Cosa è che rende innovativa una città, una regione? Cosa è davvero necessario in un territorio per creare sviluppo economico di qualità, per attrarre talenti e per sostenere una vera Economia della Conoscenza? Perché alcune aree, tradizionalmente indietro in uno scenario globale, si stanno dimostrando oggi molto più dinamiche rispetto a zone che sono da sempre considerate forti dal punto di vista dello sviluppo economico?
La Campania da qualche anno è protagonista di uno sviluppo eccezionale di nuove imprese, di startup e PMI innovative, con numeri che la collocano come la regione al secondo posto in Italia ed al primo per il tasso percentuale di incremento. Ed in un certo senso questo processo di crescita sembra quasi inspiegabile per una regione meridionale mentre in realtà, a guardar bene, è il risultato di fattori, alcuni nuovi ma altri tradizionalmente presenti, che si stanno sommando per portare a questo risultato.
Per comprendere come questo stia accadendo dobbiamo innanzitutto capire quali sono le condizioni che consentono la creazione di un ecosistema dell’innovazione, ossia la presenza in un territorio di quelle condizioni per uno sviluppo economico legato alla ricerca, alla tecnologia, alla creatività.
I fattori di successo delle aree che sono capitali globali dell’innovazione e della tecnologia, prima tra tutte la Silicon Valley, sono la presenza di ottime università, di capitali pronti ad essere investiti, di una governance pronta a finanziare la ricerca. È la disponibilità di chi è interessato a comprare le innovazioni prodotte o le aziende che le hanno generate. E, fattore questo assolutamente non secondario, una qualità di vita fatta di comunità aperte ed inclusive.
Alcune di queste condizioni sono presenti nei nostri territori, e lo sono da centinaia di anni. La presenza di università, di accademie, rende le nostre città delle comunità accoglienti che vivono di sapere, di cultura, di ricerca e più recentemente le ha viste diventare sedi di centri di ricerca e di laboratori sia pubblici che privati. E non possiamo dimenticare come, nel passato, questo sviluppo di conoscenze si sia effettivamente tradotto (purtroppo solo episodicamente) in nuovi prodotti, in invenzioni, e poi in imprese che sono state all’avanguardia nella meccanica, nella chimica, nella farmaceutica.
È bastato che qualcuno dedicasse a questo potenziale addormentato un po’ di risorse, che, immediatamente, questo nostro ecosistema della ricerca si risvegliasse, dando chiari segni delle sue possibilità in termini di crescita.
I fondi che prima la Regione Campania e poi il Governo nazionale hanno riservato alle nuove imprese innovative sono stati un primo importante passo in questa direzione. Ma adesso è necessario innescare un processo di maggiori dimensioni, che coinvolga interamente la struttura del nostro Stato e della nostra economia, in tutte le sue componenti. Seguendo l’esempio di nazioni a fortissimo tasso di innovazione ma a noi simili, come la Francia ed i Paesi Scandinavi, occorre generare un circolo virtuoso che leghi la creazione di conoscenza alla creazione di ricchezza attraverso la trasformazione di idee e scoperte in prodotti e servizi che siano comprati dalla Pubblica Amministrazione nelle sue diverse articolazioni e dalle imprese che vogliono essere più competitive a livello globale.
L’Europa, l’Italia ed il nostro Sud non sono condannati alla retroguardia, ad un ruolo secondario nel panorama dell’innovazione. Se è verso che i primi annunci hanno visto protagonisti aziende e ricercatori degli Stati Uniti o della Cina, è anche vero che su tecnologie quali l’Intelligenza Artificiale o il Quantum Computing, o in settori quali i nuovi farmaci basati su RNA, i nuovi bio-materiali, siamo in grado di produrre ricerca di altissima qualità che deve solo trovare sbocchi adeguati, per innescare un circolo virtuoso tra mondo della ricerca, imprese, finanza e mercato che si possa autosostenere.
La vicenda dell’industria automobilistica europea è, in questo senso, decisamente paradigmatica. Al di là delle questioni, pur importanti, legate alle scelte strategiche sulla riduzione dell’impatto dei motori a combustione, sta di fatto che in molte città americane oggi si possono prendere taxi che non hanno un autista a bordo, e che sono dei veri e propri computer a quattro ruote. In netto contrasto con l’approccio europeo che vede l’innovazione come semplicemente l’aggiungere ad auto tradizionali più gadget digitali.
Perché ciò avvenga occorre fare sistema, eliminando particolarismi e sindromi neo-luddiste, dando innanzitutto fiducia e spazio ai nostri giovani che di queste competenze, di queste innovazioni sono i protagonisti principali. Per riuscirci dobbiamo solo investire nel nostro futuro ma sempre con uno sguardo ben saldo sul nostro passato. Uno studio di qualche anno fa pubblicato dalla Harvard Business Review paragonava la Silicon Valley ed il suo incredibile sviluppo fatto di giganti delle tecnologie e di piccole startup ad elevatissima specializzazione, proprio alle città italiane del tardo medioevo, con la loro incredibile esplosione di creatività e di arte e, nello stesso tempo, di scienza, di architettura, di ingegneria, che noi conosciamo sotto il nome di Rinascimento. In fondo, dobbiamo solo ricordarci di cosa siamo stati.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link