La paura in Siria favorisce Israele


Migliaia di abitanti di Damasco si riuniranno oggi in piazza Al-Marjeh per chiedere la fine delle stragi di civili alawiti e degli scontri armati tra governativi e «resti del passato regime» nelle regioni costiere. Chi, tre mesi fa, aveva festeggiato la fine del potere degli Assad, prova a far sentire la sua voce a sostegno di una società inclusiva e di una Siria democratica. Ma ad Hazem, un giovane druso di Suweida, nel sud della Siria, le manifestazioni e i raduni non bastano.

«Le uccisioni di tanti alawiti innocenti da parte delle forze di sicurezza e di miliziani armati, anche stranieri, ha aggravato le nostre preoccupazioni e confermato l’idea che tanti drusi hanno delle autorità che fanno riferimento (al presidente ad interim) Ahmed Al Sharaa: sono estremiste in politica e religione», ha detto al manifesto Hazem durante una call con Whatsapp. «Quello che è accaduto sulla costa è stato un avvertimento anche per noi drusi, perché le persone al potere ci vedono come degli infedeli, proprio come gli alawiti». Per Hazem, di fronte a ciò che accade, i drusi non hanno scelta: «devono essere consapevoli che in futuro potrebbero affrontare minacce gravi». Peraltro, anche i drusi, seppur in misura minore degli alawiti, sono considerati alleati di Assad dai nuovi padroni di Damasco, nonostante Suweida tra il 2023 e il 2024 sia stata il centro di proteste e scioperi ad oltranza contro il passato regime. Così è tornato di attualità il Consiglio militare di Suweida nato dopo la caduta di Assad e rivitalizzato a fine febbraio allo scopo di garantire sicurezza alla comunità.

Mentre Hazem ci riferiva ieri dei timori crescenti tra i drusi, dalle regioni costiere del paese giungevano notizie drammatiche come nei due giorni precedenti. Rami Abdel Rahmane, dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), ha descritto la situazione come una «catastrofe umanitaria» e ha denunciato «crimini vergognosi». Se da un lato non ci sono dubbi sugli attacchi coordinati contro le postazioni della Sicurezza Nazionale – lanciati il 6 marzo da  gruppi armati legati con ogni probabilità al neonato «Comando Militare per la liberazione della Siria» di Ghaith Dallah, un ex generale gli ordini di Assad -, dall’altro è evidente che i  qaedisti di Hay’at Tahrir al Sham (Hts) guidati da Al Sharaa, che oggi compongono le forze governative, e centinaia di «volontari» jihadisti, siriani e stranieri, hanno colto l’occasione per dare inizio a una terribile caccia agli «infedeli» alawiti che non ha risparmiato donne e bambini. Secondo il Sohr, sono almeno 340 le vittime documentate fino a ieri pomeriggio nei massacri avvenuti nelle province di Latakia, Tartous, Jableh e Baniyas.

Gli ultimi sono stati giorni di esecuzioni sommarie, deportazioni, incendi e saccheggi di abitazioni. Intere famiglie sono state sterminate. «Entrano casa per casa e uccidono chiunque vi sia all’interno, non sono solo siriani, ci sono anche di altri paesi, sembrano caucasici e cinesi», ha raccontato a una agenzia di stampa un abitante di Baniyas messa a ferro e fuoco da milizie jihadiste che si sono accanite in particolare contro il quartiere Qusur. Centinaia di civili scappati dalle loro case hanno trovato rifugio nella base aerea russa di Hmeimim. Il ministero della Difesa siriano dice di aver istituito una commissione speciale per indagare su abusi e violenze durante i rastrellamenti. Afferma inoltre che i responsabili delle stragi saranno deferiti ai tribunali militari. Lo scetticismo è forte, mentre non pochi siriani, simpatizzanti di Hts, esprimono appoggio alle operazioni militari in corso sulla costa, incuranti dei massacri di civili. La tv qatariota Al Jazeera, sostenitrice di Al Sharaa e dei nuovi governanti di Damasco, continua a descrivere quanto accade come «scontri tra le forze di sicurezza e pezzi del passato regime».

A trarre vantaggio dall’escalation è sicuramente Israele che, giorno dopo giorno, avanza oltre il Golan occupato e proclama per bocca dello stesso premier Netanyahu di essere pronto a un intervento armato «a protezione» dei drusi. «Al Julani ha tolto la maschera e ha mostrato il suo vero volto: un terrorista jihadista della scuola di al Qaeda, responsabile di atti orribili contro i civili», ha dichiarato ieri il ministro della Difesa, Israel Katz. Non è un mistero che Israele stia puntando a una Siria debole e divisa. I drusi nel Golan, che si considerano siriani sotto occupazione israeliana dal 1967 e mantengono stretti contatti con Suweida, rispediscono al mittente la protezione offerta da Israele. «Qui, come in Siria c’è un netto rifiuto delle dichiarazioni israeliane» ci dice il giornalista Hassan Sham, di Majdal Shams, il principale centro abitato druso sulle alture del Golan. «Israele – aggiunge – era e resta un paese nemico per i siriani, quindi anche per i drusi. Solo una percentuale minuscola di persone accetterebbe una sovranità israeliana, la maggior parte la rifiuta».

Il centro per i diritti umani Marsad nel Golan occupato segue i movimenti dell’esercito israeliano nella Siria meridionale. Un suo ricercatore, Nazeh Bareik, ci spiega che «Israele ha occupato centinaia di kmq di territorio siriano e costruendo postazioni permanenti, alzando barriere e costruendo strade per i suoi mezzi militari». «Una quindicina di villaggi – prosegue – sono ora sotto il suo controllo e le popolazioni affrontano da tre mesi molte restrizioni, soprattutto i contadini ai quali spesso viene vietato di andare nei campi coltivati e nei frutteti». Il fine, sostiene il ricercatore druso, è quello di creare una ampia «fascia di sicurezza» simile a quella gestita da Tel Aviv in Libano del sud dal 1978 al 2000.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Le autorità militari israeliani, dicono a Majdal Shams, offrono lavoro «pagato 100 dollari al giorno» (un cifra astronomica oggi in Siria) nelle colonie ebraiche nel Golan ai siriani ora sotto il loro controllo al fine di stringere i rapporti con le popolazioni locali e per rendere l’occupazione a lungo termine. Non è noto se queste offerte siano state raccolte. Hazem da Suweida lancia un avvertimento. «Se la situazione interna in Siria peggiorerà – avverte – la strategia israeliana potrebbe raccogliere frutti». Se una settimana fa, aggiunge, «pochi drusi prendevano sul serio la protezione di Netanyahu, oggi dopo le stragi di alawiti e il panico che stanno generando, non sono più casi isolati quelli che ritengono un errore non considerare l’offerta che giunge da un paese potente come Israele».



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link