È talmente sicuro della sua scommessa, Fabio Marabese, che non esita a sfidare apertamente la sorte: «L’ho già messo nero su bianco nel mio piano industriale e lo ripeto: nel 2030 noi arriveremo a 212 milioni di euro di fatturato». È un bel salto in avanti per la sua Seingim, rispetto ai 47 milioni di oggi, ma questo imprenditore veneto 57enne è davvero convinto che non esista pressoché nulla di irraggiungibile, quando si hanno accanto «le persone giuste».
Perché questa è stata la sua storia fino a oggi: «Ci sono imprenditori con aziende molto più grandi della mia che si fermano a “X” perché vogliono fare tutto da sé», dice a Tempi. «Io invece lavorando con gli altri moltiplico quella X per cento. Il concetto è semplice: bisogna fidarsi. Fidarsi davvero. Mettendo in conto le delusioni ovviamente, perché siamo pur sempre esseri umani, ma è solo con l’aiuto degli altri che si costruisce».
A caccia di talenti
E qualcosa in effetti Marabese lo ha costruito: la sua società di ingegneria ha attualmente 550 dipendenti, ritmi di crescita del «30-50 per cento all’anno» e le ambizioni per il futuro di cui sopra. E questo in un paese notoriamente difficile per chi “ha voglia di fare”. Il segreto? «Cercare chi è più bravo di me a fare quello che io non so fare, trovare le persone giuste e motivarle». Perché le persone nei bilanci si traducono in costi, certo, ma quando «portano in azienda qualcosa di nuovo» nella logica di Seingim diventano «investimenti che vale la pena di fare».
Armato di queste convinzioni Marabese va letteralmente a caccia di talenti in grado di «portare qualcosa di nuovo» nel gruppo. Ormai superano i cento all’anno quelli assunti direttamente. In più ci sono le acquisizioni. Per esempio il ramo Power della genovese Rina Consulting. Era il 2019 e allora «era prevalente l’idea che la produzione di energia non avesse futuro. A me sembrava impossibile invece che non ripartisse a bomba. Perciò abbiamo preso le 37 persone di Rina e le abbiamo messe a lavorare in un palazzo bellissimo. Adesso a Genova i nostri ingegneri lavorano e guardano il mare. Ne è valsa la pena».
Un «sogno» cominciato nel 1997
Figlio di un operaio e di una casalinga, Marabese ha iniziato a dare forma al suo «sogno» nel 1997, con due-tre dipendenti che andavano e venivano a seconda della chiamata alla leva. Oggi Seingim ha 17 sedi in Italia e 5 all’estero (Svizzera, Germania, Arabia Saudita, due in Kazakistan). Per dimensioni, il gruppo conta al massimo una manciata di competitor diretti nel nostro paese e comprende 13 società in grado di progettare e realizzare impianti industriali e civili in tutti i settori più importanti – dall’Oil & Gas alle energie rinnovabili, dal Life Science alle infrastrutture – per un elenco sterminato di committenti del calibro, per intenderci, di Eni, Enel, Edison, Saipem, Abb, Saudi Aramco e chi più ne ha più ne metta.
Perché un principio portante della filosofia di Seingim è la diversificazione: «L’anno scorso abbiamo fatturato a 194 clienti differenti, il più grande dei quali valeva il 6,79 per cento del totale». Una new entry del gruppo – sempre a proposito di diversificazione – è Seingim Education, creata per mettere a valore le molte competenze ingegneristiche sviluppate in un trentennio ai massimi livelli. «Oggi, per esempio, i progetti più importanti sull’idrogeno in Italia sono nostri».
«Mi dà soddisfazione vedere queste facce felici»
Il quartier generale è una bella villa storica piantata simbolicamente nel cuore di Ceggia, il paesino di seimila abitanti in provincia di Venezia dove Marabese è sempre rimasto radicato e da cui non ha alcuna intenzione di andarsene («anche perché, se mi porto via da qui 90 lavoratori con età media 41 anni, poi chi li sente i bar, i ristoranti, le palestre?»).
Proprio qui dentro da ragazzo Marabese veniva a comprarsi le mitiche musicassette, ai tempi in cui questa villa era il primo negozio della Sme. Dopo anni di abbandono, adesso dalle pareti di tutti e tre i piani da 800 metri quadrati l’uno trasformati nel 2023 in uffici dal design avveniristico pendono decine di foto dei suoi dipendenti che ridono e si divertono al lavoro o durante le convention aziendali. Avevo già fatto l’ordine per far stampare le immagini dei nostri progetti e piattaforme: l’ho disdetto, mi dà molta più soddisfazione vedere queste facce felici».
«Vorrei avere la coda alla porta»
La pretesa qui è quella di diventare «l’azienda ideale», nientemeno. «Mi piacerebbe un giorno affacciarmi dall’ufficio e trovare un chilometro di gente in coda in attesa di suonare il campanello per chiedere di venire a lavorare qua. Perché davvero il mio asset sono le persone». E dunque in un frangente storico in cui «è più facile trovare un lingotto d’oro in giardino che un ingegnere», Seingim dev’essere pronta a spendersi molto per continuare a crescere a questi ritmi.
Ecco perché tutti quegli uffici sparsi per lo Stivale: «Avere tante sedi costa, sì, ma significa anche poter essere più vicini alle persone che potremmo assumere, oltre che ai clienti e ai cantieri». Ed ecco perché c’è un fitto manifesto in cui Seingim si assume davanti ai propri dipendenti una serie di impegni non indifferenti, dai bonus bebè a corsi di formazione di tutti i tipi, dagli orari flessibili per esigenze familiari e sportive alla condivisione di tutti i dati e le informazioni importanti sull’andamento dell’azienda. «Sa, abbiamo 70-80 postazioni libere qui a Ceggia. Durante i lavori di ristrutturazione mi dicevano: “Ma sistema solo i due piani che ti servono, perché strafare?”. Io invece li ho fatti rifare subito tutti e tre, perché so che non ci metteremo molto a riempirli».
Leggi anche
Oltre il criterio della marginalità
L’ostinato investimento di Marabese sulle persone e sul loro potenziale di «novità» ripaga. A suo dire, anche di più e prima di quanto si pensi. «L’errore di tanti imprenditori secondo me è ragionare soltanto sulla marginalità e l’ottimizzazione: automatizzano per eliminare il costo del lavoro, raddoppiano i turni per aumentare la produttività, senza però preoccuparsi di diversificare.
Certe mie scelte possono sembrare antieconomiche, ma il fatto per esempio di assumere quando gli altri licenziano perché un determinato mercato si inceppa, mi permette, nel momento in cui quel mercato riparte, di sfruttare l’occasione: vince chi ha le persone giuste. Soltanto l’anno scorso ho rifiutato otto offerte di acquisto, quasi tutte dall’estero. Il valore enorme del nostro gruppo è proprio che noi abbiamo centinaia di ingegneri che gli altri faticano a trovare».
«I tuoi ci mettono un tale entusiasmo…»
Poi c’è un ritorno sull’investimento che non si quantifica ma che per Marabese vale più di qualunque margine economico. È quello che ha visto durante i mesi del Covid, quando Seingim ha avuto gli stessi impedimenti di tutti, nell’Italia del lockdown, e però «abbiamo continuato ad assumere e non abbiamo avuto interruzioni, anzi, è venuto fuori il senso di responsabilità di ognuno verso l’azienda. Ho assistito a riunioni online convocate alle 11 di sera del sabato». È quello che si riflette anche nell’ammirazione dei clienti: «Mi dicono: “Fabio, quando arrivano i tuoi ci mettono un tale entusiasmo…”. Beh, l’entusiasmo non si conteggia in euro, eppure è con quello che facciamo bingo nel mercato».
Ovvio che ci vuole anche fiuto e coraggio per guidare un’impresa così. Oltre a guardare al Medio Oriente, dove ha già ben più che un piede, Seingim fa parte del pool delle aziende italiane chiamate a contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina, e si aspetta moltissimo per i prossimi anni dalle “praterie” americane. Altro che 2030, ce n’è per continuare a crescere almeno fino al 2040.
Leggi anche
L’importanza di avere degli amici
E poi servono determinazione e perseveranza. Altrimenti non si passa dall’essere il giovane impiegato terzista nel polo chimico di Porto Marghera che sogna di diventare imprenditore e intanto fa due o tre lavori per mettere su casa, all’essere il capo di «una realtà familiare che negli anni si è fatta multinazionale», come dice di sé Seingim.
Soprattutto – rieccoci qui – servono i rapporti con le persone. Un altro pilastro del Marabese-pensiero è l’attività associativa. Che per lui non è il classico do ut des in giacca e cravatta che ci si può immaginare. «Per me è sempre stata un’opportunità di crescita personale. Quando ero giovanissimo il mio presidente di Confindustria a Venezia era un certo Paolo Scaroni, non so se mi spiego. Uno come me poteva solo entrare nel Consiglio generale in punta di piedi, guardare a bocca aperta e imparare». Nel tempo il patron di Seingim è rimasto in Confindustria, «ma oggi il mio maggiore associativo è nel Consiglio nazionale della Compagnia delle opere».
Proprio perché «contratti dalle associazioni, nella mia carriera, ne ho portati a casa zero. In Cdo però ho trovato un’atmosfera nelle relazioni che non avevo mai visto da nessun’altra parte. Si fanno i corsi di formazione e i vari servizi, certo, ma l’unicità della Cdo sta nel modo in cui sa mettere insieme le persone. Agli eventi dell’associazione ho incontrato imprenditori con cui sono nate amicizie vere che durano da quindici anni. Ci si dà una mano gratuitamente su tutto, si condividono conoscenze, ci si vede a mangiare quando si può. Poi nascono anche idee di business, ovvio, ma io dico che non sono gli affari a portare ai rapporti con le persone, sono i rapporti che portano agli affari. E sono gli affari migliori».
Un manifesto e una rubrica per le nostre imprese
Come Cdo sosteniamo che il successo di un’impresa si misuri dalla sua capacità di generare valore duraturo per tutti, per i lavoratori e per la società, non solo per chi l’ha creata. Viviamo in un’epoca di grande cambiamento e perciò vogliamo incoraggiare un’evoluzione della concezione del lavoro, un’educazione continua, “un lavoro nel lavoro” da parte di tutti i soggetti coinvolti. Attraverso il Manifesto del Buon Lavoro, che abbiamo presentato in Senato a fine 2024, puntiamo a fissare delle buone prassi che abbiamo imparato osservando le nostre tantissime opere in azione.
Il nostro motto è “un criterio ideale, un’amicizia operativa”, dove un criterio ideale significa seguire degli esempi, e un’amicizia operativa coincide con un legame che aiuta a seguire questi esempi. Questo progetto nasce infatti dalla convinzione che il valore di un’azienda sia generato dalle persone. L’opera è il lavoro in cui si vede l’autore. Compagnia delle Opere è una compagnia, un’amicizia che sostiene il lavoro di persone che si vedono in quello che fanno, che si compromettono con quello che fanno, che ne cercano il senso. La Cdo è nata per questo motivo, che è anche il senso della rubrica “L’Italia del buon lavoro” pensata in collaborazione con Tempi: diamo voce ai nostri imprenditori e imprenditrici affinché possano raccontare la loro storia, attraverso la quale sarà possibile entrare nel cuore della loro attività, la loro dedizione, impegno e unicità.
Andrea Dellabianca presidente Cdo
* * *
Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di marzo 2025 di Tempi. Abbonati subito per sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link