“Raccolta firme per il Parco Nazionale del Gran Paradiso: Spostiamo la sede a casa sua!”.
Il titolo, che non lascia spazio ad equivoci, è quello con cui, a partire dalla scorsa estate, era stata portata all’attenzione di abitanti e villeggianti di Ceresole un’istanza per chiedere che tale sede venisse trasferita lassù. L’iniziativa era partita da Valerio Rolando, già consigliere comunale, che oggi vive a Cuorgnè ma che è molto affezionato al suo paese e che fa la spola fra le due località.
La petizione è stata consegnata in Comune nelle scorse settimane ed inviata per conoscenza all’Ente Parco ed all’Unione Montana Gran Paradiso, di cui Ceresole fa parte. Le firme sono 489. “Le abbiamo raccolte – spiega Rolando – a partire dal mese di giugno dello scorso anno, con banchetti nei giorni di maggior afflusso di gente e nei martedì di mercato, ma anche lasciando i fogli a disposizione negli esercizi commerciali e col passaparola. Lo abbiamo fatto con calma, senza fretta, ma i risultati dimostrano che si tratta di un’opinione condivisa: basta sottolineare che i residenti ufficiali sono 150 e le firme 489. Hanno sottoscritto i proprietari delle seconde case, i frequentatori abituali, i turisti occasionali, abitanti dei comuni vicini”.
Anche il sindaco Alex Gioannini aveva testimoniato la propria posizione favorevole recandosi ai banchetti con la fascia tricolore.
Nella lettera consegnata in Comune insieme alle firme si precisa che “la forte adesione all’iniziativa dimostra chiaramente l’attaccamento della popolazione al territorio del Parco e la volontà di valorizzare il ruolo centrale di Ceresole all’interno di questo contesto. Lo spostamento della sede rappresenterebbe un forte segnale di riconoscimento per il territorio e un incentivo per lo sviluppo sostenibile della zona. A parti inverse, Ceresole donerebbe il giusto prestigio al parco, che si fregerebbe di una sede immersa nella natura, lontana dal cemento e caos della città”.
Non ci si nasconde le possibili criticità “in particolare legate alle esigenze dei dipendenti dell’Ente attualmente stanziati a Torino. Tuttavia, riteniamo che sia possibile individuare delle soluzioni graduali che permettano di conciliare le esigenze di tutti gli attori coinvolti. Ci auguriamo che questa iniziativa possa rappresentare un punto di partenza per un confronto costruttivo tra tutte le parti interessate, al fine di individuare le soluzioni più opportune”.
Il banchetto con la raccolta firme
Perché si richiede lo spostamento della sede?
I motivi per i quali si ritiene opportuno lo spostamento sono tanti. “Ceresole – si legge nel testo distribuito da Valerio – non è solo un comune all’interno del Parco ma il suo cuore pulsante. Vi è un legame storico indissolubile: la Riserva di Caccia voluta da Vittorio Emanuele II. Il titolo di Reale conferito al Comune testimonia questa profonda connessione”.
Ci sono gli spazi adatti, strutture pubbliche e non che potrebbero essere adeguatamente riqualificate per ospitare degnamente gli uffici del Parco. Il territorio tutto ne trarrebbe beneficio con nuove opportunità di lavoro e sviluppo economico; si genererebbe un indotto positivo sostenendo le attività locali. Sarebbe un segnale di coerenza perché “la sede di un parco dovrebbe trovarsi all’interno del territorio che tutela, non in una metropoli distante e caotica. Il prestigio che risulterebbe dall’avere la sede in valle sicuramente valorizzerebbe tutta la vallata. Un segnale forte contro lo spopolamento e la dimostrazione che molte attività si possono svolgere anche in montagna, senza concentrare tutto nelle città. Un’inversione di tendenza potrebbe invogliare altre realtà a seguire l’esempio, creando attività operative tutto l’anno ed anche portando ad un incremento dei mezzi di trasporto pubblico. Immaginate la sede del Parco a due passi dalle vette innevate delle nostre montagne più rinomate, il Gran Paradiso e le Levanne!”.
Anche in Val d’Aosta c’è una spinta analoga. È lo stesso Valerio a riferirlo: “Circa un anno fa era stata portata avanti un’iniziativa simile in Valsavaranche che, pur facendo parte del Parco, è la più depressa della regione. Ad Aosta l’Ente Parco ha in affitto due alloggi in un condominio: che senso ha?”.
Una richiesta che non nasce dal nulla
Quest’istanza non nasce dal nulla. In effetti la sede di un parco dovrebbe essere collocata all’interno del territorio protetto e non a decine e decine di chilometri di distanza, come invece avviene per la sua parte canavesana. Meno distante e meno decontestualizzata rispetto al territorio è l’altra sede, quella di Aosta, ma anche in quel caso il principio viene meno. A più riprese, nel corso degli anni, erano state assunte delle iniziative: nel 2012, ad esempio, era parsa quasi cosa fatta allorché si era mosso in tal senso l’allora capogruppo di opposizione di Locana Walter Togni, che negli stessi anni era deputato. Naturalmente, in quella circostanza, si parlava di un trasferimento a Locana.
Non è facile cambiare un assetto consolidato da decenni ed il mantenimento dello status quo viene agevolato da una serie di fattori. Vi è innanzitutto il coinvolgimento di due regioni diverse, ognuna delle quali rivendica il diritto di essere più importante. All’interno delle due regioni, c’è più di una località papabile. Vi sono poi le esigenze dei dipendenti e la comodità di essere vicini ad uffici pubblici e sedi del potere, anche se – nell’era del digitale – questo non appare più come un fattore dirimente.
Un conto è tuttavia discutere sul dove collocare la nuova sede, altra cosa dover ancora decidere se spostarla. Oggi presidenza, direzione e segreteria generale hanno sede a Torino; gli uffici amministrativi ad Aosta. Si dovrebbero valutare bene tutte le candidature e scegliere la soluzione migliore, da concretizzare poi con tempi e modalità il più possibile indolori.
Non vi è dubbio che, per l’economia locale di qualunque area venisse scelta, si tratterebbe di una bella sferzata di energia. Quelle che a Torino sono variazioni infinitesimali hanno invece un peso enorme nelle piccole località di montagna: lì bastano piccoli numeri per ribaltare assetti economici e sociali apparentemente immodificabili. A Ceresole, come nel resto della Valle Orco, c’è l’esempio eclatante dell’Azienda Elettrica Municipale di Torino che per decenni sfruttò pesantemente le risorse del territorio creando però in cambio posti di lavoro qualificati e tutta una movimentazione di operai, tecnici, dirigenti, che dava linfa al commercio, consentiva la presenza di servizi, spingeva le famiglie a rimanere o persino a tornare nonostante i problemi insiti nel vivere in montagna e le difficili comunicazioni.
Valerio si ricorda di quand’era bambino e durante l’inverno era normale rimanere isolati. “Fino al 1960 la strada non veniva nemmeno sgomberata dalla neve ed ancora nel ’72 (anno in cui si verificarono grandi fenomeni nevosi) per 40 giorni Ceresole rimase irraggiungibile. Del resto, fino alla costruzione della galleria, le valanghe creavano frequenti interruzioni ed intervenire sarebbe stato troppo complicato e pericoloso”. Eppure di gente ce n’era e non solo vecchi montanari affezionati alle loro radici. Ci si attrezzava per poter vivere lì in quanto la convenienza a farlo c’era. “Nel 1975, quando venni assunto all’A.E.M., i guardiani della diga del Serrù entro il 10 settembre di ogni anno, dovevano completare il rifornimento di provviste per tutto l’inverno!”.
Oggi gli spostamenti sarebbero comunque più facili ed i posti di lavoro che il Parco creerebbe ancor più qualificati di quelli dell’A.E.M. Riguarderebbero figure di alto livello scientifico e culturale e, invece di ricadute negative sull’ambiente, lavorerebbero per la sua tutela e salvaguardia.
Tutti vogliono entrare nel Parco
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso sta conoscendo di questi tempi un’insolita ed anche inaspettata popolarità nel Canavese: se alla fine degli Anni Settanta l’allargamento dei suoi confini aveva suscitato grande ostilità fra le popolazioni e nelle amministrazioni comunali, ora sta avvenendo il contrario: chi non c’era chiede di entrare!
Negli ultimi mesi c’è quasi una corsa in tale direzione. Era accaduto lo scorso autunno per Sparone e per Ingria, è successo a Groscavallo ed ora a Pont, dove il 18 febbraio, con una delibera di giunta, è stata votata la richiesta di autocandidatura.
Si tratterebbe, qui come a Sparone, di zone in alta quota e lontane dai centri abitati, quindi senza ricadute sulla vita e le attività quotidiane delle persone. È pure chiaro che i comuni si sono resi conto della possibilità di ottenere finanziamenti altrimenti impensabili e la spinta viene anche da questo.
Poco importa: il segnale è positivo. Si va nella giusta direzione!
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