Uno degli studi più interessanti diffusi in occasione dell’8 marzo è quello di Linkedin News, che analizza quello che molti, io compresa, ritengono il principale problema femminile irrisolto di questi anni, il lavoro.
La disparità di trattamento resta qualcosa di incredibile per chi, come la mia generazione, ha combattuto e a volte vinto nei confronti di una disparità di genere evidente nel mondo del lavoro in modo particolare per quanto attiene alla carriera e al percorso professionale delle donne, disparità che francamente noi credevamo sarebbe stata superata progressivamente nel tempo. Si parte ovviamente dal processo di selezione. Se questo fosse basato sulle competenze invece che sull’esperienza professionale, potrebbe determinare un cambiamento importante a vantaggio delle lavoratrici soprattutto per i lavori ancora incredibilmente ritenuti appannaggio dei soli uomini.
L’approccio viene catalogato nel mondo come skill first ed è stato analizzato il risultato che determinerebbe se applicato nel mercato del lavoro italiano.
Quanto aumenterebbero i talenti a disposizione delle aziende se si scegliesse un approccio nelle assunzioni basato sulle competenze piuttosto che sul percorso di studi o sul job title?
Non poco: in Italia, ad esempio, parliamo di un aumento pari a oltre 7 volte.
L’effetto più dirompente, però, sarebbe l’aumento della rappresentanza femminile, 7,5 volte più grande in tutti i settori. In quei mestieri, invece, dove le donne sono normalmente una minoranza, la loro presenza aumenterebbe del 5%. La crescita è documentata da un’analisi LinkedIn che ha quantificato il potenziale di questo cambiamento strutturale nel reclutamento con un focus sui settori del momento: l’intelligenza artificiale e la sostenibilità. Questi settori sono comunque proiettati nel futuro, anche se in un paese come il nostro sono in costante aumento anche i settori dell’assistenza privata (siamo un popolo molto anziano e la sanità pubblicata è al disastro) e ovviamente del turismo in tutte le sue forme.
Sappiamo molto bene che da noi la situazione non è tra le più promettenti da questo punto di vista: nel 2024, sempre secondo un report LinkedIn, la quota di donne in posizioni di leadership è pari al 30,9%, un dato in aumento dal 29,1% del 2015. Dal 2022, però, i progressi sono finiti, con un debole +0,2% conseguito in due anni. E a gennaio 2025 le donne assunte in posizioni manageriali sono calate del 5,9% rispetto a un anno prima. Ecco, un esempio che riguarda il giornalismo: nella Rai – dove 30 anni le donne direttrici erano due – oggi nelle testate giornalistiche semplicemente non ci sono direttrici!
Cambiare paradigma nelle assunzioni farebbe bene anche ai lavoratori delle nuove generazioni, soprattutto a loro. Questo perché, spiega il report, stanno imparando a sviluppare nuove abilità e competenze interscambiabili tra più ruoli. Tra i più giovani in particolare, l’approccio skill-first aumenterebbe il bacino di talenti disponibili di 7,8 volte.
Personalmente ho lavorato per anni in una Rai forte e professionale, ma sempre facendo centinaia di incontri e riunioni in cui l’unica donna ero io, o al massimo eravamo in due. Verso la fine degli anni 90 l’approccio era cambiato, c’erano donne anche ai vertici di strutture tecniche e informatiche. Oggi un brusco ritorno indietro.
Come si fa ad ottenere questi risultati? Ad esempio modificando le offerte: per aumentare la rappresentanza femminile basterebbe che i datori di lavoro includessero le competenze richieste, piuttosto che limitare la ricerca a candidati con esperienza pregressa nello stesso ruolo.
Le job application dovrebbero evidenziare chiaramente le skill necessarie: secondo lo studio LinkedIn, le donne sono più propense (fino a 1,8 volte in più degli uomini) a candidarsi quando vedono un allineamento tra le proprie competenze e quelle elencate nella descrizione del lavoro.
Quante volte sentiamo dire a scuola, all’università, negli ambienti di lavoro che le donne sono più preparate, più competenti? E allora?
Cerchiamo di dare il nostro contributo in una forma costruttiva per evitare che ancora, dopo decenni, si mantenga una inaccettabile disparità di genere a svantaggio delle donne, soprattutto in questa fase di rivolgimento del mondo che tenta di riportare le donne più verso il Medioevo più che proiettarle verso il futuro.
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