a Vicolo del Cinque che per molti anni è stato lo studio di Marilù Eustachio – scomparsa pochi mesi fa, il 5 novembre 2024 – e che, per volontà dell’artista, è divenuto una Galleria, inaugurata lo scorso aprile da una personale della stessa Marilù Eustachio.
La presente mostra è stata ideata dalla padrona di casa, che ha scelto le cinque artiste che la accompagnano. Carla Accardi, Giosetta Fioroni, Titina Maselli, Elisa Montessori e Cloti Ricciardi sono state compagne di strada di Marilù e ciascuna di loro protagonista di un’epoca cruciale e irrepetibile della cultura italiana ed europea. Un tempo in cui molto sembrava possibile in una Roma ricca di poesia, teatro, musica, arte e di coscienza politica. Venuta a mancare l’ideatrice, le opere in esposizione sono state scelte da Giovanna dalla Chiesa.
Heimat, il nome che Marilù ha dato alla Galleria ha nel significato un senso di appartenenza ad un luogo, ma anche il sentimento di legame affettivo, d’intimità e ricordo, che la scelta delle artiste in mostra fa affiorare in superficie.
La mostra per queste ragioni è unica, Marilù Eustachio – che non ha mai voluto far parte di movimenti o gruppi, benché avesse una rete di relazione con intellettuali e scrittori che hanno sottolineato il valore della sua opera – ha pensato questa mostra come una fotografia di amiche e sodali dalla sua biografia artistica: un insieme di relazioni reciproche che illustrano la sua personale narrazione della vicenda della ricerca artistica femminile, nel mondo romano dell’arte dagli anni Quaranta agli anni Duemila.
La mostra mette in valore alcune delle attrici della trasformazione sociale e culturale di un sistema dell’arte governato da sempre dagli uomini. Artiste e intellettuali della levatura di Carla Accardi e Titina Maselli negli anni Quaranta hanno perseguito la loro personale ricerca artistica resistendo alle consuetudini sociali e culturali che ammettevano per la donna solo un ruolo da comprimario.
Elisa Montessori e Giosetta Fioroni negli anni Cinquanta hanno intrapreso il loro percorso artistico seguite a qualche anno di distanza da Marilù Eustachio e poi da Cloti Ricciardi negli anni Sessanta. Marilù Eustachio e le sue compagne di strada con la loro libertà, creatività, maestria e resilienza hanno fatto la storia dell’arte contemporanea contribuendo all’apertura di un varco nel sistema dell’arte alle artiste, curatrici, critiche e storiche dell’arte che oggi animano la vita culturale italiana.
Le opere scelte da Giovanna Dalla Chiesa provengono dagli archivi delle artiste eccetto quelle di Titina Maselli prestate da Massimo Minini e quelle di Elisa Montessori prestate dalla Galleria Monitor. Il principio seguito dalla curatrice è stato cercare l’humus interno che ha permesso questo sodalizio.
Mi spiega la curatrice: «Le opere sono state scelte tra quelle meno conosciute e viste per far meglio capire la sostanza molto femminile, il terreno soffice e delicato di rapporti di tono nel colore». L’intento era di fare un mostra un poco sussurrata, costruita sulla morbidezza dei pastelli di Marilù Eustachio e di Giosetta Fioroni, sulla tenue e chiara pittura a olio di Elisa Montessori e su tre vibranti pastelli a cera su cartoncino di Carla Accardi degli anni Settanta.
«L’eccezione – continua Giovanna Dalla Chiesa – è Titina Maselli, che rompe la quiete della mostra aggredendo lo spazio con i suoi corpi», come nel Calciatore caduto (1963) che sembra un catafratto atterrato dipinto da un Paolo Uccello futurista. Invece, il modo di avvicinarsi di Marilù Eustachio alla realtà del corpo e afferrarla era avvolgere le anatomie in una nebulosa di segni e colore, come vediamo in Gesto d’amore e Adamo ed Eva (ambedue 1985) esposte insieme a cinque inchiostri su carta trasparente tratti dalla serie Emily Dickinson (1989-90), che invitano a una lettura ravvicinata della grafia, del testo e del segno e ricordano al visitatore il diuturno esercizio grafico e letterario svolto da Marilù nei taccuini compulsati per decenni, dalle sue letture e dai suoi disegni.
L’opera di Cloti Ricciardi ha una materialità che può, come nelle Lettere d’amore (1968-70) scritte con i trucioli di metallo, essere materica e scabra. Nondimeno, il suo appartenere a un universo artistico dialogante con l’arte di Marilù è manifesto nella superficie levigata del vetro di Fratto in tre tavoli (1983-90) e nei fogli di cristallo rivestiti di filamenti di lana di Ipotesi grafica (1971).
Come scrive Giovanna Dalla Chiesa, le opere delle sei artiste sono «Frammenti di mondi che dialogano fra loro in sintonia e trovano una loro naturale accoglienza nel luogo che per tanti anni ha ospitato il lavoro e la personalità di Marilù Eustachio».
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