Vivere a lungo, la scienza smonta il mito delle «Blue Zone». Resiste solo la Sardegna come culla della longevità


I dubbi su dati anagrafici e campioni analizzati mettono in discussione le rare regioni del mondo piene di centenari. Nella revisione di «New Scientist» anche il caso sardo

Il segreto per vivere cent’anni sembra essere nascosto in luoghi precisi del pianeta. Da anni la scienza studia alcune aree del mondo dove le persone sembrano avere una sorta di “vantaggio geografico” in fatto di longevità. Si chiamano Blue Zone, regioni speciali in cui la percentuale di ultracentenari registrata appare ancora sorprendentemente alta. Nell’elenco degli scienziati anche l’Italia con la Sardegna, diventata negli ultimi vent’anni il simbolo scientifico della longevità mediterranea, una sorta di laboratorio a cielo aperto studiato da demografi, nutrizioni e genetisti di tutto il mondo.

Oggi questa fama è tornata sotto la lente della scienza: un’analisi pubblicata di recente su New Scientist apre il dibattito: quanto sono affidabili i parametri con cui, fin dall’inizio, è stata misurata la straordinarietà delle Blue Zone? E quanto è solido il caso della Sardegna, una delle più celebrate?

L’ultima riflessione degli scienziati mette in discussione il metodo con cui le zone della longevità sono state identificate, indagando come possibili errori nei registri anagrafici, limiti nei campioni analizzati e una certa dose di narrazione costruita intorno al fenomeno possano aver amplificato, se non distorto, l’immagine di questi luoghi come isole felici del vivere a lungo. Nel processo di revisione scientifica anche la Sardegna, con i suoi paesi dell’entroterra spesso in letteratura scientifica come “comuni dei centenari”.

Anche in Italia il segreto della longevità?

Come spesso accade nelle storie di grande successo scientifico-mediatico, anche sulle Blue Zone e sulla Sardegna sono emersi, col tempo, dubbi e domande. Gli scienziati si sono chiesti, ad esempio, se le anagrafi storiche fossero davvero così affidabili da poter certificare senza ombra di dubbio l’età dei centenari. Non solo: si è discusso anche del cosiddetto selection bias, e cioè della tendenza a focalizzarsi sui villaggi più longevi, tralasciando quelli con aspettative di vita più comuni.

In Sardegna, proprio per rispondere a queste domande, due studiosi, il demografo belga Michel Poulain e l’italiano Gianni Pes, ricercatore dell’Università di Sassari, hanno lavorato per anni a una mappatura rigorosa della longevità sarda, creando uno dei database più dettagliati mai realizzati per una Blue Zone. Sono stati loro, nel 2004, a coniare per la prima volta il termine Blue Zone, tracciando su una mappa i comuni sardi con la più alta concentrazione di ultracentenari e colorando queste aree con un cerchio blu.

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Questo approccio, basato su verifiche anagrafiche puntuali e su una definizione geografica estremamente precisa, ha reso quello della Sardegna, anche nelle analisi più recenti, il caso più solido rispetto ad altre Blue Zone finora riconosciute nel mondo.

L’unicità del caso sardo

Gli studiosi attestano quanto la longevità sarda sia reale, pur ribadendo il carattere localizzato e non rappresentativo dell’intera isola. «Quando parliamo di Blue Zone sarda», sottolinea Michel Poulain, «ci riferiamo a un’area ben delimitata, principalmente nei comuni montani della Barbagia e dell’Ogliastra, e non all’intera isola». Gli ultimi dati dunque confermano l’esistenza di una concentrazione statistica anomala di ultracentenari italiani in una fascia geografica molto specifica. Un aspetto che rende ancora più singolare il caso sardo rispetto a quello delle altre Blue Zone del mondo, dove la longevità è spesso territorialmente più diffusa. Non solo: «La Sardegna è un caso unico al mondo anche per la longevità maschile», spiega il prof. Gianni Pes in uno dei suoi articoli scientifici sul tema. «In tutte le altre Blue Zone, sono soprattutto le donne a vivere più a lungo. Qui, invece, troviamo una super-longevità maschile che ha pochi paragoni nella letteratura scientifica».

Il lavoro di revisione di Pes e Poulain ha permesso di validare gran parte dei dati riguardanti le zone sarde culle della longevità con un’affidabilità riconosciuta ai registri anagrafici nettamente superiore rispetto a qualunque altra zona blu del mondo. Un punto di forza rispetto per esempio a Okinawa, dove il caos nei registri di famiglia ha sollevato molti dubbi.

L’altro elemento centrale nella revisione effettuata dagli studiosi è senz’altro l’individuazione di fattori genetici e storico-sociali che hanno influito molto di più rispetto al semplice stile di vita condotto dai centenari presi in esami. Le ricerche di genetica di popolazione hanno identificato alcune varianti genetiche rare, probabilmente frutto dell’isolamento geografico e culturale di queste comunità montane. Allo stesso tempo, la forte coesione sociale e il ruolo degli anziani nelle piccole comunità potrebbero aver avuto un impatto positivo sulla sopravvivenza.

Un modello replicabile altrove?

Alla luce di quanto verificato, la scienza oggi invita a cambiare prospettiva: la longevità sarda è reale, ma non è un modello universale replicabile. Si tratta cioè di un fenomeno locale e specifico, legato a una combinazione irripetibile di genetica di popolazione, isolamento geografico e fattori sociali storici. In questo senso, la Sardegna resta un caso di studio prezioso per capire come e perché alcune comunità vivono più a lungo, più che un esempio da imitare su scala globale.

I dubbi sulle Blu Zone del mondo

Se la Sardegna, pur con i suoi limiti, resta la Blue Zone meglio documentata e scientificamente più solida, lo stesso non si può dire per molte delle altre aree entrate nella lista.

Uno dei casi più problematici è quello di Okinawa, in Giappone. Qui, secondo quanto riportato dall’epidemiologo Craig Willcox, uno degli autori principali dell’ Okinawa Centenarian Study, la revisione dei registri civili ha rivelato discrepanze significative tra l’età dichiarata dai protagonisti e quella effettiva. In alcuni casi, i documenti ufficiali sono stati persi dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una ricostruzione approssimativa dell’età anagrafica spesso anche mediante testimonianze familiari.

Non solo: il tasso di longevità osservato negli anni ’70 e ‘80 è crollato con le generazioni successive, parallelamente all’adozione di diete occidentali e stili di vita più sedentari. Questo ha sollevato tra gli scienziati una domanda centrale su Okinawa: la longevità registrata in quel posto è una caratteristica stabile della popolazione o solo un’istantanea storica irripetibile?

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Anche a Nicoya, in Costa Rica, la solidità dei dati è discutibile. Come evidenzia lo statistico Saul Justinè, citato da New Scientist, il riconoscimento di Nicoya come Blue Zone è avvenuto dopo l’identificazione di alcuni individui eccezionalmente longevi, e non grazie a uno screening demografico su larga scala. La narrazione di una culla della longevità da quelle parti si è costruita in buona sostanza quasi a posteriori, partendo dai singoli casi e non dall’analisi sistematica dell’intera popolazione. Inoltre, in Costa Rica esiste una mancanza strutturale di registri anagrafici accurati per le generazioni nate all’inizio del Novecento, rendendo difficile validare con certezza l’età di molti centenari.

Per l’isola di Icaria, in Grecia, la situazione è simile: la Blue Zone è stata identificata solo dopo una serie di viaggi esplorativi in cui sono stati selezionati i villaggi con più anziani. Un approccio che, secondo molti demografi, introduce un forte bias di selezione. Inoltre, i registri civili dell’isola sono incompleti per buona parte del XX secolo, il che rende difficile separare dati reali da miti locali tramandati oralmente.

Infine, Loma Linda, California, rappresenta quasi un’anomalia concettuale: più che una vera zona geografica, è una comunità religiosa specifica, quella degli Avventisti del Settimo Giorno, che pratica uno stile di vita salutista e vegetariano. Come sottolinea New Scientist, è lecito chiedersi se questa longevità dipenda davvero dal luogo fisico o piuttosto dal codice culturale e spirituale della comunità. In questo caso, non si parla di una Blue Zone intesa come territorio geografico omogeneo, ma di una subcultura diffusa, che può essere vissuta anche al di fuori di Loma Linda.

Come leggere il fenomeno?

Alla luce di questa revisione critica, il concetto stesso di Blue Zone esce trasformato: da ricetta universale a fenomeno complesso, fatto di dati incerti, contesti storici unici e, in alcuni casi, narrazioni costruite a posteriori. Eppure, proprio in questo scenario, la Sardegna conserva un posto particolare nel dibattito scientifico.

Non perché l’isola custodisca un elisir di lunga vita valido per chiunque, ma perché rappresenta uno dei pochissimi casi in cui la longevità eccezionale è stata indagata con metodo scientifico rigoroso, grazie al lavoro di demografi esperti e alla disponibilità di registri anagrafici considerati affidabili.



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