traguardo o punto di partenza?


Nella giornata dell’8 marzo il governo richiama i principali risultati raggiunti e le misure adottate in favore delle donne. 22 milioni di euro per il reddito di libertà si possono considerare un traguardo o un punto di partenza?

L’8 marzo è la giornata internazionale della donna.

Una data simbolo che rappresenta un’occasione per tornare a porre l’attenzione sulle questioni legate all’uguaglianza di genere, all’equilibrio tra lavoro e vita familiare e non ultimo alla violenza contro le donne.

In occasione dell’8 marzo il governo ha diffuso una sintesi dei “principali risultati raggiunti e delle misure adottate dal Governo Meloni in favore delle donne”.

Tra i dati in evidenza, oltre a quelli legati all’occupazione femminile, ci sono quelli delle risorse stanziate per il reddito di libertà: 22 milioni di euro per gli anni 2025 e 2026.

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Un traguardo da celebrare o un punto di partenza?

8 marzo, 22 milioni sul reddito di libertà: traguardo o punto di partenza?

Il reddito di libertà è una misure indirizzata alle donne vittime di violenza di genere. Ad introdurla è stato l’articolo 105 bis del Decreto Rilancio, uno dei più corposi provvedimenti del governo Conte, approvato nel mese di maggio 2020 durante l’emergenza coronavirus.

In concreto, il reddito di libertà è un contributo economico per chi è in condizioni di povertà per uno stato di bisogno straordinario o urgente. Il requisito per ottenere tale contributo è quello di essere seguite dai centri anti violenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali.

L’importo massimo del reddito di libertà è di 500 euro mensili e può essere erogato per dodici mesi. In totale, quindi, ciascuna destinataria della misura può ricevere fino a 6.000 euro.

La misura già di per sé non è sufficiente, da sola, a risolvere la questione della “violenza economica”, che subisce almeno una donna su tre.

Il tema è stato messo al centro del dibattito in diverse occasioni, tra le altre nell’intervista della redazione di Rosy Delia con Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, e Tania Stefanutto, commercialista presso lo Studio Stefanutto.



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Nella giornata simbolo dell’8 marzo il governo ha pubblicato un documento di riepilogo dei “principali risultati raggiunti e delle misure adottate dal Governo Meloni in favore delle donne”.

Governo – Documento diffuso l’8 marzo 2025
Riepilogo dei principali risultati raggiunti e delle misure adottate dal Governo Meloni in favore delle donne.

Tra i risultati messi in evidenza ci sono le risorse per 22 milioni di euro, destinate al reddito di libertà per il biennio 2025-2026. I fondi, considerando l’importo della misura, potranno avere una platea di destinatarie di 3.667 donne. Prendendo in considerazione la singola annualità, le donne che potranno ottenere il contributo saranno circa 1.834.

Una platea decisamente ristretta rispetto alle effettive necessità. A riguardo è infatti opportuno richiamare i dati, già messi in evidenza in precedenti articoli, diffusi dall’ISTAT il 25 novembre 2024 in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne.

Tra questi, con riferimento all’anno 2023, devono essere evidenziati due punti:

  • sono in aumento le donne che si rivolgono ai CAV, Centri Anti Violenza: 61.514, con una crescita dell’1,4 per cento rispetto al 2022 e del 41,5 per cento rispetto al 2017;
  • è in crescita il numero delle donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza, circa 31.500, in aumento rispetto al 2022. Il 26,3 per cento però lo interrompe nell’arco dell’anno.

Va detto che il reddito di libertà è destinato solamente a chi è seguito dai centri anti violenza. Tuttavia, prendendo in considerazione il numero di segnalazioni, solamente il 3 per cento delle richieste potrebbe ottenere gli importi previsti dalla misura.

I potenziali destinatari sono quindi appena il 3 per cento del numero delle donne che si rivolgono ai CAV. Le richieste che superassero tale percentuale, seppur meritevoli di tutela, non potrebbero ottenere neppure il contributo di 500 euro mensili per un anno. Una percentuale decisamente bassa per celebrarla come un traguardo. Forse più un punto di partenza per portare l’attenzione sulla questione.

8 marzo: donne occupate oltre 10 milioni

Tra gli altri traguardi celebrati dal governo nella giornata dell’8 marzo c’è il record dell’occupazione femminile, con un tasso del 53,5 per cento.

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Le donne occupate, come indicato nel documento diffuso dall’esecutivo, supererebbero i 10 milioni.

“I numeri parlano chiaro” ha sottolineato Giorgia Meloni nel post diffuso oggi dal proprio profilo di LinkedIn, con riferimento al dato. Tuttavia se l’incremento dell’occupazione femminile è sicuramente una buona notizia, spesso il numero “secco” non restituisce la fotografia completa della questione.

Anche tale questione, infatti, è ricca di nodi da sciogliere. Prendendo in considerazione i dati del Rendiconto di genere presentati dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS lo scorso 24 febbraio, emerge un quadro tutt’altro che rassicurante nell’ottica della parità di genere.

Innanzitutto il divario con il tasso di occupazione maschile resta pari al 17,9 per cento.

Inoltre sono le donne firmano contratti meno stabili rispetto agli uomini, il 18 per cento delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato rispetto al 22,6 per cento degli uomini. Le lavoratrici con un contratto a tempo part-time sono il 64,4 per cento del totale.

Anche i guadagni delle lavoratrici sono inferiori rispetto a quelli dei lavoratori, di oltre il 20 per cento.

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Il cosiddetto “glass ceiling” risulta evidente prendendo in considerazione le posizioni apicali di aziende e organizzazioni che compongono il mondo del lavoro. Appena il 21,1 per cento dei dirigenti è donna.

Si potrebbe proseguire oltre, tuttavia già soltanto questi numeri non fanno che confermare quanto evidenziato dalla stessa Presidente del Consiglio: “…molto resta da fare per una parità piena in ogni ambito”.

“Le donne non devono scegliere tra carriera e vita privata. La parità significa assicurare a tutte le donne condizioni per realizzarsi pienamente, senza sacrificare né il lavoro né la vita familiare.”

Non si può che concordare con tali parole, riportate nello stesso post della stessa presidente del Consiglio. Nella consapevolezza, però, che siamo ancora al punto di partenza.



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