Bruxelles dà il via libera alle misure fiscali per il Terzo settore e l’economia sociale: una svolta normativa e culturale


Arriva il via libera dall’Europa alle nuove misure fiscali introdotte dalla riforma del Terzo settore. Lo ha reso noto il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al completamento dell’iter previsto per l’autorizzazione della Commissione europea che ha confermato, dunque, la piena coerenza delle norme introdotte dalla riforma con la disciplina sugli aiuti di Stato. 

Si tratta di un traguardo molto atteso dal mondo del Terzo settore e destinato a segnare un profondo cambiamento in Italia e in Europa per quanto riguarda il trattamento fiscale delle attività svolte dagli enti non profit e dell’economia sociale. Un contesto spesso caratterizzato da norme fiscali estemporanee e da revisioni d’urgenza condizionate dalle (troppe) procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea a danno del nostro Paese (vedasi nuovo regime Iva per associazioni e vicenda Ici/Imu).

L’Italia al centro di un processo culturale

Dunque la riforma del Terzo settore scrive un nuovo capitolo per gli enti non profit, che dal 2026 potranno avvalersi di regole stabili e coerenti con il quadro europeo sugli aiuti di Stato. Una notizia che pone l’Italia al centro di un processo di trasformazione del contesto culturale e giuridico europeo degli enti destinati a prendersi in carico i bisogni della collettività e per i quali occorreva disegnare un quadro fiscale ad hoc per promuoverne le finalità.

L’impostazione della riforma da sempre è stata quella di definire una nuova fiscalità in grado di riconoscere il ruolo del Terzo settore come portatore di interessi collettivi e attuatore del principio costituzionale di sussidiarietà. Con un ruolo completamente diverso rispetto alle imprese profit

L’impostazione della riforma da sempre è stata quella di definire una nuova fiscalità in grado di riconoscere il ruolo del Terzo settore come portatore di interessi collettivi e attuatore del principio costituzionale di sussidiarietà. Con un ruolo completamente diverso rispetto alle imprese profit che agiscono sul mercato e con riferimento alle quali molto spesso sono state costruite le regole, poi applicate forzosamente anche al non profit.  

Il riconoscimento di una peculiarità

Come ribadito anche dalla Commissione europea attraverso la comfort letter della Direzione Generale Concorrenza, che ha preso atto del carattere multiforme del vasto ecosistema del Terzo settore italiano, quest’ultimo non gioca con le stesse regole delle imprese for profit e, dunque, non è possibile applicare i medesimi criteri di tassazione previsti per il mercato. Se non altro perché gli enti del Terzo settore sono tenuti a svolgere attività di interesse generale cui devono destinare i proventi realizzati senza poterli distribuire. Le misure previste per le imprese sociali non a caso prevedono l’applicazione delle ordinarie regole di tassazione solo con riferimento agli utili distribuiti entro i limitati margini ammessi dalla riforma. 

Verso un diritto tributario del Terzo settore

Ma vi è di più. Probabilmente il passo avanti più evidente verso il riconoscimento di un vero e proprio “diritto tributario del Terzo settore” sta nel fatto che, come ha osservato la Commissione europea, le imposte si pagano sul reddito “posseduto”. Una circostanza che si realizza quando il contribuente può disporre a proprio piacimento della ricchezza prodotta. Nel caso degli enti del Terzo settore, invece, non vi è il “possesso” del reddito perché gli enti non possono disporre degli utili prodotti ma devono investire obbligatoriamente negli interessi collettivi. Questo principio generale porta con sé una serie di conseguenze a partire dalla necessità di defiscalizzare gli utili realizzati dagli enti del Terzo settore e di stabilire alcune eccezioni per le imprese sociali con riferimento a quella parte del reddito distribuito che finisce per remunerare il capitale investito.

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Queste, dunque, le regole di principio che emergono dalla nota della Commissione europea che confermano l’impostazione data dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e chiudono definitivamente una fase di incertezza sulle regole fiscali da applicare. A questo punto diviene fondamentale per gli enti farsi trovare pronti per il varo delle nuove regole al fine di valutare i possibili benefici e inquadrare correttamente le attività nelle nuove regole fiscali. 

Le misure fiscali che entreranno in vigore nel 2026

Ma quali sono nel concreto le regole che scatteranno dal prossimo 1° gennaio 2026? In primo luogo, entreranno definitivamente in vigore i criteri per stabilire quando una attività di interesse generale è svolta con modalità non commerciale e soprattutto quando un ente nel suo insieme assume natura commerciale o meno. Andranno in soffitta le regole generali previste dal Testo unico delle imposte sui redditi, fino ad oggi applicate anche dagli Enti del Terzo Settore, e troveranno spazio i criteri dettati dal Codice del Terzo settore. In sostanza se un ente svolge attività di interesse generale dietro corrispettivo, anche realizzando un utile non superiore al 6% annuo, non scatterà nessuna forma di imposizione diretta in quanto l’attività resta non commerciale. Dunque per le realtà del Terzo settore che realizzano anche un avanzo di gestione ci sarà la possibilità di continuare a qualificarsi come ente non commerciale con conseguente accesso anche ad altre misure fiscali di favore dedicate a questa tipologia di enti.

In altre parole, la nuova fiscalità del Terzo settore consentirà agli enti iscritti al Registro unico (Runts) una gestione delle proprie attività più equilibrata e sostenibile, innanzitutto perché si applicheranno criteri più semplici e chiari rispetto a quelli previsti per gli enti non commerciali in generale, ma soprattutto perché sarà consentito alle organizzazioni di ritrarre dalle loro attività un margine di guadagno che, seppur limitato nell’importo e nel tempo, sarà senz’altro d’aiuto per portare avanti i propri progetti di interesse sociale.

Per le imprese sociali

Anche dal punto di vista delle imprese sociali, le novità derivanti dalla nuova fiscalità saranno molto importanti. Con l’entrata in vigore dell’articolo 18 del d.lgs. n. 112/2017 le imprese sociali godranno infatti, per la prima volta in assoluto, di un regime fiscale specifico e disegnato sulle loro caratteristiche, con la possibilità di defiscalizzare gli utili destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. Una misura, questa, davvero tanto rilevante se solo si considera che, sino ad oggi, le imprese sociali sono tenute al pagamento dell’IRES nella stessa misura prevista per le imprese profit e le società.

I regimi forfettari 

Particolare rilevanza assumeranno anche i due regimi forfettari di tassazione previsti agli articoli 80 e 86 del Codice del Terzo settore. Quest’ultimo, in particolare, riserverà ad Associazioni di promozione sociale (Aps) e Organizzazioni di volontariato (Odv) con entrate inferiori a 130mila euro la possibilità di godere di una misura di favore sia ai fini Iva che delle imposte dirette. Un regime, quest’ultimo, che dal 1 gennaio sostituirà per tutti gli Enti del Terzo Settore di natura associativa il regime fiscale di vantaggio previsto dalla L. 398 del 1991. 

La fine delle onlus

Con l’entrata in vigore del regime fiscale degli enti del Terzo settore e delle imprese sociali cesserà definitivamente di esistere l’anagrafe delle onlus dal 1° gennaio 2026. A partire da questa data le singole organizzazioni dotate della qualifica di onlus avranno tre mesi di tempo per adeguarsi alla normativa del Terzo settore e iscriversi presso il Registro unico nazionale del Terzo settore. Il termine ultimo è, dunque, il 31 marzo 2026. Per quelle onlus che non effettueranno il passaggio al Terzo settore si apriranno le porte della devoluzione del patrimonio accumulato nel corso dell’iscrizione alla relativa anagrafe.

Risulta quindi evidente come le onlus, consapevoli di questo destino fin dal 2017 quando è stato approvato il Codice del Terzo settore, dovranno valutare con attenzione le diverse opzioni legate ai modelli offerti dal Terzo settore. Si tratta, in sostanza, di interrogarsi sulle modalità di svolgimento delle proprie attività e di capire se risulta più coerente assumere la veste di Ets, soggetto alla fiscalità dell’articolo 79 del Codice sopra commentato, oppure adottare il modello dell’impresa sociale in presenza di una gestione economica stabilmente in utile. 

Le misure ancora da definire nella interlocuzione con la Ue

La comfort letter inviata dalle autorità europee chiede, prima di dare il suo placet, un supplemento di analisi per quanto riguarda due disposizioni previste all’interno della riforma del Terzo settore. Si tratta da un lato dei titoli di solidarietà, noti anche come social bonus, che consentono agli istituti bancari di raccogliere capitale presso il pubblico da destinare al finanziamento dei progetti sociali degli Ets. L’attesa prosegue anche per la misura concernente il diritto di portare in detrazione fiscale (o in deduzione, in caso di enti) parte dell’investimento operato in favore delle imprese sociali.

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Entrambe le misure hanno la finalità di favorire la capacità di autofinanziamento degli enti del Terzo settore e delle imprese sociali, tema estremamente importante che sarà ora esaminato più da vicino dalla Commissione europea al fine di completare il novero delle misure fiscali approvate.  Dunque un iter che dovrebbe portare auspicabilmente anche queste misure alla piena operatività entro la fine dell’anno.

I prossimi step

I decreti attuativi della riforma del Terzo settore stabiliscono chiaramente che le nuove misure fiscali entreranno in vigore a far tempo dall’ 1 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello in cui arriverà l’autorizzazione Ue. È evidente che la Commissione, con la dichiarazione resa nota dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha confermato la piena compatibilità delle misure fiscali destinate al Terzo settore con la disciplina degli aiuti di stato e dunque l’operatività dei nuovi regimi dal prossimo 1 gennaio. In particolare, secondo la posizione della Commissione, le regole fiscali italiane non sono di natura selettiva, ovvero non favoriscono soltanto alcune imprese o settori a danno di altri e, dunque, non costituiscono un aiuto di stato ai sensi dell’art. 107 paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell’unione europea.  

 A questo punto una volta concluso l’iter di autorizzazione a carico del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, diventerà fondamentale anche il ruolo del Ministero dell’Economia e delle Finanze chiamato a svolgere una duplice fondamentale funzione. Da un lato quella di iniziare a coordinare la fase di produzione, insieme all’Agenzia delle entrate, di documenti di prassi interpretativa volti a chiarire gli aspetti più tecnici delle nuove norme fornendo maggiore certezza agli operatori. Dall’altro si tratterà, quanto prima, di varare le norme già anticipate dalla delega conferita dalla legge n. 111/2023 al Governo per l’attuazione della riforma fiscale, che avranno il compito di agevolare gli enti che vorranno iscriversi nel registro del terzo settore smussando eventuali effetti fiscali indesiderati. Pensiamo al cambiamento di qualifica, da commerciale a non commerciale, a seguito dell’scrizione nel Runts. In questo caso, infatti, il passaggio dei beni dall’attività commerciale a quella non commerciale può generare una plusvalenza e la citata legge delega prevede, a tal fine, l’introduzione di un regime speciale per evitare un onere economico in capo alle realtà interessate.

Il questo contesto potrà essere senz’altro di ausilio il Tavolo di lavoro già esistente fra il ministero dell’Economia e delle Finanze e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, considerato che la materia chiama in causa competenze trasversali presenti in entrambi i dicasteri. Insomma, l’autorizzazione Ue chiude una fase importante per la riforma del Terzo settore ma ne apre una decisamente più ambiziosa che è quella di dare forza e solidità al vasto ecosistema sociale, economico e culturale del Terzo settore italiano anche attraverso le regole fiscali.

Foto Pexels: Il palazzo della Commissione europea

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