Il consolidamento del settore bancario in corso mette a rischio l’offerta di credito alle pmi. Un’opportunità per il private debt


Massimo Figna

Massimo Figna,
founder e ceo di Tenax Capital

Il consolidamento del settore bancario italiano, preannunciato dalle opa in corso, è un trend positivo, ma reca con sé anche un pericolo, quello di una rarefazione del credito soprattutto per le pmi.

Se andassero in porto le operazioni annunciate da Unicredit con Commerzbank e Banco BPM, quella di MPS su Mediobanca e di BPER sulla Popolare di Sondrio, il sistema creditizio italiano attraverserà una fase di consolidamento paragonabile a quella che ha visto nascere alla fine dello scorso secolo i due grandi campioni nazionali: Intesa Sanpaolo e Unicredit.

È un aspetto senz’altro positivo. In Italia e in Europa ci sono ancora troppe banche. Il consolidamento migliora la stabilità finanziaria e rende gli istituti creditizi più forti, maggiormente in grado di affrontare eventuali shock. Per essere competitivi bisogna fare grandi investimenti in IT, ciò che è indispensabile anche per poter offrire maggiori servizi al cliente. Ma questo si può fare se raggiungi determinate dimensioni.
In questo trend c’è però un aspetto che deve essere attentamente valutato. Il consolidamento porta con sé anche un possibile fenomeno di restringimento del credito alle imprese. Il motivo? C’è un tema di concentrazione. Ogni banca ha limiti che non può superare nel fornire credito alla stessa impresa. Inoltre, aumentando la propria dimensione, un istituto di credito tende ad allontanarsi dal territorio locale, ad abbracciare altri modelli di business.

È una problematica richiamata recentemente da Giuseppe Castagna, ceo di Banco BPM, anche nei giorni scorsi in un’intervista a Il Corriere della Sera,  da Commerbank, per segnalare gli aspetti negativi dell’acquisizione di cui sono oggetto. Uno studio di due economisti, Achraf Mkhaiber e Richard A. Werner dal titolo The relationship between bank size and the propensity to lend to small firms: New empirical evidence from a large sample, pubblicato nel 2021 sull’autorevole Journal of International Money and Finance, ha analizzato il grande set di dati della FDIC statunitense per il periodo 1994-2013, rivelando “una relazione inversa chiara, coerente e altamente significativa tra le dimensioni della banca e la relativa quota di prestiti alle piccole e micro imprese erogati dalle banche. In altre parole, la propensione delle banche a prestare alle piccole imprese diminuisce man mano che le dimensioni delle banche diventano più grandi, e viceversa”.

Parlando lo scorso febbraio all’assemblea annuale del Forex, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, pur non riferendosi alle operazioni in corso, ha notato che “le imprese di piccole dimensioni continuano a registrare una maggiore e persistente contrazione degli impieghi; è tra esse, inoltre, che affiorano segnali di una possibile carenza di prestiti”. Più in generale, il recente report della CGIA di Mestre, tradizionale osservatorio dei trend nel credito, ha mostrato che i prestiti bancari alle imprese italiane, pari a 995 miliardi di euro all’inizio del 2011, si erano ridotti a 666 miliardi a fine 2024, con una contrazione del 33 per cento. Sono tutti segnali che vanno in una stessa direzione.

Occorre trovare un canale di finanziamento alle aziende alternativo che compensi i flussi che vengono meno a causa della concentrazione. Gli interlocutori naturali per un simile tragitto sono i fondi di private debt, soprattutto per soddisfare le esigenze di finanziamento delle pmi che, come si diceva, hanno meno possibilità di accedere ai mercati dei capitali emettendo, ad esempio, un bond. La crescita di questi intermediar, tra i quali si collocano i fondi gestiti da Tenax Capital, è stata significativa, ma la loro diffusione è in Italia ancora modesta rispetto a quella che ha raggiunto nei mercati anglosassoni.

Dal lato degli investitori, i fondi di private debt possono erogare finanziamenti a tasso variabile, limitando fortemente il rischio tassi. Inoltre, a parità di rating dei soggetti affidati, va tenuto presente che i tassi sui prestiti (rispetto ai bond) incorporano un premio di illiquidità di cui beneficiano gli investitori in contropartita del più lungo periodo (in media 5-7 anni) necessario per poter liquidare i loro investimenti.

Per incoraggiare il trend, peraltro già in pieno corso, molto si può fare, soprattutto dal lato del funding. Le banche per i prestiti utilizzano i depositi della propria clientela. Per il mercato del private debt occorre favorire l’intervento di istituzioni che abbiano liability tali da poter disintermediare il sistema creditizio. Candidati a svolgere questo ruolo sono essenzialmente le assicurazioni e i fondi pensione, che hanno appunto passività a medio-lungo termine che ben si conciliano con la durata tipica degli investimenti nel private debt. Un altro interlocutore da considerare sono gli ELTIF, i fondi europei per l’investimento a lungo termine. I regolatori dovrebbero favorire questo processo con misure appropriate, eliminando le barriere normative ancora esistenti. Ne guadagnerebbero la salute finanziaria delle imprese, la stabilità finanziaria e lo sviluppo del mercato dei capitali.



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