I minori poveri, gli invisibili di un’Italia fragile


Quasi 1,3 milioni di minorenni, in Italia, vivono in condizione di povertà. Un dato allarmante che mostra l’urgenza, per il sistema-Paese, di non dimenticarsi delle periferie, fisiche e sociali, dell’Italia, di ricucire una questione di tutela contro i rischi della fragilità economica e umana. Quanto si riscontra dal Rapporto sulla povertà in Italia della Caritas, che mostra come i dati del 2024 fotografano uno scenario allarmante: il 13,8% dei minorenni, nel Paese, vive a rischio povertà ed esclusione sociale, e questo fattore può e deve entrare all’interno della considerazione dei decisori e delle politiche pubbliche.

Troppo spesso la questione giovanile, oggigiorno, viene letta dalla politica e dai media esclusivamente sulla scia della problematica della criminalità o della questione securitaria. Baby gang, maranza, giovani senza indirizzo: il moralismo di bassa lega con cui salotti televisivi e giornali semplificano molte questioni manca, spesso, di dimenticare il rischio sradicamento insito nelle nuove povertà, concentrate alle periferie della nostra società.

Spesso, invece, la madre di tutte le questioni è economica: “Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748mila, e rappresentano il 34% di tutte le famiglie in povertà assoluta”, nota la Caritas nel suo rapporto, aggiungendo che, da un lato, “lo sfavore delle famiglie con minori oggi come in passato tende ad aumentare al crescere del numero dei figli e nelle famiglie mono-genitoriali”, e dall’altro, “come prevedibile, anche in questo caso la cittadinanza gioca un ruolo determinante: l’incidenza della povertà tra le famiglie italiane con minori si attesta all’8,2%, mentre arriva al 41,4% per le famiglie composte unicamente da stranieri (quasi una famiglia su due)”.

Una grande questione sociale

Nel Paese dall’export record che va di pari passo con i salari stagnanti, la povertà è una grande questione sociale. Ha una ricaduta indubbia sull’economia, ma anche sulla sicurezza e la stabilità collettiva della società. Inoltre, rappresenta un freno all’ascensore sociale e all’integrazione, creando ai margini delle metropoli quelle “città parallele fatte di periferie residenziali senza agglomerazione sociale, esclusione dai grandi centri produttivi, disuguaglianze ereditarie alla riduzione del peso dei corpi intermedi e di fronte alla crisi di strutture sociali come la scuola.

Si rischia di materializzare, anno dopo anno, il “fantasma della povertà”, ovvero una tendenza che vede società prospere e affluenti assistere al loro interno al continuo deterioramento delle condizioni di vita delle fasce più deboli e svantaggiate. All’interno della popolazione aumentano le sacche di esclusi e di fragili: anziani a basso reddito, disabili, stranieri, colletti blu travolti come “sconfitti della globalizzazione” e, trasversale a questo, si aggiunge una mai sopita questione generazionale. Proprio “Il fantasma della povertà” è il titolo di un saggio scritto nel 1995 da tre autori d’eccezione: Edward Luttwak, Carlo Pelanda e Giulio Tremonti. 

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Nel pieno della globalizzazione neoliberista che imperava trionfante, allora, Luttwak, Pelanda e Tremonti indicavano le nuove povertà come la principale mina posta sotto le società occidentali moderne. Trent’anni dopo, quella previsione si è rivelata corretta. E se l’Italia, grazie al Welfare, è lontana anni luce, per fortuna, dagli Usa, dove le tecno-oligarchie e i nuovi masters of the universe convivono con gli emarginati dell’America periferica, sicuramente la questione giovanile rischia di creare una nuova dinamica allarmante. Nuove povertà destinate a diventare ereditarie, solide e viscose. Minacciando la tenuta del corpo sociale e lo sviluppo del Paese e del suo modello di crescita.

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