LAMEZIA TERME «Siamo allo schiavismo, alla barbarie, all’Ottocento. Quella vicenda è importante perché svela un sistema, è la punta dell’iceberg». La grande distribuzione organizzata torna tema nodale a “In primo piano” in onda oggi su L’altro Corriere TV (canale 75 dt): con Giuseppe Valentino, segretario generale Filcams Cgil, si parte dall’inchiesta scattata nei giorni scorsi.
«Un settore che con 120mila addetti rappresenta il 20% sul totale degli occupati e fa parte del 70% di economia del terziario avanzato, ed è una fetta importante del lavoro femminile e giovanile, non ha alcuna regola precisa, per ragionamenti e motivi complessi, per le maglie larghe delle istituzioni che permettono a imprenditori e delinquenti di utilizzare un sistema» dice il sindacalista intervistato da Danilo Monteleone.
Il ruolo dei sindacati
Dov’erano i sindacati? «Nell’inchiesta esce una cosa terribile, con qualcuno che si presenta come sindacalista ma sarebbe una persona corrotta, anche se è tutto da verificare: utilizzerebbe il suo essere sindacato non per emancipare i lavoratori dallo schiavismo ma per contrattare con il datore di lavoro condizioni di peggior favore traendone profitto. Succede che spesso i lavoratori non sono liberi di scegliere il proprio sindacato, spesso quando ne scelgono uno scomodo ne hanno delle conseguenze. Lo stesso brand che nell’alto Tirreno licenzia un nostro iscritto con banali scuse perché dava fastidio. Chi ha coraggio rischia di più rispetto ad altri che si piegano. La domanda “il sindacato dov’era e dov’è’” è il nostro assillo».
«Siamo stati davanti ai supermercati sequestrati nei giorni dell’inchiesta, provando a dire ai lavoratori di organizzarsi, davanti alla giusta diffidenza verso chi sindacato non era da parte di chi chiedeva dove fossero i sindacati. Manca una cultura sindacale tra i più giovani».
Il cono d’ombra
Valentino afferma che «c’è il ricatto della fame, per cui bisogna adattarsi: è il paradigma che ci relega in una condizione di sottosviluppo. Spesso lavoratori ci chiedono di iscriversi e poi chiedono di cancellarsi per la paura. È come se il datore di lavoro facesse problemi vedendo un suo dipendente iscritto a una piattaforma tv o a un’altra app a pagamento… Stiamo facendo una battaglia per dire che in Calabria il contratto integrativo aziendale deve essere uguale per lo stesso marchio in tutta Italia: brand nazionali utilizzano il codice etico e il valore nei loro spot solo nei confronti dei clienti. C’è una linea immaginaria che separa la Calabria dal resto del Paese. Noi ci battiamo per far restare i lavoratori calabresi nella loro terra, senza contratti pirata o contratti minori per risparmiare e speculare sulla pelle delle persone. Altrimenti resta solo retorica quella dei giovani che scappano o dei lavoratori che non si trovano… ».
In cerca di dignità
E poi gli stipendi: 18mila euro lorde l’anno, 900 euro al mese, significano che a trent’anni devi pagarti i trasporti – mancando un sistema pubblico – e non puoi andartene di casa in maniera dignitosa, tra caro affitti e altri costi. «Una deregulation che sta portando allo schiavismo, con casi di lavoratori che dormivano in macchina per i turni spezzati cui dovevano sottostare, anche in part time». Non c’è tempo libero – lavorando h24 per una settimana – e «lavorando 8 ore quando va bene tra luci, musica e urla, con un grande stress e ricadute nella salute psicofisica». Valentino segnala contestazioni disciplinari per un flacone di shampoo rotto mentre viene sistemato nello scaffale. «Ecco perché i lavoratori si piegano, davanti a queste barbarie: libero dal bisogno, nessuno lavorerebbe in queste condizioni».
Il tavolo (chiuso)
Sul tavolo sulla contrattazione aziendale e sulle ragioni evocate dalla collega della Uil (una legge che disciplini il commercio), Valentino si mostra pessimista: «Il tavolo? È chiuso per volontà dell’assessore, non viene convocato da un anno. Non c’è interesse della politica, evidentemente. Magari anche per questo la carne viva del Paese non va a votare». Infine, un ultimo passaggio sul tema del ricatto: «Part time e tempo determinato sono diventate l’unica formula, per questo – osserva Valentino – ci si piega alle volontà del datore di lavoro. I referendum dei sindacati parlano proprio di questo, ma c’è da lavorare tantissimo anche sulla partecipazione e della cultura della maggioranza sana, quella che lavora e dà reddito al Paese. Prima c’era il pizzo – pagare per poter lavorare – ora con il part time involontario hanno trovato il sistema per assumere per 3 ore e farne lavorare 12. Non esiste un modo per tracciare orari e ingressi in modo da evitare l’evasione fiscale? Chi controlla? È una questione di impegno politico» conclude Valentino. (redazione@corrierecal.it)
L’intervista:
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