La sottrazione violenta di denaro dalla tasca è rapina, non furto con strappo (Cass. Pen. n. 7368/2025)


Con la sentenza n. 7368/2025, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato che l’atto di infilare la mano nella tasca di una persona e sottrarre con forza il denaro costituisce rapina e non furto con strappo, in quanto la violenza è direttamente esercitata sulla persona.

La decisione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Catania, che aveva confermato la condanna di G. per rapina e lesioni aggravate, disponendo un nuovo esame sulle attenuanti generiche e sulla diminuente per risarcimento del danno.

Il caso: contestata la qualificazione giuridica del fatto e il diniego delle attenuanti

L’imputato G., condannato dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Siracusa il 6 febbraio 2017 con rito abbreviato per rapina e lesioni aggravate, aveva impugnato la sentenza d’appello, che aveva confermato la condanna a un anno e sei mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.

Nel ricorso per Cassazione, la difesa ha sollevato quattro motivi:

La difesa sosteneva che l’imputato aveva infilato la mano nella tasca della vittima e aveva sottratto il denaro con forza, ma la violenza era stata esercitata solo sulla res, senza un’azione diretta sulla persona.

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La Corte d’Appello aveva erroneamente affermato che le attenuanti generiche erano già state concesse in primo grado, mentre il giudice di primo grado aveva riconosciuto solo l’attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62 n. 4 c.p.

L’imputato aveva dimostrato di aver risarcito la vittima, ma la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla questione.

La difesa sosteneva che la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione adeguata sul perché la recidiva reiterata e specifica fosse da applicare, limitandosi a elencare i precedenti penali.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, stabilendo che:

La Corte d’Appello ha correttamente qualificato il fatto come rapina, poiché l’imputato ha usato violenza sulla persona della vittima per impossessarsi del denaro.

Il furto con strappo si configura solo quando la violenza è esercitata esclusivamente sulla cosa sottratta, mentre nella rapina la violenza è direttamente sulla persona (Cass. Sez. 2, n. 16899/2019; Sez. 2, n. 2553/2015).

Nel caso in esame, l’imputato ha spintonato e bloccato la vittima prima di sottrarre il denaro, quindi la violenza è stata strumentale all’impossessamento.

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Le attenuanti generiche non erano mai state concesse in primo grado, quindi il giudice d’appello avrebbe dovuto motivare perché negarle.

L’ammissione di responsabilità dell’imputato avrebbe potuto giustificare una riduzione della pena, ma la Corte d’Appello non ha fornito alcuna spiegazione.

L’art. 62 n. 6 c.p. prevede una riduzione di pena quando l’imputato ripara il danno prima del giudizio.

Se il risarcimento è documentato, il giudice ha l’obbligo di motivare il diniego della diminuente (Cass. Sez. 2, n. 41464/2010).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha ignorato del tutto la questione.

Il giudice d’appello non può limitarsi a elencare i precedenti dell’imputato, ma deve valutare se la recidiva indichi una maggiore pericolosità sociale.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è limitata a richiamare il certificato del casellario giudiziale senza spiegare perché la recidiva fosse rilevante.

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Poiché vi è stata una carenza di motivazione su attenuanti generiche e risarcimento del danno, la sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania per un nuovo esame.

L’affermazione di responsabilità è invece divenuta irrevocabile.

Conclusioni

La sentenza ha affermato in tema di distinzione tra rapina e furto con strappo e valutazione delle attenuanti:

  1. L’atto di infilare la mano nella tasca di una persona e sottrarre con forza il denaro costituisce rapina, non furto con strappo, poiché la violenza è diretta sulla persona.

  2. Le attenuanti generiche devono essere valutate autonomamente e non possono essere negate senza una motivazione esplicita.

  3. Il giudice deve motivare il diniego della diminuente per risarcimento del danno se l’imputato ha provato di aver riparato il pregiudizio causato alla vittima.

  4. La recidiva può essere applicata solo se viene dimostrata una reale maggiore pericolosità sociale e non solo sulla base di precedenti penali.



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