Trump, Ucraina e Balcani: Il futuro della sicurezza europea…di Orazio Ruscica


Le recenti decisioni del presidente Donald Trump riguardo al conflitto in Ucraina sembrano mirare a costringere il governo di Kiev ad accettare una soluzione svantaggiosa: firmare un accordo sulla cessione delle terre rare e accettare un negoziato di pace con Vladimir Putin, oppure affrontare una possibile sconfitta militare. Tuttavia, il nodo principale resta nelle condizioni della pace e nelle garanzie di sicurezza future, che potrebbero tradursi in una riduzione significativa della sovranità ucraina e in un aumento dell’influenza russa sulla regione.

Questa posizione potrebbe avere ripercussioni significative non solo in Ucraina, ma anche nei Balcani e nelle altre aree di influenza americana, come l’Indo-Pacifico. La stabilità nei Balcani è da sempre fragile e caratterizzata da tensioni latenti. L’indipendenza del Montenegro nel 2006 e del Kosovo nel 2008 ha rappresentato un duro colpo per le ambizioni russe nella regione, in particolare per il tentativo di Mosca di ottenere un accesso al Mediterraneo tramite la Serbia (precedente Confederazione di Serbia-Montenegro). Secondo dati della NATO, dal 1999 a oggi l’alleanza ha progressivamente allargato la sua influenza nei Balcani, includendo paesi come Albania (2009), Montenegro (2017) e Macedonia del Nord (2020).

Il contesto geopolitico nei Balcani

La Serbia, tradizionale alleata della Russia, continua a non riconoscere l’indipendenza del Kosovo e sostiene il ricongiungimento con la Repubblica Srpska della Bosnia-Erzegovina, alimentando l’idea di un futuro comune per il popolo serbo. Questo scenario è reso ancora più complesso dalla presenza di ingenti investimenti economici e infrastrutturali da parte di Cina e Stati Uniti. La Cina ha investito oltre 10 miliardi di dollari in infrastrutture serbe, tra cui la costruzione di autostrade e il rafforzamento del settore energetico, mentre gli Stati Uniti hanno finanziato progetti di sviluppo per circa 1 miliardo di dollari nella regione.

Dal punto di vista strategico-militare, gli Stati Uniti dispongono di basi in Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Bulgaria. La Serbia, invece, è circondata da Stati membri della NATO come Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Macedonia del Nord, Montenegro e Albania. Anche l’Italia, attraverso la sua posizione strategica sull’Adriatico, fa parte della rete di sicurezza dell’Alleanza Atlantica. Tuttavia, paesi come Bosnia-Erzegovina, Ucraina e Georgia aspirano ancora all’adesione alla NATO, il che potrebbe intensificare ulteriormente le tensioni nella regione. Nel 2022, la NATO ha confermato di aver aumentato la sua presenza nei Balcani occidentali per contrastare le influenze esterne, in particolare quelle di Russia e Cina. Per l’Italia, il problema principale non è la gestione dei flussi migratori, ma anche il suo posizionamento strategico in un quadro geopolitico in mutamento, tra il rafforzamento della NATO nei Balcani, il peso delle relazioni con l’UE e la crescente influenza di attori esterni come Russia e Cina nel Mediterraneo.

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Le implicazioni della riduzione dell’impegno americano

Una possibile riduzione dell’impegno degli Stati Uniti nella NATO, ipotizzata in seguito alle dichiarazioni di Trump, potrebbe portare a conseguenze imprevedibili nei Balcani. In particolare, si potrebbe assistere a una maggiore pressione per l’unificazione dei territori separatisti della Republika Srpska con la Serbia, nonché al reintegro del Kosovo sotto l’influenza serba. Ciò provocherebbe una crisi istituzionale in Bosnia-Erzegovina e un indebolimento dell’indipendenza kosovara.

Un altro effetto sarebbe il rafforzamento della presenza russa nella regione, con la possibilità concreta di ottenere uno sbocco strategico sull’Adriatico, aumentando così il suo peso nel Mediterraneo. Attualmente, la Russia detiene una forte influenza economica e politica in Serbia: nel 2023, Mosca ha fornito oltre 2 miliardi di metri cubi di gas naturale alla Serbia a prezzi preferenziali, consolidando la dipendenza energetica di Belgrado.

La minaccia alla sovranità ucraina e il precedente per future crisi

La decisione di Trump di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina, condizionandoli alla partecipazione di Kiev ai negoziati di pace con la Russia, ma escludendo il Paese aggredito dai colloqui diretti con Mosca, creerebbe un pericoloso precedente. Ciò legittimerebbe la risoluzione di conflitti senza il coinvolgimento delle parti direttamente interessate, minando la sovranità nazionale e compromettendo la stabilità nei Balcani. Nel 2023, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina aiuti militari per oltre 45 miliardi di dollari, mentre l’Unione Europea ha stanziato oltre 88 miliardi di euro in supporto economico, umanitario e militare per Kiev attraverso il Fondo europeo per la pace e altri meccanismi di supporto.

Verso un’autonomia strategica dell’UE

L’UE spende oltre 260 miliardi di euro per la difesa, più del doppio della Russia (110 miliardi), ma soffre di frammentazione industriale e inefficienza. Attualmente, produce 12 modelli di carri armati e 17 tipi di aerei da combattimento, mentre gli USA ne utilizzano solo uno o due per categoria. La soluzione non è aumentare la spesa, ma standardizzare e centralizzare la produzione militare. Un’azione efficace sarebbe la creazione di una forza di difesa Europea e lo sviluppo di un’Intelligence militare Europea per contrastare la guerra ibrida, in risposta all’aumento del 300% degli attacchi informatici di origine russa e cinese nel 2023.

L’UE deve migliorare la propria autonomia strategica, senza escludere la NATO, per garantire la sicurezza europea in un contesto geopolitico instabile. Per realizzare questi obiettivi, è necessario un impegno politico più forte ed efficace da parte di tutti gli Stati membri, al fine di rafforzare l’autonomia militare e la sicurezza collettiva.

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