La raccolta differenziata dei rifiuti organici non cresce, e nel frattempo stanno aumentando frazioni estranee e impurità. Con ripercussioni sulla sostenibilità economica del sistema di riciclo. Il CIC: “Consorzi di filiera collaborino per evitare contaminazioni tra materiali”
Il sistema nazionale del riciclo organico è in allarme. Tra ritardi nella raccolta differenziata, contaminazioni da frazioni estranee e costi crescenti a carico degli operatori, la sostenibilità di una filiera simbolo dell’economia circolare nazionale è a rischio. Dietro le cifre di quella che resta un’eccellenza continentale – capace nel 2022 di trattare 7,5 milioni di tonnellate di forsu (frazione organica dei rifiuti solidi urbani) in 357 impianti in tutto il Paese producendo circa 2 milioni di tonnellate di compost e oltre 157 milioni di metri cubi di biometano – si cela uno stato di cose di gran lunga più controverso. Perché le principali materie prime che servono ad alimentare il ciclo del riciclo – ovvero umido domestico e verde urbano raccolti in maniera differenziata – fanno sempre più fatica ad arrivare agli impianti nella quantità e qualità necessarie. Un mix potenzialmente disastroso, dicono i numeri.
Secondo il centro studi del Consorzio Italiano Compostatori, nel 2022, anno in cui è scattato per l’Italia l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti organici – in anticipo di due anni sul resto dell’Ue – erano almeno 675 i comuni in cui la raccolta separata non risultava attivata, mentre 853 amministrazioni risultavano ancora lontane dalla soglia minima dei 50 kg per abitante. Il risultato è che da un lato aumentano gli impianti di trattamento, spinti anche da PNRR e incentivi per la produzione di biometano, ma dall’altro rilevanti quantità di organico continuano a sfuggire all’intercettazione e finiscono per ingrossare i flussi destinati a smaltimento. Complessivamente, considerando che una raccolta a regime dovrebbe intercettare – tra umido e verde – almeno 150 kg di rifiuti pro capite, secondo il CIC mancherebbero all’appello almeno 800mila tonnellate.
“Ci sono due linee di azione – spiega Lella Miccolis, presidente del CIC – la prima è quella dei piani regionali. Quello che viene stabilito in questi documenti deve esser poi perseguito, anche in termini di obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere, ma nessuno monitora il rispetto dei tempi. È fondamentale un’azione di controllo ma anche di comunicazione: i Comuni non devono smettere di comunicare ai cittadini che la raccolta dell’organico è obbligatoria, va fatta per legge. La seconda linea è quella di fare leva sull’ecotassa premiando o penalizzando i Comuni a seconda dei quantitativi che differenziano”.
Oltre a sollecitare gli amministratori locali perché attivino la differenziata, spiega il CIC, c’è da supportarli nella corretta definizione del perimetro delle raccolte, che insieme all’umido domestico dovrebbero puntare a massimizzare anche l’intercettazione dei rifiuti del verde urbano, come ramaglie e sfalci. “Occorrere infatti tenere presente che l’umido da raccolta differenziata non si può trattare negli impianti di compostaggio o di digestione anaerobica se non arriva un sufficiente quantitativo di rifiuto verde – chiarisce Miccolis – inoltre i Comuni che fanno la raccolta differenziata del verde incrementano anche il quantitativo totale di rifiuto differenziato. Quindi conviene a loro ed è indispensabile per gli impianti che tratteranno l’umido”. Win-win, insomma. Ma l’andamento della raccolta continua a essere altalenante. Tra 2021 e 2022 il CIC ha registrato addirittura un calo dei conferimenti negli impianti pari a 140 mila tonnellate, mentre nel 2023 le quantità sono aumentate di 190 mila tonnellate rispetto all’anno precedente. Complici, con ogni probabilità, le complessità operative generate da un quadro normativo a lungo incompleto e solo di recente riallineato all’indicazione dell’Ue di classificare tra i rifiuti urbani anche i residui della manutenzione del verde generati dagli operatori privati.
Di base, “resta una lacuna nella normativa europea di riferimento – sottolinea il presidente di Biorepack Marco Versari – a differenza di quanto accaduto con gli imballaggi, infatti, l’Ue non ha mai individuato obiettivi quantitativi e qualitativi minimi di riciclo organico. L’Italia ha da sempre dimostrato un’attenzione superiore a quella degli altri Paesi ma per molti versi è sola e lavora in salita”. La difficoltà di ‘lavorare in salita’ alla costruzione di una filiera d’eccellenza del riciclo viene fuori non solo dai dati sulla quantità, ma anche – e forse soprattutto – da quelli sulla qualità della raccolta. A mettere sotto pressione il sistema di recupero, infatti, è anche il fatto che molto di quello che raccogliamo lo raccogliamo male. Anzi, sempre peggio. E questo vale non solo per l’organico ma per tutte le raccolte differenziate. “C’è una forte contaminazione tra filiere che raccolgono e si occupano di frazioni differenti come carta, plastica, vetro, metalli – dice Miccolis – i consorzi di filiera devono assolutamente collaborare tra loro per evitare questa commistione”, avverte la presidente del CIC. Anche perché a pagarne le conseguenze è l’efficienza dei processi di riciclo.
Secondo un’indagine commissionata dal consorzio Biorepack all’Università di Tor Vergata – condotta su 112 impianti che nel 2022 hanno trattato 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti organici raccolti in maniera differenziata dai cittadini – il rapporto medio tra rifiuti in ingresso e scarti in uscita dal processo di compostaggio si attestava al 21,9%. Un tasso ben al di sopra del limite del 15% che lo studio indica come soglia di sostenibilità economica per il ciclo dell’organico (al netto quindi dei ricavi dalla vendita di energia da biogas o biometano), visto che smaltire una tonnellata di frazioni di scarto ha un costo di gran lunga superiore – più del doppio in molti casi – rispetto alla tariffa di conferimento della forsu. Di questo passo, insomma, diversi impianti di compostaggio potrebbero trovarsi costretti a chiudere.
Anche su questo fronte la comunicazione può giocare un ruolo determinante. “Come Biorepack siamo da sempre impegnati nella promozione di campagne territoriali e nazionali di comunicazione sulla corretta raccolta dell’umido – spiega Versari – e abbiamo verificato che in tanti casi queste iniziative producono risultati concreti. È vero che c’è poca attenzione da parte dei cittadini, ma è anche vero che è possibile guadagnarsela”. Sul piano delle responsabilità, però, i numeri dicono anche altro. E cioè che non sono solo i cittadini a prestare poca attenzione allla corretta separazione dei propri rifiuti domestici, ma che anche le aziende di gestione della raccolta e gli enti affidatari del servizio non hanno ben compreso il perimetro dei propri doveri.
Facendo da vero e proprio apripista della corretta raccolta dell’organico, infatti, in anticipo sul resto d’Europa l’Italia ha già provato a darsi regole sulla qualità della differenziata. I Criteri Ambientali Mimini definiti dal Ministero dell’Ambiente e obbligatori in tutti gli appalti per l’affidamento del servizio pubblico rifiuti, ad esempio, fissano un limite massimo del 5% per la contaminazione dell’organico. “L’introduzione dei CAM da parte del MASE è un atto meritorio – commenta Versari – ma non mi risulta che se ne faccia una applicazione meticolosa”. Va da sé che “se il CAM non è presente nei capitolati d’appalto, è difficile che il limite qualitativo venga rispettato”, aggiunge Miccolis. E infatti secondo le analisi merceologiche realizzate dal CIC sui rifiuti in ingresso negli impianti, i materiali non compostabili presenti nella raccolta hanno toccato nel 2022 la quota del 7,1%.
Le frazioni di scarto restano sul groppone dei gestori degli impianti, che dal canto loro, pressati dalla competizione spinta innescata dal proliferare dell’offerta di trattamento (soprattutto ad alcune altezze dello Stivale) preferiscono accettare i carichi in ingresso piuttosto che entrare in conflitto con chi ha raccolto male. “Anche gli impianti – dice la presidente del CIC – dovrebbero trovare il coraggio di respingere carichi non conformi o, quanto meno, dovrebbero applicare tariffe differenziate legate alla qualità, così da offrire un deterrente per i Comuni, per le società di raccolta e a cascata per i cittadini”.
Resta poi da risolvere un problema annoso, quello dei sacchetti per la raccolta. Nonostante dal 2018 sia vietata la commercializzazione di shopper monouso in plastica tradizionale, nel 2022, secondo il CIC, l’utilizzo di bag non compostabili è valso, da solo, circa due punti percentuali sugli oltre 7 di materiali non conformi presenti nella raccolta. “In Italia – spiega Versari – il 30% delle buste della spesa che dovrebbero essere per legge riutilizzabili o compostabili non lo sono”. Perché realizzate in plastica tradizionale o in finto materiale compostabile. “Con una recrudescenza – aggiunge – visto che l’anno scorso per la prima volta in dieci anni la curva di discesa di prodotti non conformi si è fermata e anzi abbiamo registrato una crescita”.
Ai danni causati dal mercato sommerso dei sacchetti fuorilegge si associano le inefficienze del mercato legale. “Purtroppo – spiega Miccolis – anche negli scaffali della grande distribuzione ci ritroviamo tanti sacchetti per rifiuti in plastica tradizionale e pochissimi, e mal segnalati, sacchetti in bioplastica compostabile. Facile così per il cittadino confondersi nella scelta della bag giusta. Peggio ancora nei mercati rionali – prosegue – dove si continuano a utilizzare sacchetti in plastica convenzionale o addirittura shopper in finta plastica compostabile. Un doppio danno per i cittadini e i commercianti”. Se a questo si aggiunge il fatto che “molti Comuni hanno smesso di consegnare sacchetti compostabili certificati ai cittadini e non sanzionano più coloro che raccolgono i rifiuti nel sacchetto sbagliato”, dice la presidente del CIC, si fa presto a capire quanto sia ancora lunga, e in salita, la strada per arrivare a una raccolta che aiuti il riciclo invece di metterne a repentaglio la sostenibilità.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link