Lo squilibrio generazionale nel mondo del lavoro è un fenomeno che ha avuto origine nella seconda metà del secolo scorso e che oggi si manifesta con conseguenze sempre più evidenti. In un contesto in cui il declino demografico sta ridisegnando gli equilibri della forza lavoro, il rischio maggiore è quello di non saper intercettare e trattenere le nuove generazioni, compromettendo la competitività e la capacità innovativa delle aziende italiane. «L’esito era prevedibile, gli imprenditori, le organizzazioni, le istituzioni non hanno voluto vederlo»: è lapidaria Isabella Pierantoni, fondatrice di Generation Mover e futurista, board member Italian Institute for the Future, e arriva subito al punto: «Non saranno i bonus a salvare l’Italia dal declino demografico – chiosa –. Serve un nuovo patto generazionale, come già detto dal demografo Alessandro Rosina, che trasformi il mercato del lavoro in un’opportunità di crescita per tutti, compresi i giovani della Generazione Z».
Secondo i calcoli eseguiti da Pierantoni attraverso i dati Istat, sono nove milioni i ragazzi e le ragazze in Italia tra i 15 e i 28 anni, e di questi poco più di tre milioni sono inseriti nel mondo del lavoro. «Fra tre anni arriveranno nel mondo del lavoro anche i più grandi della Alpha Generation – avverte –. Gli imprenditori non si stanno preparando né per gestire i membri della Gen Z, né per accogliere quelli della prossima generazione in arrivo nel mondo del lavoro, ossia i ragazzi e le ragazze della Gen Alpha, così lontani dallo standard di tessuto aziendale italiano ancora improntato, in diverse realtà, sulla mentalità dei Baby Boomers». Modello superato Il problema è chiaro: il modello «prendo il giovane, lo formo e magari lo pago poco» non è più vincente. Quel sentimento di gratitudine obbligata verso l’imprenditore che insegna un mestiere al giovane non regge più: i Gen Z sanno bene che quel lavoro non sarà per sempre. «Nel 2008 l’Italia ha raggiunto i 60 milioni di abitanti, da allora è iniziato il calo demografico e attualmente la popolazione attiva, quella tra 15-64 anni, è già scesa da 39 a 37 milioni», spiega Pierantoni. Le previsioni del Censis, basate sui dati Istat e condivise nel «Rapporto Italia 2032 – Futuro del Lavoro» di Italian Institute for the Future sono significative: entro il 2050 la popolazione attiva potrebbe ridursi a 27,9 milioni, con una perdita di 8,8 milioni di potenziali occupati. Già nel 2030 mancheranno circa 1,98 milioni di lavoratori. Nel frattempo, il numero di nascite continua a diminuire: nel 2022 si è scesi sotto le 400mila nascite annue, segnando un record negativo. «I giovani sono una risorsa sempre più preziosa e rara», sottolinea Pierantoni. Le regioni più colpite dal calo demografico vedono pochi giovani, spesso privi delle competenze richieste o inclini a trasferirsi altrove: «Le figure che mancano sono proprio quelle che partono all’estero». Lo scenario è complesso, ma imprese e leader possono fare molto. Isabella Pierantoni suggerisce di «siglare un nuovo patto generazionale a più livelli, non più procrastinabile per dare un futuro a chi ancora tra i giovani sceglie di restare in Italia, o magari pensa di tornare».
«Il primo step è informarsi e informare». Le aziende devono imparare a conoscere davvero le nuove generazioni: «Bisogna capire chi sono questi ragazzi, che cosa significa appartenere a una generazione e perché da una generazione all’altra cambia il senso e il significato del lavoro». «Ora la vita lavorativa può iniziare a 10 anni se sei un kid influencer – continua l’esperta –.continuare ad aggiornarsi, per sempre. Un concetto che per le generazioni più adulte è distante dal modo in cui pensano e vivono il lavoro». Per tale ragione, «gli adulti devono reimparare a studiare e, contemporaneamente, i giovani devono capire l’importanza dell’esperienza». Le aziende non possono più limitarsi a un banale scambio di competenze, dove i giovani insegnano a usare i device digitali e i senior danno direttive. «Peccato che entrambe le modalità siano superate: non è detto che i giovani sappiano usare Excel e che i senior abbiano tutta l’esperienza che serve ai giorni d’oggi», provoca Pierantoni.
Percorsi di crescita professionale
Nella visione di Pierantoni, è importante che i professionisti HR intervengano creando percorsi di crescita professionale personalizzati e basati, non solo sulla generazione di appartenenza, ma anche sulle fasi della vita di ciascuno perché «una persona di quarant’anni millennials, ha esigenze diverse di una nata undici anni prima ma appartenente alla stessa generazione, un aspetto da non sottovalutare». Formazione intergenerazionale Fondamentale per gli imprenditori è, inoltre, sapere come e con che mezzi si informano i collaboratori della Generazione Z. Investire nella formazione intergenerazionale e ripensare le strategie di retention sono altrettanto essenziali per garantire la sopravvivenza delle aziende italiane nel futuro. «Verso la fine della propria carriera, molte persone vogliono fare altro: la soluzione, in ottica intergenerazionale è integrare l’esperienza e la visione del senior con le nuove competenze e visione del junior»
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link