Il dialogo come unica via


Ogni guerra è una sconfitta. Non si risolve nulla con la guerra. Niente. Tutto si guadagna con la pace, con il dialogo» (2 novembre 2023): queste parole di Papa Francesco, scelte fra le tante che ha pronunciato per condannare la guerra, ci aiutano a comprendere come la barbarie e la violenza non si vincano battendo colpo su colpo. Ben più profondo e complesso è il processo che può portare i popoli e le singole coscienze a comprendere quanto sia folle ogni avventura bellica e come solo la via del dialogo possa condurre a una pace, che non sia effimera e puramente apparente: questo perché ogni guerra è immorale, illegale e sostanzialmente inutile e dannosa.
A evidenziare l’immoralità dei conflitti bellici – di quello seguito all’invasione russa dell’Ucraina, come di quello scatenato dall’attacco terroristico di Hamas e proseguito con la risposta israeliana, come di ognuna delle tante guerre che sono in corso nel mondo – sta anzitutto il numero di vittime che essi hanno prodotto, specialmente fra la popolazione civile inerme e incolpevole.
Se ogni vita umana ha un valore infinito e la sua perdita è comunque un prezzo senza ritorno, la sproporzione fra gli scopi che venivano sbandierati da chi ha voluto il conflitto e il costo in termini di sofferenza e di morte, che il loro conseguimento ha comportato, motiva ampiamente la denuncia dell’immoralità di ogni guerra. Se poi si considera che la spesa costata per mettere in piedi e portare avanti questi conflitti sarebbe bastata a sfamare le masse affamate dell’umanità per un tempo considerevole, garantendo a milioni di esseri umani quel diritto alla sopravvivenza e alla dignità della vita che è di fatto loro negato, l’immoralità della scelta bellica appare ancora più grave. Se possono rallegrarsi i produttori d’armi per i profitti realizzati e per quelli prevedibili in vista del riarmo, non altrettanto possono fare le innumerevoli vittime che continueranno a morire di fame e di ingiustizia nel mondo. E questo è un dato di fatto che nessuna vittoria potrà cancellare o far dimenticare.
L’illegalità della guerra, poi, appare chiara dalla violazione del diritto internazionale che essa inevitabilmente comporta: calpestata di fatto l’autorità dell’Onu, l’unico organismo cui può essere affidata la ricerca di soluzioni durevoli ai conflitti secondo diritto e giustizia, ignorate tutte le voci di dissenso espresse non solo ai livelli più alti di autorità morale, a cominciare da quella del Papa, ma anche da intere nazioni e dalle folle uscite allo scoperto per chiedere la pace secondo le vie del dialogo, esautorati i possibili mediatori internazionali il cui lavoro avrebbe potuto portare frutto, si è voluta sostituire alla forza della legge la legge della forza. La giustifica del nobile fine di abbattere il responsabile di una prepotenza non regge se misurata sul numero dei tiranni tollerati o addirittura sostenuti contro ogni legalità e democrazia in tante parti del mondo. È soprattutto, però, sul piano politico che la guerra rivela il profondo disprezzo del diritto di cui è espressione: a una logica di partecipazione e di corresponsabilità fra le nazioni, cui si sono appellati più volte gli organismi delle Nazioni Unite, si è preferita una logica egemonica che imponesse con la violenza al resto del mondo la volontà del più forte. L’alternativa fra partecipazione ed egemonia è stata risolta a favore della seconda, col rischio che questa scelta dalle conseguenze disastrose per il futuro del “villaggio globale” potrà essere perseguita anche in altri casi, soprattutto dove possa essere in gioco lo sfruttamento di ricchezze minerarie o l’insieme degli equilibri politici mondiali.
Infine, se si pretendesse che la guerra possa essere lo strumento per portare al mondo più pace, e dunque più giustizia e libertà, è evidente che in tutti i casi accennati essa si è rivelata inutile e dannosa: l’odio fra popoli e nazioni in guerra è cresciuto a dismisura (come stanno mostrando i ripetuti attentati terroristici che insanguinano in questi mesi Israele); gli stessi che – come in stragrande maggioranza gli Europei – amano e rispettano gli Stati Uniti e la loro civiltà democratica, sono in larga misura dissenzienti dalla politica egemonica che va attuando il Presidente Trump, che vorrebbe portare alla risoluzione dei conflitti seguendo una logica meramente legata a interessi commerciali; il terrorismo si è alimentato di una nuova fiamma, che sta purtroppo già dando frutti in schegge tanto impazzite quanto incontrollabili in diversi Paesi (come ad esempio la Germania); la soluzione dei due Stati in pace in Terra Santa appare sempre più un’utopia che una realtà, atteso il clima di odio e di violenza che lo scontro ha esasperato e accresciuto.
La nuova situazione di insicurezza, che sembra profilarsi su un campo vastissimo, richiederà per essere superata tempi e mezzi tutt’altro che secondari. Soprattutto, le coscienze ferite di tante donne e uomini, in cui è stata minata la fiducia nella giustizia e nell’efficacia del dialogo volto alla riconciliazione, richiederanno cure quali nessuna politica egemonica riuscirà ad offrire. Più che mai, allora, il mondo ha bisogno della profezia della pace: ne è stato sempre convinto Papa Francesco, che anche nella condizione di fragilità in cui si trova oggi continua ad essere profeta della pace contro ogni logica di giustificazione della violenza e della guerra. Quanti saranno disposti a capirlo, impegnando ogni possibile energia per costruire la pace nella giustizia e nel perdono, davanti al tribunale della coscienza, a quello della storia e – soprattutto – davanti all’ineludibile giudizio di Dio? Dolorosamente, le scelte del Presidente Trump vanno in tutt’altra direzione. Si adegueranno ad esse le scelte dell’Europa?


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