C’è un gruppo di persone che si batte per portare il diritto alla casa in Costituzione


Sono per la maggior parte under 30 ma non soltanto. Cittadini stanchi di ascoltare storie di sfatti, caro affitti e di lavoratori precari che non possono pagare il mutuo. Così hanno deciso di raccogliere 50mila firme affinché tutti possano avere un’abitazione in cui vivere

«Lucia ha vent’anni, viene da un piccolo paese del sud Italia e quando è stata ammessa all’università, a Roma, si è sentita al settimo cielo. Poco dopo, però, non appena ha iniziato a cercare casa, la realizzazione del suo sogno si è scontrata con la realtà: 800 euro per un monolocale, 600 per una singola, 400 euro per un posto letto in doppia. La scrivania fuori dalla camera, lungo il corridoio, e il bagno da dividere in sei». A parlare è Federica Oneda, tra le fondatrici del neonato comitato “Ma quale casa?”, un insieme di cittadini con background e storie tutte diverse, uniti, però, da un ideale comune: la casa come diritto fondamentale da garantire a ogni persona.

La storia che Oneda racconta non è la sua. Ma una delle tante che sono arrivate al Comitato “Ma quale casa?”, di chi, per motivi più vari, è rimasto senza un tetto a coprirgli la testa, senza un luogo caldo in cui dormire: anziani vittime di sfratto, famiglie che non possono più pagare il mutuo, giovani lavoratori precari, stranieri senza i requisiti necessari per accedere alle case popolari, studenti colpiti dal caro affitti.

«Siamo una generazione ostaggio del mercato immobiliare. Ci dicono che studiare è un diritto, ma ci fanno pagare per esercitarlo. Ci dicono che siamo il futuro, ma ci costringono a vivere in condizioni precarie. Vivere nelle città dove si studia sta diventando un lusso, un privilegio, quando dovrebbe essere un diritto», spiega ancora Oneda al megafono, circondata da attivisti e attiviste che, come lei, giovedì 6 marzo sono arrivati – non solo da Roma ma anche da Bologna, Prato, Napoli e Ancona – per incontrasi davanti alla Corte di Cassazione, al lato di Piazza Cavour, nel cuore della Capitale, per depositare una proposta di legge di iniziativa popolare, per riconoscere e garantire il diritto all’abitare in Costituzione.

La ricerca delle firme

«Conosciamo già la storia di Lucia. Di Stefano, che ha perso il lavoro e dorme in macchina. Di Giovanna, che con la pensione non riesce a pagarsi sia medicine che affitto. Di Claudia, di Vincenzo, di Andrea, che sotto sfratto perché per i proprietari della casa in cui erano in affitto guadagnare conta più di tutto il resto. Conosciamo la storia di Simone e Francesca, di Massimo, di Roberto, di Riccardo, che hanno trovato il lavoro in una città in cui non hanno abbastanza soldi per vivere. Conosciamo già tutte queste storie ed è proprio per questo che siamo qui oggi», dice Mattia Santarelli, presidente del Comitato “Ma quale casa?”. 

«Siamo qui perché conosciamo queste storie, perché le viviamo, perché ne siamo parte e perché siamo stanchi, rattristiti, incazzati, ma di certo non rassegnati. Siamo qui perché è il momento di cambiare le storie che conosciamo già, per immaginarne una nuova, diversa, insieme», aggiunge Santarelli poco prima di salire la scalinata che anticipa l’ingresso del Palazzo di Giustizia, per depositare presso la Corte Suprema di Cassazione la proposta di legge. Che subito dopo necessiterà delle firme di 50mila elettori per proseguire il suo iter d’approvazione.

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La tensione è alta tra i tredici di “Ma quale casa’” che entrano tenendo tra le mani i fogli con le modifiche agli articoli 44, 47 e 117 della Costituzione, affinché l’accesso all’abitazione venga considerato «come un bene primario e mezzo necessario per assicurare alla persona l’effettivo esercizio dei diritti e una vita libera e dignitosa», si legge nel testo. E perché la Costituzione non favorisca l’accesso del risparmio popolare solo alla proprietà dell’abitazione ma anche al suo «godimento».

Problemi di tutti

Qualche battuta serve per stemperare l’ansia e tenere sotto controllo le emozioni: «Non ci credo che siamo arrivati fin qui, non ci credo che ce l’abbiamo fatta», si dicono tra loro gli attivisti, sussurrandosi alle orecchie. Sono per la maggior parte under 30 ma non soltanto. Fanno parte del Comitato cittadini di ogni età: «Proveniamo da mondi diversi, a qualcuno piace il mare, altri non si muovono dalla montagna, abbiamo età differenti. Ma una cosa ci accomuna: crediamo che la casa debba essere riconosciuta concretamente come un diritto fondamentale della persona», legge sul sito di “Ma quale casa” chi desidera approfondire la struttura del Comitato.

Tra i partecipanti alla giornata simbolo, che segna la nascita di una campagna che prende forma dal basso, dalle persone – e proprio tra queste vuole rimanere e crescere- c’è anche il professore di diritto pubblico all’Università Sapienza, Angelo Schillaci, senza il quale il testo della proposta di legge non sarebbe potuto essere così com’è.

«Con la pandemia abbiamo compreso che la casa è molto più di un luogo fisico: può diventare ufficio, scuola, spazio sociale, ma può anche trasformarsi in una gabbia. Garantire una casa sicura, dignitosa, e accessibile è il primo passo per garantire il pieno benessere della persona. Senza una casa, non possiamo immaginare una vita», conclude Santarelli alla fine di una mattinata intensa. Pronto, con il Comitato, a iniziare la campagna per la raccolta delle 50mila firme necessarie, in sei mesi in tutto il Paese, per la presentazione della proposta di legge in Parlamento.

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