Controlli dell’Agenzia delle Entrate sulle ASD: la pronuncia della Cassazione


La lente di ingrandimento della Cassazione sul caso di una ASD destinataria di un avviso di accertamento per contestare la natura associativa dell’ente e richiedere a tassazione tutte le entrate prodotte

Protagonista di un caso analizzato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza numero 31924 del 2024 è una ASD, Associazione Sportiva Dilettantistica, destinataria di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate finalizzato a contestare la qualifica di ente non commerciale associativo di natura sportiva dilettantistica. In questo modo si procedeva, inoltre, con la ripresa a tassazione del reddito non più considerato di natura istituzionale.

L’Agenzia delle Entrate aveva effettuato un controllo della posizione fiscale dell’associazione oggetto di accertamento, la quale non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2013, e questa omissione aveva portato l’AdE a disconoscere all’associazione la qualifica di ASD e determinare un reddito d’impresa imponibile a fini IRES, IRAP e IVA.

L’ASD, a sua volta, si è rivolta alla Commissione Tributaria Provinciale e ha impugnato l’avviso di accertamento, vedendosi accogliere dalla CTS il ricorso.

Avviso di accertamento alla ASD per contestare la qualifica di ente non commerciale

Al fine di poter comprendere quali sono stati i fatti e le informazioni che hanno portato l’Agenzia a recapitare un avviso di accertamento all’ASD, andremo di seguito ad elencarli:

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  • l’omessa indicazione nella denominazione della natura “sportiva” e “dilettantistica” delle attività poste in essere dall’associazione;
  • la presentazione tardiva del Modello EAS;
  • la pubblicizzazione dell’attività dell’ente alla stregua di un’attività commerciale;
  • la mancata tenuta dei libri sociali;
  • la mancanza di elementi rappresentativi della democraticità e della effettività della vita associativa dell’ente;
  • la mancanza di percezione da parte dei “nuovi soci” di essere iscritti ad un ente sportivo;
  • l’approvazione del rendiconto attuata da appena quattro soci;
  • l’omessa valutazione complessiva sia della condotta dell’ente sia della documentazione allegata a sostegno della propria tesi.

Queste le motivazioni portate difronte alla CGT, Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, dall’AdE dopo che la CTP aveva accolto il ricorso della ASD.

Persino la CGT ha respinto l’appello dell’ADE, senza (secondo l’agenzia delle entrate) aver ben verificato in concreto l’effettivo esercizio dell’attività dell’ente in conformità alle finalità statutarie, ed aver comunque annullato l’avviso di accertamento. Motivo che ha spinto infine l’ADE a sottoporre la casistica alla Corte di Cassazione.

L’errore commesso dalla CGT, la quale aveva respinto l’appello dell’AdE, risiede nell’osservazione fatta sulla tardiva presentazione del modello EAS, circostanza dalla quale secondo la CGT non deriva alcuna conseguenza, trattandosi di adempimento con finalità meramente informative.

Controlli dell’Agenzia delle Entrate sulle ASD: la pronuncia della Cassazione

L’osservazione fatta dalla CGT in merito alla presentazione tardiva del Modello EAS non è però veritiera, in quanto la non osservanza degli obblighi di comunicazione dei dati ai fini della non imponibilità dei ricavi, attraverso la presentazione del Modello EAS, comporta la perdita della qualifica di ente non commerciale, oltre al mancato rispetto dei principi di democraticità e di collegialità dell’ente, contestati dall’Agenzia delle Entrate insieme alla mancanza di una effettiva vita associativa dell’ente.

La CTR aveva quindi erroneamente ritenuto irrilevanti gli elementi contestati dall’AdE, i quali erano invece veri e propri campanelli d’allarme che sembrava potessero celare l’assenza di democraticità dell’ente e di una effettiva vita associativa nonché della fondatezza della contestazione della perdita della qualifica di ente non commerciale e dei benefici fiscali connessi.

La Corte di Cassazione nella sentenza 6361/2023 aveva già affermato quanto segue:

“Ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui all’art. 1 della legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell’associazione sportiva dilettantistica quale organismo senza fine di lucro da intendersi, quello il cui atto costitutivo o statuto escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati, trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell’ art. 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, nell’art. 111, comma 4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del D.P.R. n. 917 del 1986.

Alla formale conformità delle regole associative al dettato legislativo si aggiunge, poi, l’esigenza di una verifica in concreto sull’attività svolta al fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente rispettoso degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f ) degli artt. 148, comma 8, del vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di un’attività commerciale svolta in forma associata (v. Cas. N. 30008 del 2021 ed altra giurisprudenza ivi citata; più recentemente, v. anche Cass. n. 6361 del 2023)”.

Al fine di poter godere del regime di vantaggio (L n. 398/91) non è tanto importante la veste assunta dall’ente quanto l’effettiva realizzazione di attività senza scopo di lucro e il rispetto dei principi propri di un ente associativo, quali per primo quello di democraticità.

La Cassazione ha, nel caso analizzato con l’Ordinanza n. 31924 del 2024, quindi accolto il ricorso e rinviato la causa al giudice di merito.

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