Come si stabilisce il canone di affitto concordato


Quali sono i parametri di riferimento per determinare la cifra che il proprietario può chiedere e l’inquilino dovrà pagare; quali limiti, minimi e massimi, sono inderogabili.

Alcuni lettori ci chiedono come si stabiliscono il canone di affitto concordato. Vogliono sapere, in particolare, se c’è un limite minimo o massimo da non oltrepassare, e quali sono i parametri di calcolo per determinare la cifra che il proprietario può chiedere e che – se si stipula il contratto – l’inquilino dovrà pagare.

Contratto di affitto a canone concordato: gli accordi locali

Diciamo subito che i contratti di locazione a canone concordato non consentono una contrattazione libera tra le parti sull’importo che l’inquilino dovrà versare al proprietario, perché devono rispettare le fasce di oscillazione stabilite dagli accordi locali tra le associazioni dei proprietari e degli inquilini. Questi accordi – il cui contenuto varia da Comune a Comune – fissano un canone minimo e massimo in base a diversi parametri, come la zona dell’immobile, le sue caratteristiche e lo stato di manutenzione. Tra poco ti spiegheremo in dettaglio questi aspetti.

Tutto ciò è espressamente previsto dalla legge sulle locazioni abitative (art. 2, comma 3, Legge 431/1998). Questa normativa, dopo aver previsto i contratti a canone libero (quelli con la consueta formula “4+4”) stabilisce che, in alternativa, le parti possono stipulare i contratti a canone concordato nel rispetto delle condizioni standard stabilite dalla legge stessa (tra cui, innanzitutto, la formula 3+2: tre anni di durata iniziale più il rinnovo automatico ad ogni biennio, salvo disdetta) e degli accordi presi a livello locale tra le organizzazioni rappresentative della proprietà edilizia, da un lato, e degli inquilini dall’altro.

Tali accordi – che, come vedremo tra poco, hanno un’importanza fondamentale per la determinazione dei canoni concordati – sono pubblici, in quanto vengono depositati presso ogni Comune dell’area territoriale interessata e dunque possono essere consultati da tutti. Inoltre essi vengono periodicamente rinnovati (generalmente, ogni triennio o ogni quinquennio) per adeguarsi alle mutate condizioni abitative e dei valori di mercato degli affitti.

Contratti concordati: lo schema tipo e le clausole inderogabili

È importante notare che le suddette condizioni contrattuali stabilite dalla legge, e dagli accordi territoriali locali, sono inderogabili nel senso che le parti non possono disporre diversamente, ad esempio prevedendo una durata inferiore al minimo dei 3 anni più 2 di rinnovo automatico. Se volessero farlo dovrebbero ricorrere ad altre tipologie contrattuali, ma non a quella a canone concordato (che tra l’altro offre ai proprietari, a fronte della percezione di un canone di affitto inferiore ai valori medi di mercato, l’importante beneficio della tassazione in regime di cedolare secca anziché con le ordinarie aliquote IRPEF, in modo da conseguire un notevole risparmio di imposte; c’è poi anche l’IMU agevolata per chi affitta a canone concordato).

Pertanto se le parti introducono in un contratto a canone concordato delle clausole difformi dallo schema legale esse si intendono automaticamente sostituite dalle previsioni normative, in applicazione del principio della nullità parziale sancito dall’articolo 1419, comma 2 del Codice civile in combinato disposto con l’articolo 1339 sull’inserzione automatica di clausole: sicché il contratto stipulato resta complessivamente valido per il resto e, quindi, le pattuizioni non contrastanti con il dettato normativo o con il contenuto degli accordi territoriali rimangono efficaci e vincolanti per le parti.

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Inoltre la locazione a canone concordato deve essere stipulata seguendo un preciso schema di contratto tipo, che segue pedissequamente le indicazioni fornite in un modello ministeriale (puoi scaricarlo qui), sicché le parti non possono introdurre formule “libere” come invece avviene nelle locazioni ordinarie. Le agevolazioni fiscali cui abbiamo accennato sono condizionate dall’adozione di queste precise formule tipizzate (oltre che, ovviamente, dalla registrazione del contratto presso l’Agenzia delle Entrate: in tale fase il locatore può optare per la cedolare secca).

I parametri di riferimento per calcolare il canone concordato

Scendendo nel pratico, ecco i parametri di riferimento per la determinazione del canone di affitto concordato. Ogni accordo territoriale indica i criteri oggettivi e attribuisce un preciso valore, in termini di “punteggio”, a questi elementi:

  • la zona in cui si trova l’immobile: solitamente il territorio comunale viene diviso in fasce (centro storico, semicentro, periferia, zone di pregio, ecc.), a ciascuna delle quali corrisponde un coefficiente diverso (nelle grandi città la specificazione delle aree può essere maggiore e più analitica, distinguendo, ad esempio, alcuni specifici quartieri);
  • la superficie dell’immobile: si considera la superficie calpestabile (non quella commerciale) dell’appartamento, espressa in metri quadri;
  • le principali caratteristiche dell’immobile, tra cui, in particolare, l’anno di costruzione (o di ristrutturazione) del fabbricato e il suo attuale stato di conservazione (con un giudizio espresso in termini di “eccellente”, “ottimo”, “buono”, discreto/medio”, “cattivo/pessimo”, ecc., o un voto numerico corrispondente a tale stato);
  • le dotazioni dell’immobile e dell’edificio in cui si trova: rilevano, soprattutto, il fatto che l’appartamento sia ammobiliato e dotato di elettrodomestici, la presenza o meno dell’ascensore, la dotazione di riscaldamento autonomo o centralizzato, la classificazione APE (Attestato di Prestazione Energetica) ai fini delle dispersioni di calore e dell’efficientamento, l’esistenza di balconi, terrazzi e/o di un giardino, di posti auto o garage e di strutture per l’eliminazione delle barriere architettoniche facilitando l’accesso e la fruizione ai disabili;
  • i servizi pubblici presenti nella zona in cui si trova l’immobile, con particolare riferimento alle scuole, ai servizi sanitari, ai collegamenti con i mezzi di trasporto e alle aree verdi ed attrezzate;
  • la durata contrattuale: in alcuni Comuni, più lunga è rispetto a quella standard (ad esempio, 5 anni anziché 3, più i consueti 2 di rinnovo automatico) più il canone potrà salire (solitamente la maggiorazione sul canone base è di qualche punto percentuale, tra il 3% per gli aumenti di un anno e il 10% per quelli di sei anni o più).

La determinazione del canone concordato tra il minimo e il massimo

Una volta definiti i parametri concreti dell’immobile, gli accordi territoriali forniscono delle tabelle che indicano un intervallo di canone al metro quadro (ad esempio: da 6 a 8 euro/mq mensili) che andrà moltiplicato per la superficie dell’appartamento e “adattato” con i coefficienti moltiplicatori (o demoltiplicatori) previsti per ciascuna delle voci che abbiamo descritto e per quelle, eventuali e ulteriori, inserite come rilevanti per la determinazione del canone.

Il risultato sarà un range, una forbice compresa tra un minimo ed un massimo (ad esempio, tra 480 e 640 euro mensili). Entro questo intervallo le parti potranno accordarsi liberamente per la determinazione del canone concordato da indicare nel contratto, ma senza scendere sotto il minimo né superare il massimo previsto per quell’immobile, altrimenti subentra il meccanismo di integrazione automatica delle clausole che abbiamo descritto sopra in modo da riportare l’importo entro i valori previsti. Il canone non può superare l’importo massimo stabilito dagli accordi territoriali locali per tutelare gli inquilini dall’eccessivo costo degli affitti e, allo stesso tempo, non può essere inferiore al minimo previsto dagli accordi stessi, per garantire ai proprietari una rendita adeguata e non penalizzante.

Approfondimenti

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