«Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende». È un verso del più noto componimento del poeta nazionale palestinese Mahmoud Darwish che viene alla mente guardando le immagini che catturano Gaza a tre settimane dall’inizio della tregua.
IL POPOLO DELLE TENDE è intrappolato in una spirale di sfollamento forzato e ricostruzione precaria dell’esistenza: i palestinesi fanno da sé come hanno fatto da sé nel 1948, quando da soli fondarono campi profughi nei paesi vicini, senza sapere che sarebbe rimasta la loro casa per sette decenni.
Ieri Bloomberg ha pubblicato le immagini satellitari che dal cielo riassumono quello che avviene a terra: lungo le principali arterie stradali sono sorte tendopoli spontanee, da nord a sud, mentre altre migliaia di rifugi montati sulle rovine delle abitazioni punteggiano la mappa. Grumi di bianco e blu lungo le strade, perché è più facile per i mezzi da lavoro rimuovere le macerie. La situazione peggiore è nel nord di Gaza dove – scrive Bloomberg – il 78% degli edifici è stato distrutto o danneggiato dall’offensiva israeliana e da mesi di assedio totale. Restano in piedi appena 35mila edifici.
«La mia casa è andata, il mio lavoro è andato, ma non permetterò a Trump di cacciarci», dice ad al Jazeera Mohamed Abou Azb, residente di Khan Younis. «Siamo radicati in questa terra, siamo radicati a Gaza». È una delle risposte che giornaliste e giornalisti palestinesi hanno raccolto nelle ultime ore nella Striscia dopo l’ultima minaccia di Donald Trump. L’ha affidata a Truth Social, alzando il tiro: non solo pulizia etnica, ma sterminio.
«(Hamas) rilascia tutti gli ostaggi adesso e riconsegna immediatamente tutti i corpi o per te è finita – ha scritto – Solo i malati e i perversi si tengono i corpi». (Anche qui le risposte non sono mancate: sarebbero un migliaio di cui accertati almeno 630, come avevamo raccontato su queste pagine il 7 dicembre scorso, i corpi di palestinesi mai restituiti da Israele e «detenuti» nei cimiteri dei numeri o nei freezer).
TRUMP HA POI proseguito rivolgendosi alla popolazione: «A tutta la gente di Gaza: un bellissimo futuro vi aspetta, ma non se tratterrete gli ostaggi. Se lo fate, siete MORTI». Ad Hamas Trump dà «l’ultimo avviso», lasciando nel dubbio: la barbara minaccia a due milioni di persone è stata affidata all’etere a poche ore dalla rivelazione di Axios secondo cui, per la prima volta nella storia, gli Stati uniti sono in contatto diretto con Hamas per negoziare il rilascio degli ostaggi cittadini statunitensi (cinque, di cui quattro sarebbero deceduti).
La conferma l’aveva data Israele mercoledì sera in un secco comunicato in cui il primo ministro diceva di aver «espresso le propri posizioni» a Washington. Secondo fonti interne, Tel Aviv ha saputo del dialogo tra l’alleato e il nemico da terze parti.
La violenza del linguaggio di Trump lascia nel dubbio anche alla luce del prossimo viaggio del suo inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, previsto da giorni ma sempre rinviato. Dovrebbe svolgersi la prossima settimana e, secondo la stampa israeliana, Witkoff avrebbe chiesto a Israele «di mantenere il cessate il fuoco a Gaza fino al suo arrivo nella regione».
Il movimento islamico, da parte sua, reagisce dicendo a Trump che è stata l’amministrazione Usa a fare da mediatrice nell’accordo di tregua di metà gennaio e che è tenuta a rispettarlo. Ovvero, avviare i negoziati sulla seconda fase, mai partiti in violazione dell’intesa, con Israele che insiste per estendere la prima fase evitando così la «tagliola» della fine definitiva dell’offensiva contro Gaza (ieri il ministro degli esteri israeliano Katz è tornato sui desiderata di Tel Aviv minacciando la ripresa dell’attacco «con intensità mai vista»).
DELLE CENTINAIA di violazioni della tregua, a preoccupare di più sono le nuove vittime (ieri un raid a Shujaiya ha ucciso un palestinese; secondo Tel Aviv stava posizionando un ordigno, non ha fornito prove a riguardo) e il blocco totale degli aiuti in ingresso. Significa che da domenica scorsa non entrano cibo, tende, medicine e carburante.
Se, dice l’Onu, i pasti a disposizione non bastano nemmeno per due settimane, gli impianti di desalinizzazione ancora funzionanti e necessari a rendere potabile l’acqua rimarranno operativi «per pochi giorni», denunciava ieri Amjad Shawa, direttore della rete delle ong palestinesi.
È morto invece nel carcere israeliano del Naqab il 62enne gazawi Ali Ashour Ali al-Batsh. Padre di sei figli, era stato arrestato il 25 dicembre 2023. Sono 62 i prigionieri palestinesi morti in un carcere israeliano dal 7 ottobre 2023, di cui 40 provenienti da Gaza, «a causa di torture, fame, abusi sessuali, assenza di cure», denunciano le associazioni palestinesi che si occupano di tutela dei detenuti.
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